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impugnazioni civili - cassazione (ricorso per) - ammissibilità del ricorso

Ricorso per cassazione - Art. 360 bis, primo comma, n. 1, cod. proc. civ. - Ambito applicativo - Individuazione. Cassazione Civile Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7450 del 25/03/2013

 

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Cassazione Civile Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7450 del 25/03/2013
L'art. 360 bis cod. proc. civ. si applica non solo laddove la giurisprudenza della Corte di cassazione già abbia giudicato nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente, ma anche quando il caso concreto non sia stato deciso e, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza, a casi assolutamente consimili, e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all'esegesi di un istituto nell'ambito del quale la vicenda particolare pacificamente si iscriva.


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Sentenza integrale


RITENUTO IN FATTO
quanto segue:
p. 1. La Provincia di Cosenza ha proposto ricorso per cassazione contro Mario Ma... e Filomena Al... avverso la sentenza del 9 luglio 2009, con la quale la Corte d'Appello di Catanzaro ha rigettato l'appello da Essa proposto contro la sentenza del Tribunale di Cosenza del 1 dicembre 2008 che aveva dichiarato inammissibile la sua opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto nei suoi confronti dagli intimati per il pagamento di canoni locativi di vari contratti correnti fra le parti.
L'opposizione era stata introdotta con atto di citazione ed il Tribunale, sull'eccezione degli opposti di applicabilità del rito locativo, aveva disposto il passaggio della causa alla trattazione con quel rito e, quindi, dichiarato inammissibile l'opposizione perché il deposito della citazione in opposizione, da considerarsi equivalente al deposito del ricorso con cui la sua introduzione sarebbe dovuta avvenire, era stato effettuato con l'iscrizione a ruolo oltre il termine di quaranta giorni dalla notificazione dell'opposto decreto ingiuntivo.
p. 2. Al ricorso ha resistito con controricorso il Ma..., mentre non ha svolto attività difensiva la Al....
p. 3. Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all'art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte. p. 4. Parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO IN DIRITTO
quanto segue:
p. 1. Nella relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:
"(...) p. 3. Il ricorso si presta ad essere trattato in camera di consiglio con il procedimento di cui all'art. 380 bis c.p.c., in quanto appare manifestamente inammissibile alla stregua dell'art. 366 bis c.p.c., n. 1, quanto al primo motivo e per difetto di pertinenza con la motivazione quanto al secondo, mentre il terzo motivo si configura come motivo inutile, perché la conseguenza con esso postulata si potrebbe verificare solo se fossero accolti i primi due o uno di essi.
In particolare, il ricorso prospetta tre motivi, tutti concernenti la motivazione con cui la sentenza impugnata ha disatteso la prospettazione con cui, sul riflesso che con l'opposizione pur irritualmente introdotta con il rito ordinario era stata proposta dalla Provincia bruzia una domanda ai sensi dell'art. 96 c.p.c., si era sostenuto che erroneamente il Tribunale non avesse, in applicazione delle norme dell'art. 40 c.p.c., comma 3, rectius: comma 4, in ragione dell'applicabilità del rito ordinario a detta domanda, ritenuto applicabile all'intera controversia e, quindi, all'opposizione il rito ordinario, con la conseguenza che essa sarebbe risultata tempestiva, ancorché proposta con citazione. Il primo motivo è relativo alla pretesa violazione dell'art. 40 c.p.c..
Il secondo congiuntamente ad una pretesa omessa o insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio e alla violazione dell'art. 132 c.p.c..
Il terzo denuncia difetto di motivazione e omessa valutazione del merito della controversia.
p. 3.1. Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1, perché omette di confrontarsi con la giurisprudenza evocata dalla Corte territoriale a proposito della mancanza di incidenza ai fini della competenza della domanda ai sensi dell'art. 96 c.p.c., ed alla sua necessaria proposizione nell'ambito della controversia di merito. Principio dal quale quella Corte ha voluto trarre implicitamente la conseguenza che detta domanda non potesse incidere sul rito della controversia di merito, che doveva essere quello locativo.
