Illecito disciplinare - Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 13 luglio 2017, n. 91
L’illecito disciplinare “atipico”
Il codice deontologico forense è tuttora ispirato al principio già affermato in tema di norme penali incriminatrici a forma libera, per le quali la predeterminazione e il criterio dell’incolpazione vengono validamente affidati a concetti diffusi (id est principi), generalmente compresi nella collettività` in cui il giudice opera, i quali sono utilizzati per classificare, stabilizzare e sanzionare quei comportamenti illeciti non espressamente previsti. Il nuovo Codice Deontologico Forense è infatti informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante, “per quanto possibile” (art. 3, co. 3, L. 247/2012), poiché la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata e tassativa. Conseguentemente, la mancata “descrizione” di uno o più comportamenti e della relativa sanzione non genera l’immunità, ma impone l’applicazione dell’art. 21 del nuovo CDF secondo il quale: i) oggetto della valutazione degli Organi giudicanti deve essere il comportamento complessivo dell’incolpato; ii) le sanzioni debbono essere adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa; iii) nel determinare la sanzione deve tenersi conto, tra il resto, della compromissione dell’immagine della professione forense. Le sanzioni vanno quindi scelte ed inflitte fra quelle previste dal successivo art. 22.
Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 13 luglio 2017, n. 91