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Compensazione - Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 316 del 12/01/2012

 Disciplina previgente alla legge n. 69 del 2009 - Giusti motivi - Giurisprudenza basata su principio astrattamente univoco ma variamente enunciato in concreto Ai sensi dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. Civ., nel testo applicabile ratione temporis prima dell'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali l'esistenza di una giurisprudenza basata su di un principio di diritto astrattamente non controverso, ma variamente enunciato nella concretezza delle sue applicazioni, atteso che le decisioni altalenanti ben possono dipendere dalla difficoltà pratica d'identificare la fattispecie corrispondente. (Principio enunciato con riferimento alla giurisprudenza che afferma la sussistenza della competenza per materia del giudice di pace sulle cause relative alle modalità d'uso dei servizi condominiali, con esclusione solo di quelle in cui si controverta dell'esistenza stessa del diritto, precisandosi che sussistono varie declinazioni del suddetto orientamento con riferimento al diritto al parcheggio). Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 316 del 12/01/2012

Spese giudiziali civile - Compensazione  - Disciplina previgente alla legge n. 69 del 2009 - Giusti motivi - Giurisprudenza basata su principio astrattamente univoco ma variamente enunciato in concreto

Ai sensi dell'art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., nel testo applicabile "ratione temporis" prima dell'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, costituisce giusto motivo di compensazione delle spese processuali l'esistenza di una giurisprudenza basata su di un principio di diritto astrattamente non controverso, ma variamente enunciato nella concretezza delle sue applicazioni, atteso che le decisioni altalenanti ben possono dipendere dalla difficoltà pratica d'identificare la fattispecie corrispondente. (Principio enunciato con riferimento alla giurisprudenza che afferma la sussistenza della competenza per materia del giudice di pace sulle cause relative alle modalità d'uso dei servizi condominiali, con esclusione solo di quelle in cui si controverta dell'esistenza stessa del diritto, precisandosi che sussistono varie declinazioni del suddetto orientamento con riferimento al diritto al parcheggio). Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 316 del 12/01/2012

Corte di Cassazione, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 316 del 12/01/2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

1 - Il Consigliere relatore ha depositato in cancelleria la seguente relazione ex art. 380 bis c.p.c.:
"1. - Antonio Sp.. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, Giancarlo Ma.. e Graziella Be.., rispettivamente, conduttore e proprietaria di un immobile condominiale, affinché fossero condannati a non lasciare veicoli in sosta nello scoperto condominiale, ciò essendo vietato dal regolamento di condominio. I convenuti nel resistere in giudizio eccepivano l'incompetenza per materia del giudice adito.

1.1. - Con sentenza del 20.1.2009 il Tribunale declinava la propria competenza per materia in favore del giudice di pace, e in considerazione del contrasto giurisprudenziale circa la competenza di quest'ultimo ai sensi dell'art. 7 c.p.c., n. 2, in tema di parcheggio di veicoli, compensava interamente le spese di giudizio fra le parti.