Il motivo, essendo articolato in totale pretermissione del precetto di cui all'art. 360 bis c.p.c., n. 1, per l'omesso confronto con la giurisprudenza di questa Corte direttamente evocata dalla sentenza impugnata e per la totale carenza di invocazione di una diversa giurisprudenza, dovrebbe dichiararsi infondato alla strega della lettura che dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1, ha dato Cass. sez. un. n. 19051 del 2010. Tra l'altro, in aggiunta alle sentenze citate dalla Corte territoriale, è pertinente nella specie, proprio in relazione ad un caso in cui la domanda ai sensi dell'art. 96 c.p.c, era stata proposta in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, Cass. n. 979 del 2000.
p. 3.2. Il secondo motivo, per quanto attiene al vizio motivazionale è inammissibile, perché nel caso di violazione di una norma del procedimento la denuncia del vizio di motivazione fa parte dello stesso vizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 4 (non senza che nella specie che debba rilevarsi che la sentenza ha motivato sul punto, adducendo la giurisprudenza sulla natura della domanda ai sensi dell'art. 96 c.p.c.). Per quanto attiene al vizio ai sensi dell'art. 132 c.p.c., è manifestamente inammissibile, perché non tiene conto della motivazione della sentenza impugnata: la Corte territoriale, infatti, ha motivato (e comunque, in relazione alla norma del procedimento l'eventuale mancanza di motivazione sulla questione comporterebbe che il ricorrente in cassazione debba denunciare non solo la mancanza di motivazione, ma farsi carico del vizio denunciato e dimostrarne il rilievo).
p. 3.3. Il terzo motivo è un non motivo perché la conseguenza della decisione nel merito dell'opposizione sarebbe potuta scaturire solo se i primi due motivi fossero stati accolti e, quindi, l'errore della Corte territoriale si sarebbe palesato come rimediabile con il giudizio di rinvio".
p. 4. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la meMo...a muove rilievi che risultano privi di fondamento.
p. 4.1. Con un primo rilievo si asserisce che l'evocazione da parte della relazione dell'art. 360 bis c.p.c., n. 1, a proposito del primo motivo sarebbe stata inesatta, in quanto il caso proposto dalla vicenda di cui è ricorso - quello dell'introduzione di un'opposizione a decreto ingiuntivo in materia locativa congiuntamente a domanda di risarcimento danni da lite temeraria con la forma della citazione anziché con quella del ricorso ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c. - non sarebbe stato trattato dalla giurisprudenza di questa Corte evocata dalla sentenza impugnata, con cui parte ricorrente non si è confrontata.
Lo scopo del rilievo non è chiaro, ma, per quanto si comprende dalla conclusione della meMo...a, nella quale si insta perché il ricorso non debba essere dichiarato inammissibile, parrebbe che esso sia finalizzato ad escludere la conseguenza formale prevista dall'art. 360 bis: senonché, è evidentemente sfuggito alla ricorrente che la relazione ha individuato la conseguenza in quella dell'infondatezza del primo motivo sulla base della lettura data alla norma da Cass. sez. un. n. 19051 del 2010.
In ogni caso, l'assunto postula una concezione dell'art. 360 bis c.p.c., che ne determinerebbe l'applicabilità solo con riferimento all'ipotesi in cui la giurisprudenza della Corte avesse deciso già nello stesso modo della sentenza di merito la specifica fattispecie proposta dal ricorrente e non anche quando lo specifico caso non sia stato deciso e, tuttavia, si presti palesemente ad essere facilmente ricondotto, secondo i principi applicati da detta giurisprudenza a casi assolutamente consimili e comunque in base alla logica pacificamente affermata con riguardo all'esegesi di un istituto nell'ambito del quale il caso il caso specifico pacificamente si iscriva.
È quanto si attaglia al caso di specie, nel quale il principio di diritto dirimente che iscrive nell'ambito dell'art. 360-bis, n. 1 la prospettazione di cui al primo motivo è facilmente individuabile sulla scorta delle implicazioni di una giurisprudenza consolidata (ex multis, Cass. n. 8014 del 2009; per riferimenti, da ultimo, Cass. n. 7526 del 2012).
Invero, detta prospettazione ha censurato la sentenza impugnata là dove, di fronte ad un'opposizione ad un decreto ingiuntivo in materia locativa, erroneamente introdotta con citazione notificata nel termine per la proposizione dell'opposizione (anziché con ricorso ai sensi dell'art. 441 bis c.p.c., depositato entro quel termine) ed iscritta a ruolo oltre quel termine, si è rifiutata di escluderne la tardività e, quindi, l'inammissibilità dando rilievo, come postula invece la ricorrente, alla congiunta proposizione con essa di una domanda per lite temeraria da parte dell'opponente, la quale, a suo dire, sarebbe stata soggetta al rito ordinario, che, dunque, a norma dell'art. 40 c.p.c., comma 3, sarebbe prevalso su quello speciale locativo, con la conseguenza che, in ragione di tale prevalenza, l'opposizione, pur proposta con rito erroneo e tardivamente, sarebbe stata da considerare ammissibile, perché da trattarsi con il rito ordinario.
p. 4.1.1. La prospettazione del motivo è manifestamente priva di fondamento sotto vari profili emergenti dalla giurisprudenza della Corte.
