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Contestazione e notificazione - Illecito permanente

Sanzioni amministrative  - Contestazione e notificazione  - Illecito permanente - Termine di novanta giorni per la notifica - Decorrenza.
In materia di sanzioni amministrative, in caso di illecito permanente, il termine di novanta giorni per la notifica del verbale di accertamento decorre dalla data di cessazione della permanenza ovvero, quando non vi sia la prova di tale cessazione, dalla data dell'accertamento della violazione. Corte di Cassazione,Sez. 5, Sentenza n. 3535 del 07/03/2012

Corte di Cassazione,Sez. 5, Sentenza n. 3535 del 07/03/2012

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ordinanza ingiunzione notificata il 4 marzo 2004, l'Agenzia delle Dogane intimò a Rachele De.. il pagamento di Euro 16.464,64 a titolo di sanzione amministrativa per la violazione del D.Lgs. n. 374 del 1901, art. 19 per aver essa realizzato una costruzione in località Istmo di Lesina in prossimità della linea doganale, senza l'autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale. L'intimata propose tempestiva opposizione davanti al Tribunale di Lucera eccependo la prescrizione ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 28; deducendo la competenza del giudice penale ai sensi della medesima L. n. 689, art. 24, data la connessione oggettiva con un reato della violazione contestata; sostenendo poi la applicabilità della disciplina speciale di cui alla L. n. 47 del 1985 in materia di illeciti edilizi; affermando inoltre il carattere non demaniale del suolo, peraltro non delimitato, sul quale l'edificazione era avvenuta; rilevando infine il carattere unilaterale della determinazione del valore di stima in base al quale era stata determinata la sanzione.
Il tribunale di Lucera, sezione distaccata di Apricena, con sentenza del 13 gennaio 2006, respinse l'eccezione di prescrizione, ma accolse l'opposizione in ragione del principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1991, art. 9, essendo stata la De.. condannata per gli stessi fatti alla pena di 26 giorni di arresto e lire 26.000.000 di ammenda (in appello venne invece dichiarato il non luogo a procedere per prescrizione). Al riguardo la sentenza impugnata osservava che "la specificità della contestazione amministrativa relativa al divieto di edificare in prossimità della linea doganale non è sovrapponibile al principio di specialità di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 9 in quanto tale principio regolamenta tutti i casi in cui il medesimo "fatto storico" venga ad essere oggetto di due sanzioni di natura amministrativa e penale, non rilevando se esso - dal punto di vista amministrativo sia poi concretamente riassumibile nell'alveo di più disposizioni".
Contro tale pronunzia ha proposto ricorso l'Agenzia delle Dogane. Rachele De.. ha resistito con controricorso ed ha proposto a sua volta ricorso incidentale.
Con il primo motivo del ricorso principale, l'Agenzia delle Dogane deduce violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9, della L. n. 47 del 1985, artt. 6, 20 e 38, della L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies, degli artt. 632, 633 e 639 bis c.p., dell'art. 1161 c.n. nonché del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 19. La sentenza impugnata ha infatti ritenuto applicabile la L. n. 689 del 1981, art. 9 (principio di specialità) secondo cui "quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale".
Secondo il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 19 "è vietato eseguire costruzioni ed altre opere di ogni specie, sia provvisorie sia permanenti, o stabilire manufatti galleggianti in prossimità della linea doganale .... senza l'autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale". La violazione di tale divieto comporta l'applicazione di una sanzione amministrativa di importo da un decimo all'intero valore del manufatto.
È pacifico che la ricorrente abbia edificato in prossimità della linea doganale senza l'autorizzazione del direttore della circoscrizione doganale. Non ha rilevanza chi sia il proprietario del suolo sul quale l'edificazione sia avvenuta.
L'Agenzia delle Dogane sostiene che nel caso in esame non sussiste la condizione dello "stesso fatto" richiesta dalla L. n. 689 del 1981, art. 9 per l'applicabilità del principio di specialità. Il ricorso è manifestamente fondato.
