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Minori - Adozione - Condizioni - Separazione di fatto dei coniugi intervenuta nelle more della procedura

Minori - Adozione - Condizioni - Separazione di fatto dei coniugi intervenuta nelle more della procedura - Condizione ostativa. Non può escludersi sempre e comunque l'adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, primo comma, lett. B), della legge 4 maggio 1983, n. 184, motivando sull'intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest'ultimo; infatti, sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l'interesse del minore. Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 21651 del 19/10/2011

Minori - Adozione - Condizioni - Separazione di fatto dei coniugi intervenuta nelle more della procedura - Condizione ostativa
Non può escludersi sempre e comunque l'adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, ai sensi dell'art. 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, motivando sull'intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest'ultimo; infatti, sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l'interesse del minore. Corte di Cassazione  Sez. 1, Sentenza n. 21651 del 19/10/2011

Corte di Cassazione  Sez. 1, Sentenza n. 21651 del 19/10/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 26/9/2007, V.M. chiedeva al Tribunale per i minorenni di Palermo pronunciarsi l'adozione da parte sua della minore C.M. , nata il (omesso) , figlia della propria moglie C.S. e di padre ignoto, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 44, lett. B).
La C. veniva sentita ed esprimeva assenso all'adozione. Il Tribunale per i minorenni di Palermo, con sentenza depositata il 26/6/2008, disponeva farsi luogo alla predetta adozione. Con ricorso in appello, depositato il 13/3/2009, la C. chiedeva la revoca dell'adozione, essendo venuta meno la comunione materiale e spirituale tra i coniugi V. - C. , separatisi di fatto nel (omesso) .
Si costituiva regolarmente il contraddittorio, e il V. chiedeva rigettarsi l'appello.
La Corte di Appello di Palermo, con sentenza 19/3-14/4/2010, accoglieva l'appello della C. e rigettava l'istanza di adozione da parte del V. .
Ricorre per cassazione il V. , sulla base di due motivi. Resiste, con controricorso, la C. .
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va innanzi tutto osservato che questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi sulla questione di inammissibilità sollevata dalla controricorrente: la L. n. 184, art. 17, novellato, stabilendo un termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza per il ricorso per cassazione, nella procedura di adottabilità, è norma speciale, insuscettibile di interpretazione estensiva (al riguardo, Cass. n. 4537 del 2008). Quanto al procedimento in esame, la L. n. 184, art. 58, richiama espressamente gli artt. 313 e 314 c.c., attinenti all'adozione di maggiorenni: nulla è innovato rispetto al termine ordinario di giorni sessanta per il ricorso per cassazione. La sentenza della Corte d'appello è stata notificata all'odierno ricorrente in data 5/5/2010, e il ricorso in esame, in data 28/6/2010: non sussiste dunque l'affermata tardività. Neppure si ravvisa violazione dell'art. 360 bis c.p.c.: il ricorrente, nell'esposizione dei motivi, non si pone in contrasto con orientamenti giurisprudenziali consolidati di questa Corte, ma semmai, talora, ne sollecita una diversa considerazione. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione degli artt. 79 e 80 c.p.c., L. n. 184 del 1983, art. 52, comma 2, e vizio di motivazione. Sussistendo conflitto di interessi tra la C. e la figlia minore, si doveva nominare un curatore speciale; il preminente interesse della minore stessa avrebbe comunque richiesto la conferma del provvedimento del Tribunale per i minorenni.
Con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 45, nonché della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo in ordine all'adozione della minore, alla necessità di tenere conto delle sue aspirazioni, e comunque di sentire il suo legale rappresentante o, in caso di conflitto, un curatore speciale ad hoc nominato.