Ammesso che la domanda ai sensi dell'art. 96 c.p.c. - per assurdo - possa considerarsi come una domanda suscettibile di trattazione con un rito distinto da quello della domanda di merito cui acceda e come una vera e propria riconvenzionale agli effetti dell'art. 36 c.p.c., non è dato innanzitutto comprendere come la sua ipotetica soggezione al rito ordinario, a differenza - nella prospettazione della ricorrente - dell'opposizione, potesse, sulla base dell'ari. 40, terzo comma, giustificare la tempestività dell'opposizione: è sufficiente osservare che la norma prevede una modalità di trattazione di cause soggette a riti diversi, ma, all'evidenza, ove l'introduzione di ciascuna soggiaccia a regole di rito distinte e dalla scelta di un rito erroneo per una di esse siano derivate conseguenze pregiudizievoli per la possibilità di trattare la domanda, secondo il rito cui sarebbe stata soggetta, non consente a chi le abbia introdotte cumulativamente secondo il rito della causa attraente di pretendere che quella introdotta con il rito sbagliato sia "salvata" dalla successiva trattazione delle cause cumulate con il rito dell'altra che abbia funzione attraente. L'art. 40, comma 3, non lo prevede proprio perché stabilisce solo una regola di trattazione congiunta.
È possibile che l'attore introduca le due cause soggette a rito diverse con quello attraente, ma se tale introduzione per quella attratta ha determinato l'inosservanza di una regola che si sarebbe dovuta osservare ai fini della sua proponibilità e che era prevista dal rito ad essa applicabile, egli non può pretendere che la proponibilità sia regolata secondo il rito attraente. La prospettazione della ricorrente si collocava, dunque, manifestamente al di fuori della logica dell'art. 40 c.p.c., comma 3. In disparte tale rilievo, lo stesso assunto della ricorrente ipotizzante che la "domanda" ai sensi dell'art. 96 c.p.c. potesse nella specie avere un rito diverso da quello locativo della causa di opposizione è in manifesta contraddizione con la sua stessa natura. Al riguardo, si ricorda che si è affermato quanto segue: "In tema di responsabilità aggravata, la norma dell'art. 96, cod. proc. civ., nell'affidare al giudice avanti al quale si è agito o resistito (comma 1) ed a quello che ha compiuto l'accertamento l'inesistenza del diritto (comma 2) il compito di essere investito della relativa istanza, non pone una regola di competenza, cioè non indica avanti a quale giudice si può esercitare un'azione di cui l'istanza è espressione, ma disciplina un fenomeno che si colloca all'interno di un processo già pendente e che si esprime nell'esercizio da parte del litigante di un potere all'interno di esso - quello di formulazione di un'istanza (e non della proposizione di un'azione) - il cui esercizio impone al giudice di provvedere sull'oggetto della richiesta, la quale, dunque, è strettamente collegata e connessa all'agire od al resistere in giudizio. Ne discende che il potere di rivolgere l'istanza, essendo previsto come potere endoprocessuale collegato e connesso all'azione od alla resistenza in giudizio, non può essere considerato (salvo il caso eccezionale che il suo esercizio sia rimasto precluso in quel processo da ragioni attinenti alla sua struttura e non dipendenti dall'inerzia della parte) come potere esercitatile al di fuori del processo e, quindi, suscettibile di essere esercitato avanti ad altro giudice, cioè in via di azione autonoma. Pertanto, quando tale esercizio avvenisse non ricorrerebbe una situazione di esercizio di un'azione davanti ad un giudice diverso da quello che sarebbe stato competente, bensì, l'esercizio di un'azione per un diritto non previsto dall'ordinamento, il quale appunto prevede il diritto di vedersi liquidare il danno da responsabilità aggravata (nelle due ipotesi previste dai due commi dell'art. 96) soltanto come diritto espressione del diritto di azione esercitato in un processo a tutela della situazione giuridica soggettiva principale che vi sia dedotta e, quindi, come diritto che di tale situazione è conseguenza e che, perciò lo è anche dell'azione con cui essa è fatta valere (in via attiva o passiva)". (Cass. n. 9297 del 2007; si ricorda ancora che Cass. n. 18344 del 2010 non ha contraddetto tale principio, là dove ha lasciato aperta la possibilità di un esercizio autonomo nei "casi in cui la possibilità di attivare il mezzo sia rimasta preclusa in forza dell'evoluzione propria dello specifico processo dal quale la stessa responsabilità aggravata ha avuto origine").