1.2. - Sull'impugnazione principale di Graziella Be.. e incidentale di Giancarlo Ma.. avverso il capo relativo alle spese, la Corte d'appello di Venezia rigettava l'appello principale e dichiarava inammissibile quello incidentale, condannando i predetti alle spese del grado.
2. - Per la cassazione di quest'ultima sentenza ricorre Be.. Graziella.
2.1. - Resiste con controricorso Antonio Sp...
2.2. - Giancarlo Ma.. non ha svolto attività difensiva. 3. - Tre i motivi d'annullamento,
3.1. - Con il primo la ricorrente deduce l'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su circostanze controverse e decisive riguardo alla sussistenza dei giusti motivi di compensazione delle spese, lì dove la Corte veneta avrebbe confuso, nel confermare la decisione del giudice di prime cure, tra controversia sul diritto e controversia sull'uso di beni e servizi comuni, in tal modo ritenendo esistente un contrasto giurisprudenziale che, in realtà, non ricorre, essendo invece consolidato l'orientamento che attribuisce al giudice di pace le controversie riguardanti le sole questioni sulla facoltà d'uso dello scoperto condominiale.
3.2. - Con il secondo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 96 e 92 c.p.c., avendo la Corte d'appello istituito un improprio parallelo tra responsabilità aggravata, ex art. 96 c.p.c., e attenuazione di responsabilità, ai fini della compensazione delle spese, senza considerare che non era stata avanzata alcuna domanda ex art. 96 c.p.c..
3.3. - Con il terzo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ancora sotto il profilo dell'erronea invocazione dell'art. 96 c.p.c., sostenendosi che il governo delle spese deve ritenersi disciplinato soltanto dal principio di causalità e quindi seguire la regola generale della soccombenza.
4. - I suddetti motivi, da esaminarsi congiuntamente per la comune derivazione da uno stesso assunto logico e giuridico, sono infondati. 4.1. - Ai sensi dell'art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore all'entrata in vigore della L. n. 69 del 2009), se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. Detta norma è stata interpretata da questa Corte nel senso che la motivazione sulle spese è censurabile in sede di legittimità soltanto se sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (v. per tutte, Cass. n. 24531/10). In particolare, poi, per quanto attiene ai casi che possono giustificare la compensazione, è stato ritenuto, a titolo meramente esemplificativo, che l'obbligo motivazionale è assolto nel caso in cui il giudice di merito dia atto di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l'interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali (Cass. S.U. n. 20598/08 e successive conformi).
Nell'ambito di tale ampia configurabilità dei giusti motivi legittimanti la compensazione delle spese, è dunque agevole includere il caso di una giurisprudenza basata su un principio di diritto in sè non controverso, ma variamente enunciato nella concretezza delle sue applicazioni, atteso che decisioni altalenanti ben possono dipendere anche dalla difficoltà pratica di identificare la fattispecie concreta corrispondente, rendendo così disagevole per la parte attrice inquadrare in vì a anticipata la regola di giudizio inerente al caso singolo, e operare una ragionevole prognosi sull'esito della lite da instaurare.
Ciò posto, l'individuazione nello specifico caso dell'uno piuttosto che dell'altro giusto motivo di compensazione è attività che compete al giudice di merito, e che se congruamente e logicamente motivata si sottrae al sindacato di legittimità.
4.1.1. - Nella fattispecie, la Corte d'appello veneziana ha rilevato che sebbene sia esatto che, come affermato dal giudice di prime cure, per consolidata giurisprudenza le cause relative alle modalità d'uso dei servizi condominiali, rimesse ex art. 7 c.p.c. alla competenza per materia del giudice di pace, sono quelle riguardanti i limiti qualitativi d'esercizio delle facoltà inerenti alla comunione, e che esulano, pertanto, dalla predetta competenza per materia le cause nelle quali si controverta dell'esistenza stessa del diritto di godimento del bene comune, in realtà nella giurisprudenza della S.C., tale principio, mentre è costantemente affermato nella sua astrattezza, presenta diverse applicazioni in rapporto ad alcuni casi concreti, come in tema di diritto al parcheggio. Cita quindi, tre diverse sentenze che, pur partendo dalla medesima premessa generale, hanno affermato, in un caso, che la negazione del diritto era ravvisabile nella domanda diretta alla declaratoria di inibizione del parcheggio dell'autovettura nel cortile (Cass. n. 7888/94); in un altro, che l'impugnazione per nullità di una delibera condominiale che aveva destinato a parcheggio l'area del cortile condominiale, poneva in contestazione - per il mutamento, così operato in violazione dell'art. 1102 c.c., della naturale destinazione di esso - il diritto stesso dei condomini di utilizzare tale area come parcheggio (Cass. n. 6642/00); e una terza, che ravvisava una controversia sull'esistenza del diritto in base ad una doppia motivazione, e cioè perché gli attori pretendevano di essere proprietari esclusivi di una porzione del cortile, e avevano altresì sostenuto nella domanda che, comunque, la loro controparte non avrebbe avuto diritto di parcheggiare neppure nel caso in cui il cortile fosse stato condominiale, atteso che in tale prospettiva sarebbe stata ad ogni modo controversa la titolarità dell'uso, trattandosi di determinare il contenuto stesso del diritto di (com)proprietà dei singoli partecipanti, includendovi o non una specifica facoltà (Cass. n.9946/97, che cita, a sua volta, Cass. nn. 5467/96, 8431/94, 10519/93, nonché, con specifico riferimento proprio all'utilizzazione come parcheggio di aree condominiali, n.3317/79 e 2543/78). Ed ha osservato che tale precedente ha esteso notevolmente l'ambito escluso dalla competenza per materia del giudice onorario, giungendo espressamente a ricondurre nel criterio di competenza per valore anche la controversia non già sul diritto in sè, ma sulle facoltà in esso comprese.
Quindi, ha aggiunto che è costantemente affermato che il contrasto giurisprudenziale possa costituire giusto motivo di compensazione, considerato che di fronte a questioni controverse anche per i giudici di legittimità, appare equo che le parti che "errano" nel risolverle vadano incontro ad una responsabilità attenuata, non potendosi per contro ravvisare quella "colpa grave" che l'appellante aveva individuato sostenendo che sarebbe stata immediatamente percettibile l'incompetenza del giudice adito.
