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La morosità nella locazione nel periodo di pandemia. Prima giurisprudenza di merito. Mancato o ritardato pagamento del canone durante il periodo emergenziale

 La molteplicità dei decreti governativi emanati nell’ultimo anno e mezzo, riguardanti la sospensione dell’esecuzione degli sfratti per morosità e, in generale, ispirati alla tutela dei conduttori danneggiati dal lockdown, ha subito creato problemi interpretativi. 

La giurisprudenza di merito si è recentemente pronunciata al riguardo, fornendo importanti chiarimenti in ordine ad alcuni punti controversi sul tema.

La decisione più rilevante appare quella del Tribunale di Roma (sentenza del 9 aprile 2021) riguardante le misure di contenimento di cui ai vari numerosi DPCM susseguitisi nel periodo. Ciò, in quanto i conduttori hanno ritenuto frequentemente di poter omettere ovvero di ritardare il pagamento del canone, in quanto espressamente autorizzati dai provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione alle difficoltà in cui versavano in conseguenza del covid-19.

Il Tribunale giudicante ha chiarito, con una motivazione chiara e condivisibile, che i DPCM hanno un valore solo di provvedimenti amministrativi generali, come tali privi di valore normativo (cfr, sul punto Cass. n. 25995/2019), escludendo così l’applicabilità d’ufficio del principio “iura novit curia” e ponendo a carico del conduttore intimato l’onere della prova del suo diritto: nella specie quest’ultimo non aveva contestato la morosità, ma si era limitato a sostenere che la stessa era da attribuirsi alle misure restrittive anti covid adottate dal Governo, senza alcuna produzione in giudizio.

Ad analoghe valutazioni è pervenuto il Tribunale di Palermo (con sentenza del 26 aprile 2021) ritenendo ingiustificata la morosità, non riguardando il DPCM l’esecuzione di una prestazione con ad oggetto il pagamento di una somma di denaro.

Ancora, in tema di applicazione delle misure anticovid, il Tribunale di Napoli (con sentenza del 12 maggio 2021) che, in ipotesi di sfratto per morosità risalente ad epoca anteriore alla pandemia, ha respinto la richiesta  del conduttore di sospendere l’esecuzione del rilascio, pur in presenza del DPCM mille proroghe, accogliendo così la domanda di sfratto del locatore, in considerazione della preesistenza dell’inadempimento rispetto al momento della pandemia ed in presenza di una colpevolezza dell’intimato, indiscutibilmente di grave e notevole importanza rispetto agli interessi delle parti.

Infine, va citata la sentenza del 18 maggio 2021 del Tribunale di Milano, relativa ad una locazione relativa di impianti sportivi, in ipotesi di sospensione dell’attività con conseguente riduzione del canone. Premesso che, la norma (art. 216, III comma della legge n. 77/2020), che consente al conduttore di ridursi il canone (nella misura del 50% rispetto a quello fissato nel contratto) è applicabile, in via analogica, anche alle locazioni commerciali, industriali e professionali, il giudicante ha ragionevolmente ritenuto di sospendere  l’esecuzione dello sfratto in presenza di un factum principis, anche per evitare una disparità di trattamento, evidentemente incostituzionale, tra fattispecie del tutto analoghe.

Per concludere, pur apparendo per lo più corrette le decisioni sopra brevemente esaminate si attendono decisioni della Suprema Corte sui temi riguardanti l’applicazione dei provvedimenti governativi concernenti le misure anticovid, a chiarimento definitivo delle problematiche insorte successivamente alla loro emanazione. 

i ricorrenti avrebbero dovuto specificare l’interesse giuridico e la concreta utilità processuale dell’eccezione, essendo inammissibile l’impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per essa parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (in tal senso cfr. Cass. sez. un. nn. 20685/2018 e 11141/2017), non potendosi esercitare un diritto al rispetto delle regole processuali in quanto tali, ma potendo agire giudizialmente solo se, in dipendenza della loro violazione, ha subito un concreto pregiudizio, che va specificamente dedotto (cosa che non è avvenuta nella specie)” ed ha rilevato l’inammissibilità anche del secondo motivo di gravame per mancata specificità “non essendo stata neppure individuata la norma violata e traducendosi il motivo in una censura sulla valutazione delle prove, inibita in sede di legittimità, perché di esclusiva pertinenza del giudice di merito”.