Ne deriva la natura meramente ancillare, alla domanda o alla resistenza in giudizio, della richiesta ai sensi dell'art. 96. Il che ha consentito anche di affermare quanto segue:
"Il principio secondo cui la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3, esclude dalla sospensione feriale dei termini processuali le cause inerenti alla dichiarazione e alla revoca del fallimento si applica anche nel caso in cui sia stata contestualmente proposta domanda di risarcimento danni da responsabilità processuale aggravata, in quanto prevale il regime previsto per la causa principale, atteso il rapporto di accessorietà necessaria intercorrente tra le due domande" (Cass. n. 17202 del 2004; n. 10130 del 2010);
"Qualora all'interno di una opposizione agli atti esecutivi venga proposta anche una azione di risarcimento danni che si fondi sull'incauto esercizio dell'azione esecutiva, tale ultima domanda deve essere inquadrata nell'ambito della responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. civ.; ne consegue che tra le due domande sussiste un nesso di consequenzialità ed accessorietà per cui il regime di impugnazione della domanda di responsabilità non può che essere quello della domanda principale" (Cass. n. 9057 del 2003). Tanto è sufficiente ad evidenziare che la prospettazione della ricorrente in ordine alla pretesa soggezione della "domanda" ai sensi dell'art. 96 ad un rito diverso da quello locativo si pone in manifesto contrasto con i principi emergenti da consolidata giurisprudenza della Corte sul rapporto fra essa e la domanda (o la resistenza) nel merito.
Rapporto che, dunque, quando essa venga proposta come accessoria ad una domanda soggetta ad un certo rito non può che comportare la soggezione ad esso.
A questo voleva alludere l'argomentare della relazione e questo ha sostanzialmente supposto anche la sentenza impugnata nel fare riferimento, scrutinando il secondo motivo di appello, alla giurisprudenza che esclude la rilevanza della "domanda" de qua ai fini delle norme sulla modificazione della competenza per ragioni di connessione.
In buona sostanza il dubbio che ha indotto la ricorrente a supporre che il rito della detta domanda potesse essere diverso da quello dell'opposizione non aveva, dunque, alcuna ragion d'essere, alla luce delle assolutamente normali implicazioni della ricordata giurisprudenza.
Onde il ricorso risulta abbondantemente riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 360 bisa c.p.c..
Ove non lo fosse bene sarebbe stato trattato in camera di consiglio trattandosi di ricorso manifestamente infondato alla stregua dell'art. 375 c.p.c., n. 5.
p. 4.2. Con un secondo argomento la meMo...a si spinge a sostenere - senza accorgersi che in tal modo introduce un motivo che non ha fatto valere - che l'opposizione in materia locativa non sarebbe soggetta al rito di cui all'art. 441-bis c.p.c.. Se pure non di nuovo motivo si trattasse, esso sarebbe in contrasto con la già evocata consolidata giurisprudenza della Corte.
Inoltre, sollecita un ripensamento dell'orientamento, richiamando Cass. n. 8491 del 2011, ma - fermo che nuovamente introduce un argomento che esulerebbe dai motivi - comunque evoca un parallelismo insussistente, posto che nella fattispecie decisa dalle Sezioni Unite Esse hanno fatto leva, nel presupposto che la forma della domanda con riguardo a quel caso non sia prevista e debba individuarsi nella citazione quale forma normale di introduzione della domanda, sulla idoneità del deposito dell'atto erroneamente introdotto con ricorso anziché con citazione, adducendo che la notificazione successiva, a differenza del deposito, non è atto di cui è responsabile soltanto la parte istante. Nella specie dell'attività di deposito dell'atto introduttivo è, invece, responsabile il solo ricorrente in opposizione al decreto ingiuntivo, a prescindere dalla forma prescelta.
p. 3. Il ricorso è, dunque, rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, con applicazione della tariffa di cui al D.M. n. 140 del 2012.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro undicimilasettecento, di cui Euro duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile - 3, il 7 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2013