4.1.2. - Tale motivazione, imperniata sulla concreta difficoltà di selezionare i casi in cui ricorre la predetta competenza per materia del giudice di pace, appare congrua e coerente perché non confonde affatto i termini della questione, vale a dire la dicotomia esistenza/modalità di esercizio del diritto sul bene o relativamente al servizio comune, ma sottolinea proprio e soltanto come non sia agevole nella stessa giurisprudenza di legittimità riconoscere in concreto l'un caso dall'altro.
Ogni ulteriore giudizio su tale motivazione, che in sè è esente da vizi logico-giuridici, è dunque precluso in questa sede. Stabilire se e in qual misura l'esame funditus della giurisprudenza in materia valga a dipanare gli aspetti applicativi maggiormente controvertibili, eccede i limiti interni del sindacato di legittimità, traducendosi in una sostanziale riedizione dell'esame di merito sulla ricorrenza dei giusti motivi di compensazione nel caso portato ali 'esame della Corte territoriale.
4.1.3. - Ne' alcuna violazione o falsa applicazione degli artt. 92 e 96 c.p.c., o alcun connesso vizio di motivazione possono trarsi dal riferimento, operato nella sentenza impugnata, alla "responsabilità attenuata" e alla "colpa grave". Nel primo caso sì tratta di un 'espressione appena atecnica (il criterio della soccombenza, stabilito dall'art. 91 c.p.c., opera su base indennitaria, perché prescinde dall'imputabilità per colpa), che non altera, ne' contraddice la trama del ragionamento svolto, diretto a evidenziare soltanto l'esistenza di un giusto motivo di compensazione (che può evocare il - diverso - principio di causalità, esso sì influenzato da valutazioni di ordine etico-giuridico). Nel secondo caso, al contrario di quanto opina la parte ricorrente, il richiamo alla "colpa grave" non è effettuato nell'erronea supposizione di doverne valutare l'esistenza per porre o non le spese a carico dell'attore, ma solo per confutare l'opposta tesi dell'appellante, che giudicava chiaramente percepibile il difetto di competenza del giudice adito. 5. - Per quanto sopra considerato, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, ai sensi dell'art. 375 c.p.c., n. 5". 2 - Entrambe le parti hanno depositato memoria.
3 - La Corte ritiene di condividere la relazione e la conseguente proposta di definizione camerale del procedimento. Le considerazioni ulteriormente svolte dalla parte ricorrente nella propria memoria non valgono a indurre una soluzione di segno diverso, che perseverano nel medesimo errore d'impostazione che affligge il ricorso.
La Corte veneziana ha ben evidenziato, infatti, che a fronte di un principio costantemente affermato nella sua astrattezza (quello per cui, secondo la consolidata giurisprudenza, le cause relative alle modalità d'uso dei servizi condominiali, di cui all'art. 7 c.p.c., n. 2, sono quelle che riguardano i limiti qualitativi di esercizio delle facoltà inerenti ai diritto in comunione), sono diverse le concrete applicazioni che ne discendono, dipendenti dalla ricognizione concreta ed effettiva dei casi in cui si controverta di una limitazione qualitativa o quantitativa del diritto (in particolare, di utilizzare aree comuni per il parcheggio di autovetture), piuttosto che della sua negazione in radice. E detta motivazione, in sè chiara, razionale e congrua, non può essere oggetto di discussione sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5, non essendo dato in questa sede di legittimità dibattere al fine di stabilire se la giustificazione addotta dalla Corte di merito sia condivisibile o non.
Quanto, poi, all'affermazione, pure contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., secondo cui la compensazione delle spese operata dalla Corte d'appello non si fonderebbe su di un giusto motivo singolarmente delineato e riconducibile nell'alveo dell'art. 92 c.p.c., ma sulla (assenza di) colpa, nozione che evocherebbe il diverso criterio che fonda la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., è sufficiente osservare che: a) data l'atipicità dei giusti motivi di compensazione delle spese, l'assenza di colpa o la colpa lieve nell'adire un giudice incompetente rientrano senz'altro tra i casi di applicazione dell'art. 92 c.p.c., comma 2, (nel testo, applicabile ratione temporis alla fattispecie, previgente alla L. n. 69 del 2009), che si basa naturaliter su considerazioni di carattere etico-giuridico, il che nel caso in esame esclude ogni errore nell'interpretare detta norma; l'esistenza in concreto delle suddette ragioni costituisce un caratteristico accertamento di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente e logicamente motivato; b) non è esatto quanto si legge a pag.6 della memoria di parte ricorrente, ossia che la "colpa" sia il criterio fondante della responsabilità processuale aggravata; al contrario, non è la colpa tout court ma la colpa qualificata dalla gravità il parametro su cui si fonda la previsione dell'art. 96 c.p.c., di talché è null'altro che una torsione verbale sostenere che i "presupposti canonizzati dall'art. 96 c.p.c." siano stati erroneamente invocati dal giudice d'appello ai fini dell'applicazione dell'art. 92 c.p.c.; inoltre, c) come già sottolineato nella relazione, non risponde al vero che il giudice d'appello abbia deviato la sua valutazione, ai fini applicativi dell'art. 92 c.p.c., comma 2, sulla sussistenza o non di colpa grave da parte dell'attore, perché è stata la stessa parte appellante - che oggi, in veste di ricorrente, se ne duole - ad argomentare erroneamente su tale concetto (v. pag. 7 della sentenza impugnata); infine, d) esclusa, per quanto sopra detto, la violazione di tale ultima norma, ogni questione sulla maggiore o minore correttezza dell'iter motivazionale seguito nell'interpretarne i presupposti sarebbe ad ogni modo irrilevante in questa sede, non essendo ammessa la ricorribilità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, per difetti della motivazione in diritto (giurisprudenza costante:
cfr. Cass. nn. 3464/98, 5271/02 e 13773/06).
4 - In conclusione, il ricorso va respinto.
5 - Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio come da tariffa professionale, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta Civile - 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 settembre 2011. Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2012