Non si ravvisa violazione delle norme indicate nel primo motivo, in ordine all'affermata necessità di nomina di un curatore speciale. Gli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., prevedono la nomina di un curatore speciale, tra l'altro, in caso di conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante. L'art. 320 c.c., comma 6, prevede ipotesi di conflitto di interessi, tra genitore e figlio, ma soltanto patrimoniali. Al contrario gli artt. 347 e 360 c.c., non indicati dal ricorrente, individuano - ma solo in materia di tutela - conflitto di interessi, anche personali. Il minore ultraquattordicenne esprime il suo consenso all'adozione, il legale rappresentante (genitore o tutore), in caso di età inferiore dell'adottando, viene sentito. D'altra parte, l'art. 46 assicura una netta preminenza alla posizione del genitore che deve prestare il suo assenso.
Non si potrebbe, in linea di principio escludere l'applicabilità dell'art. 78 c.p.c., e segg., in caso di conflitto di interessi tra il minore e il suo legale rappresentante (nella specie il genitore). E tuttavia il ricorrente avrebbe dovuto proporre istanza al giudice competente ai sensi dell'art. 80 c.p.c., fornendo indicazioni specifiche al riguardo (il conflitto deve essere concreto, diretto ed attuale, e sussiste se al vantaggio di un soggetto corrisponde il danno dell'altro: al riguardo, Cass. n. 2489 del 1992), non essendo sufficiente il deterioramento di rapporti tra il genitore dell'adottando e il coniuge richiedente: avrebbe cioè dovuto prospettare, anche ai fini della nomina di un curatore, che interesse reale della minore era quello di essere adottata.
Neppure si ravvisa violazione della L. n. 183 del 1984, art. 45, nonché della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 (ratificata con L. n. 176 del 1991), denunciata nel secondo motivo.
L'art. 45 predetto, in materia di adozione in casi particolari, prescrive l'ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici, ma pure di età inferiore, se capace di discernimento. La norma, modificata dalla L. n. 149 del 2001, che introduce ed intensifica l'audizione del minore nella procedura adozionale, recepisce evidentemente ed opportunamente - il dibattito di questi anni sull'opportunità dell'ascolto del minore e le indicazioni pregnanti di importanti documenti internazionali.
La Convenzione di New York sui diritti del bambino, all'art. 12, e quella di Strasburgo sui diritti processuali del minore, all'art. 3, attribuiscono al minore il "diritto" di essere ascoltato, "perché possa esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessi". Anche la Carta Europea sui diritti fondamentali, all'art. 24, precisa che "i bambini possono esprimere liberamente la loro opinione, ed essa viene presa in considerazione per le questioni che li riguardano". Questa nuova "cultura" sull'ascolto del minore già aveva influenzato la riforma dell'adozione del 2001, ed oggi trova un riscontro nell'art. 155 sexies c.c., sull'affidamento condiviso. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte insistito sull'obbligatorietà dell'ascolto, ove indicato dalla norma (per tutte, Cass. S.U. n. 9094 del 2007), la cui mancanza potrebbe rendere invalido il provvedimento assunto.
Nulla si dice nell'art. 45 suindicato sulle modalità di ascolto. Il minore può essere sentito direttamente dal giudice, ma pure l'ascolto può essere indiretto, tramite un ausiliare del giudice, psicologo, educatore, che riferirà poi al giudice stesso. Sarà lo stesso ausiliare a fornire informazioni sulla sua capacità di discernimento (per qualche indicazione, v. Cass. n. 14216 del 2010). Nella specie, come emerge dalla sentenza impugnata, la minore, che è ancora in tenera età, è stata più volte ascoltata dal CTU, il quale ne ha evidenziato aspirazioni, ricordi, sofferenze. Sostiene infine il ricorrente che è comunque interesse della minore la conferma della pronuncia di adozione.
L'adozione (anche quella in casi particolari, di cui all'art. 44 predetto) ha lo scopo di consentire l'inserimento del minore in un contesto idoneo al suo armonico sviluppo.
Quanto all'adozione del figlio del coniuge, la norma attribuisce titolo giuridico ad un rapporto di fatto molto più frequente oggi che in passato; con l'introduzione del divorzio, spesso si costituiscono nuove famiglie, con figli nati da precedente matrimonio (prima evidentemente poteva trattarsi solo del coniuge superstite che contraeva nuovo matrimonio): non vi è alcun rapporto parentale tra il coniuge e il figlio dell'altro coniuge, eppure esiste una situazione di convivenza, e la presenza del nuovo coniuge può avere una notevole influenza sullo sviluppo della personalità del fanciullo.