Dallo stesso risulta - e il dato non è contestato dalla controricorrente - il contenuto dell'imputazione penale:
1- del reato p. e p. dalla L. n. 47 del 1985, artt. 6 e 20 per aver eseguito in assenza di concessione edilizia un manufatto di latero, cemento armato in zona vincolata ex L. n. 1497 del 1939 e D.M. 18 gennaio 1977;
2- del reato p. e p. dalla L. n. 431 del 1985, art. 1 sexies in relazione alla L. n. 47 del 1985, art. 20 per aver eseguito l'opera edilizia di cui sopra in area sottoposta al vincolo ambientale;
3- del reato p. e p. dall'art. 734 c.p. perché mediante l'opera di cui sopra distruggeva le bellezze naturali di luoghi soggetti a speciali vincoli ambientali;
4- del reato p. e p. dalla L. n. 64 del 1974, artt. 17 e 20 in relazione alla L.R. n. 27 del 1985, art. 62 per aver eseguito l'opera di cui sopra in zona sismica senza previa domanda e denuncia lavori al Sindaco e all'Ufficio Tecnico;
5- del reato p. e p. dalla L. n. 64 del 1974, artt. 1, 3 e 20, in relazione al D.M. 3 marzo 1975 e al D.M. 24 gennaio 1986 per aver eseguito l'opera in contrasto con le norme tecniche antisismiche di cui ai predetti decreti;
6- del reato p. e p. dalla L. n. 1086 del 1971, artt. 2 e 13 per aver eseguito l'opera in conglomerato cementizio senza la direzione prevista dalla legge suddetta;
7- del reato p. e p. dalla L. n. 1086 del 1971, artt. 4 e 14 per aver eseguito l'opera in conglomerato cementizio senza la denunzia preventiva al Genio Civile;
8- del reato p. e p. dall'art. 632 c.p. in relazione all'art. 639 bis c.p. per aver mutato lo stato dei luoghi costruendo l'opera su terreno demaniale per procurare a sè ingiusto profitto;
9- del reato p. e p. dall'art. 633 c.p. in relazione all'art. 639 bis c.p. per aver invaso arbitrariamente per trarre profitto terreno di proprietà del Demanio Statale marittimo;
10- del reato p. e p. dalla L. n. 47 del 1985, art. 20 per aver proseguito lavori nonostante l'ordine di sospensione;
11- del reato p. e p. dall'art. 349 c.p. comma 2, perché violava i sigilli posti dalla Guardia di Finanza;
12- del reato p. e p. dalla L. n. 394 del 1991, art. 6, punti 3 e 5, e art. 30 poiché edificavano in area protetta del Parco Nazionale del Gargano.
Va premesso che ai fini dell'operatività del principio di specialità di cui all'art. 9 non è sufficiente che l'imputazione penale e l'incolpazione amministrativa riguardino lo stesso fatto storico poiché il rapporto di identità deve intercorrere tra fattispecie legali e che ai fini dell'operatività del principio occorre che vi sia un rapporto di identità nel senso che la fattispecie costituente infrazione amministrativa sia identica a quella prevista dalla norma incriminatrice penale ovvero ne costituisca parte integrante. Ora, va osservato che nessuna delle norme penali la violazione delle quali è stata contestata alla De.. contempla la prossimità della costruzione al confine dell' area demaniale. Le fattispecie sono quindi diverse avendo tra loro in comune solo il fatto dell'edificazione senza una autorizzazione, peraltro diversa dalle autorizzazioni contemplate dalle norme penali in discussione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale, Rachele De.. denunzia la violazione della L. n. 689 del 1981, artt. 28 e 14. Secondo un primo profilo la controricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere che con riferimento all'illecito permanente la prescrizione decorre dal momento di cessazione della permanenza e non dal momento iniziale di essa. Il motivo è infondato ed è sufficiente al riguardo richiamare la consolidata giurisprudenza sul punto (Cass. 28652 del 2011, 5570 del 2010, 143 del 2007, 21190 del 2006, 2 del 2005, 2204 del 2003, 14633 del 2001, 4094 del 2000 etc.) oltre che il principio generale di cui all'art. 158 c.p. Per le stesse ragioni deve essere dichiarato infondato il secondo profilo della medesima censura, concernente la decadenza di cui alla medesima L. n. 689 del 1981, art. 14. Come ha affermato la Cassazione con la sentenza n. 9056 del 05/07/2001, in caso di illecito permanente, il termine di novanta giorni per la notifica del verbale di accertamento decorre dalla data di cessazione della permanenza ovvero, quando non vi sia la prova di tale cessazione, dalla data dell'accertamento della violazione. Con il secondo motivo del ricorso incidentale viene denunziata la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 