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08.2 La disciplina applicabile

08 LE SPESE E LE TABELLE MILLESIMALI

08.2 La disciplina applicabile Rif. : art. 1123 c.c. e ss.

Le spese di carattere comune sono disciplinate sia dall’art. 1123 c.c., che detta i principi generali, sia da una serie di norme successive, che regolamentano specifiche fattispecie.

In virtù dell’articolo 1123, rimasto immutato rispetto al passato, tre sono i principi informatori della ripartizione delle spese in generale:

  • criterio di riparto in misura proporzionale al valore delle singole proprietà;
  • criterio di riparto in proporzione all’uso;
  • criterio di riparto in base alla destinazione esclusiva.

Del primo criterio si è già accennato nel paragrafo che precede e basti qui solo evidenziare che la norma è caratterizzata, nel suo complesso, dalla derogabilità non essendo ricompresa nell’ambito di quelle disposizioni espressamente dichiarate non eludibili dall’art. 1138, co. 4, c.c.

Il principio è rafforzato dall’inciso “salva diversa convenzione” contenuto nel primo comma della norma in questione.

La derogabilità dei criteri può aversi solo se prevista nel regolamento contrattuale (allegato ai singoli atti d’acquisto delle varie unità immobiliari), mediante convenzione sottoscritta da tutti i condomini o con delibera adottata all’unanimità (Cass. n. 7300/2010), ovvero se si possa ricavare da comportamenti concludenti protrattisi nel tempo, non essendo tale intesa assoggettata ad oneri di forma (Cass. n.  20318/2004).

In caso contrario la delibera non è annullabile ma affetta da una vera e propria nullità, sia pure relativa, e può quindi essere impugnata (e di conseguenza invalidata) dai condomini dissenzienti o astenuti senza l’osservanza dei termini e delle modalità per l’impugnazione delle delibere assembleari annullabili.

La ripartizione delle spese secondo l’uso è sancita dall’art. 1123, co. 2, c.c. a norma del quale, se i beni comuni servono i condomini in misura diversa, gli oneri devono essere suddivisi in ragione dell’uso che ciascuno può farne. Tale deroga «riguarda il caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa, inferiore o superiore al loro diritto di comproprietà sulle parti comuni. Nell'applicazione di detta norma deve aversi riguardo non al godimento effettivo bensì al godimento potenziale che il condomino può ricavare dalla cosa comune, atteso che quella del condomino è un'obbligazione "propter rem" che trova fondamento nel diritto di comproprietà sulla cosa comune, sicché il fatto che egli, potendo godere della cosa comune, di fatto non la utilizzi, non lo esonera dall'obbligo di pagamento delle spese suddette» (Cass. n. 13160/1991).

Il terzo criterio correttivo, rispetto alla ripartizione di carattere generale delle spese, è contenuto nell’art. 1123, co.3, c.c. che ha introdotto il concetto di utilità concreta ed in base al quale se i condomini traggono, di fatto, vantaggi esclusivi da determinate situazioni condominiali (edificio costituito da più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato) devono sostenere anche i relativi costi.

Per individuare l’effettiva utilità, sarà necessario analizzare la conformazione del complesso condominiale, così da poter valutare se l’utilità sia stata esclusa da elementi strutturali del condominio, oppure se il minore o mancato utilizzo dipenda da scelte personali.

Si pensi al caso di un condomino proprietario di un’unità abitativa, fisicamente separata dallo stabile condominiale, e che utilizzi un ingresso separato rispetto ad esso. Sarà da chiarire (in assenza di norma regolamentare chiarificatrice) se il condomino sia tenuto a concorrere alle spese relative a quelle parti comuni di cui non usufruisca, né benefici in alcun modo (esempio ingresso condominiale, androne etc.).

In casi analoghi, la giurisprudenza ha escluso che il proprietario di un’unità abitativa separata dal corpo di fabbrica principale del condominio ed avente accesso autonomo sulla pubblica via fosse tenuto a concorrere alle spese per la manutenzione di androne, scale e cantine, in ragione del fatto del mancato godimento delle utilità prodotte dalle parti comuni (Trib. Milano n. 3825/1991).

Del pari, la Suprema Corte (Cass. n.1255/1995) ha escluso che i proprietari di box compresi nel perimetro condominiale, ma separati dall’edificio principale, fossero tenuti a concorrere alle spese di manutenzione della facciata del corpo di fabbrica principale, stante la mancanza di un rapporto di pertinenzialità tra gli impianti destinati a servire il fabbricato principale ed i box stessi.

In questo contesto merita un cenno l’istituto del condominio parziale di cui ci siamo già occupati. Si ritiene, infatti, che proprio il terzo comma dell’articolo 1123 costituisca il fondamento normativo del condominio parziale, ovvero di quella fattispecie che si configura quando alcuni beni o impianti comuni sono destinati a servire solo parte del fabbricato.

Il condominio parziale è situazione che si configura per la semplificazione dei rapporti di gestione interni alla collettività condominiale (Cass. 2363/2012), laddove viene meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su beni o impianti, talché obbligati a contribuire alle relative spese sono solamente i condomini che ne sono contitolari e ne traggono utilità. E solo essi hanno diritto di voto nelle decisioni relative.

Infatti, la giurisprudenza afferma che « la fattispecie del condominio parziale, che rinviene il fondamento normativo nell'art. 1123, comma 3, c.c., è automaticamente configurabile "ex lege" tutte le volte in cui un bene risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato oggettivamente al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell'edificio in condominio, rimanendo, per l'effetto, oggetto di un autonomo diritto di proprietà e venendo meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene; ne consegue che i partecipanti al gruppo non hanno il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose di cui non hanno la titolarità e la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare» (Cass., ord., n. 791/2020).

 

 

 

 

 

MANUALE GIURIDICO DELL’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO a cura di Adriana Nicoletti - Avvocato del Foro di Roma - Foroeuropeo – Rivista Giuridica online - Reg. n. 98/2014 Tribunale di Roma - Registro speciale Ordine Giornalisti del Lazio - Direttore Avv. Domenico Condello