Ulteriore elemento esplicitamente individuato dalla norma sull'adozione in casi particolari è la "realizzazione del preminente interesse del minore". Non si tratta di una precisazione superflua:
sebbene tutta la normativa adozionale si ispiri alla realizzazione di tale interesse, l'esigenza avvertita dal legislatore di far esplicito riferimento ad esso trova ragione nel rilievo che la norma, oltre ad aver posto precisi limiti, ed individuato casi tassativi per limitare la portata dell'istituto, lo circonda di ulteriori cautele, precisando che comunque sarà necessaria un'ulteriore valutazione:
che l'adozione realizzi il "preminente interesse del fanciullo". Dunque, non basta che il coniuge del genitore presenti domanda, pur consentendo i genitori del minore (e il minore stesso ultraquattordicenne), ma è necessario che tra il richiedente e il minore stesso sussista effettivamente un valido rapporto affettivo. Da quanto osservato emerge che, di regola, l'adozione del figlio del coniuge presuppone convivenza comune, armonia, affetto tra i coniugi, e dovrebbe tendenzialmente escludersi quando la comunione di vita tra essi, come nella specie, sia venuta meno. E tuttavia la valutazione va fatta, come si diceva, alla stregua dell'interesse del minore, da valutare in relazione alla specifica fattispecie: dunque, ove si sia instaurata una positiva relazione tra quest'ultimo e il richiedente, la cessazione della convivenza matrimoniale tra il richiedente e il genitore del minore non dovrebbe, sempre e comunque, far venir meno l'interesse del fanciullo all'adozione. Del resto, com'è noto, anche nell'adozione legittimante, ai sensi della L. n. 184, art. 25, comma 5, se nel corso dell'affidamento preadottivo interviene separazione tra i coniugi richiedenti, può pronunciarsi "nell'esclusivo interesse del minore", adozione a favore di uno o di entrambi i coniugi, ove essi o uno di loro ne facevano richiesta. Il giudice a quo ha effettuato, al riguardo, la sua valutazione di fatto, e dunque insuscettibile di controllo in questa sede, in quanto accompagnata da una motivazione ampia, approfondita e non illogica. Richiamando le risultanze della consulenza tecnica, la sentenza impugnata, pur dando atto del positivo rapporto tra la minore e il V. , il quale, prima di forti contrasti con la moglie, aveva assunto il ruolo di padre, ben accettato dalla bambina, precisa che M. ha espresso grande sofferenza per un clima familiare altamente conflittuale. che la poneva nella drammatica posizione di figlia contesa e obbligata a scegliere con quale genitore schierarsi; essa ricordava con terrore le urla e le liti dei genitori ed esprimeva grande timore, di fronte ad un possibile incontro dei genitori, di un rinnovarsi dell'aspro conflitto. D'altra parte, in relazione ai suggerimenti del consulente - continua il giudice a quo - la madre aveva parzialmente mutato il suo atteggiamento verso il coniuge, mostrandosi idonea ad una collaborazione con lui nell'interesse della figlia; di fronte ai toni pacati della moglie, il V. ha reagito con rabbia, rifiutando un confronto sereno, esprimendo forme di immaturità ed egocentrismo, restando prigioniero del suo bisogno di ricevere, sempre e comunque, approvazioni incondizionate del suo operato, dei suoi pensieri e delle sue idee. Ancora, la sentenza impugnata richiama ulteriori aspetti critici della personalità del V. , quali la sua percezione del potere in generale, e di quello genitoriale, in particolare, con conseguente totale squalifica, da parte sua, della figura materna, per concludere che l'adozione sarebbe nociva per la minore, perché attiverebbe, in modo improprio e dannoso per lei, le rivendicazioni del V. tese ad esercitare un incisivo potere genitoriale, senza tener conto del delicato e complesso contesto esistenziale in cui la bambina si trova. Vanno dunque rigettati i motivi proposti, in quanto infondati, e, conclusivamente, va rigettato il ricorso.
La natura della causa e la posizione delle parti richiedono la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 1 luglio 2011.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2011

 

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