9 in relazione alla L. n. 47 del 1985 e al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 19, nonché degli artt. 32 e 1161 c.n.. La censura che rappresenta una versione particolare e specificativa della tesi della controricorrente in ordine all'applicazione del principio di specialità di cui all'art. 9, è manifestamente infondata. Secondo la tesi illustrata nel ricorso incidentale l'autorizzazione prescritta per le costruzioni in prossimità del confine demaniale condiziona il rilascio di ogni altra autorizzazione. Ne consegue - si assume - che la mancanza dell'autorizzazione doganale rende di per sè urbanisticamente illecita l'opera "e quindi assorbente la disciplina degli illeciti edilizi". La formulazione adottata non rende comprensibile la tesi così esposta, ma è sufficiente il richiamo a quanto già detto circa l'interpretazione da dare al principio di specialità in esame. Il secondo motivo del ricorso incidentale ribadisce anche la contestazione relativa alla demanialità del terreno. Si tratta di profilo irrilevante ai fini dell'applicabilità della norma della cui violazione tratta il giudizio in oggetto.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale viene riproposta la questione - non esaminata dalla sentenza impugnata in quanto assorbita dall'accoglimento dell'opposizione - relativa al quantum della sanzione irrogata ed alla collegata questione della valutazione economica del manufatto. Il motivo non può essere esaminato in questa sede proprio perché non ha formato oggetto del giudizio di merito in quanto assorbito. La questione dovrà quindi essere esaminata dal giudice del rinvio.
Quest'ultimo deve essere individuato nella Corte d'appello di Foggia La sentenza cassata è stata infatti pronunziata dal tribunale di Lucera prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il cui art. 26, modificando della citata L. n. 689, l'art. 23, ha introdotto, senza distinzioni di sorta, la regola della appellabilità delle sentenze pronunziate sull'opposizione ad ordinanza ingiunzione. La sentenza è stata quindi correttamente impugnata con ricorso per cassazione in base al principio tempus regit actum che, con riguardo alla disciplina delle impugnazioni, viene di regola riferito al tempo in cui la sentenza impugnata è stata pubblicata. Ove quest'ultima venga cassata successivamente all'entrata in vigore della norma che ha reso appellabili le sentenze emesse dal tribunale in questa materia, si tratta di individuare, in mancanza di una espressa previsione legislativa, quale sia il giudice al quale rimettere il giudizio di rinvio. Individuare tale giudice nel tribunale potrebbe apparire la soluzione più aderente alla lettera dell'art. 383 c.p.c., comma 1, (mentre non appare conferente l'art. 5 del codice di rito non trattandosi di questione di competenza) ma dovrebbe in tal caso essere trovata la chiave per escludere - in deroga all'art. 394 cod. proc. civ., comma 1, secondo cui in sede di rinvio si applicano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice al quale la Corte ha rinviato la causa - la successiva appellabilità della sentenza emessa a definizione del giudizio di rinvio. L'appellabilità di una sentenza emessa in sede di giudizio di rinvio è infatti estranea al sistema ed in particolare appare in contrasto con i caratteri propri del giudizio di rinvio "ordinario" - e cioè estraneo alle ipotesi di cui all'art. 382 c.p.c. e art. 383 c.p.c., comma 3. Posta la ineludibile necessità di integrare il dettato legislativo, l'individuazione nella Corte d'appello del giudice del rinvio appare la soluzione più "naturale" e più semplice - rispetto a quella di affermare una sorta di ultrattiva inappellabilità della sentenza emessa dal tribunale in sede di rinvio. La prima soluzione appare inoltre trovare conforto - sul piano del ragionamento analogico - nella sua coerenza con il criterio adottato dall'art. 383, comma 2, per l'ipotesi di omissione consensuale dell'appello.
P.Q.M.
- accoglie il ricorso proposto dall'Agenzia delle entrate e di conseguenza cassa la sentenza impugnata;
- rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale e dichiara inammissibile il terzo;
- rinvia alla Corte d'appello di Foggia che provvederà anche sulle spese del giudizio.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 7 marzo 2012

 

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