Skip to main content

profili di responsabilita' penale dell'amministratore di condominio

profili di responsabilita' penale dell'ammnistratore di condominio - a cura di MARIA BEATRICE MAGRO Avvocato del Foro di Roma – Ordinario diritto penale

Profili di responsabilita' penale dell'ammnistratore di condominio a cura di MARIA BEATRICE MAGRO Avvocato del Foro di Roma – Ordinario diritto penale

Indice.
L'evoluzione dell'istituto e della normativa. I soggetti responsabili. I reati comuni: ingiuria e diffamazione, violazione di domicilio, appropriazione indebita e truffa, mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, inosservanza di provvedimenti dell'autorità, rumori e quiete pubblica. 

Nuovi profili di responsabilità dell'amministratore di Condominio: a) la posizione di garanzia verso l'incolumità pubblica e in tema di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro: incendio, omissione colposa di cautele, rimozione dolosa di cautele, omissione di lavori in edifici che minacciano rovina, lesioni e omicidio colposo in violazione della normativa antinfortunistica. c) la titolarità del procedimento di trattamento di dati personali: profili di tutela della privacy e della riservatezza.

L'evoluzione dell'istituto e della normativa.
Il condominio è un istituto che, nel corso degli anni, ha subito una continua e profonda evoluzione, scaturita dall'importanza assunta nel tessuto sociale soprattutto nelle grandi città. L'esigenza di organizzazione e di ripartizione degli oneri economici della forte evoluzione tecnologica che ha investito la vita comune degli individui, hanno dato origine ad un cospicuo contenzioso giudiziario, a sua volta alla base del proliferare di numerose leggi speciali in tema di sicurezza degli impianti termici, di ascensore, di ricezione radiotelevisiva, idrico e fognario, dei luoghi di lavoro, di privacy, di tutela dell'ambiente e dell'incolunita pubblica. Questa legislazione speciale, in aggiunta a alcune norme del codice civile, assegna all'amministratore di condominio ruoli e compiti del tutto inediti, con forti ripercussioni sul piano penale. Tale processo ha comportato una maggiore estensione dell'ambito delle sue responsabilità, non solo sotto il profilo civilistico (responsabilità contrattuale e extracontrattuale), anche sotto quello penalistico. Questi due profili di responsabilità non si sovrappongono ma si intersecano, in quanto, come vedremo, in parte anche quella penale trova fondamento e ratio legittimante nei doveri e poteri che la legge civile assegna all'amministratore.
Quindi, accanto una responsabilità civilistica contrattuale colposa che trova fondamento nel rapporto di mandato l'art. 1710 e la responsabilità extracontrattuale da atto illecito che trova fondamento (ex art. 2043 c.c.), assume autonoma rilevanza la responsabilità penale per le azioni o omissioni poste in essere dall'amministratore del Condominio. In proposito, occorre fin da ora precisare che fondamento delle responsabilità penale dell'amministratore risiede negli artt. 1130 n.3 e 4 e 1135 comma 2 cc., norme che incardinano una posizione di garanzia da cui scaturisce l'obbligo di vigilare sulle parti comuni e di adottare tutte le misure idonee a prevenire pericoli per la incolumità pubblica derivanti dalle cose comuni.
In ogni caso, occorre richiamare i caratteri della responsabilità penale, che non opera in virtù di generici obblighi contrattuali o dai doveri generali di neminem laedere, ma che consegue alla violazione di specifiche e tassative norme penali che descrivono, in modo frammentario e puntiforme, condotte vietate penalmente. Si tratta per lo più di fattispecie comuni, applicabili a chiunque, di natura commissiva, e solo qualcuna di natura omissiva si incardina su specifici obblighi che gravano anche a prescindere da una formale investitura: sono così equiparati i cd. amministratori di fatto, sia i mandatari o i custodi, nei casi in cui non vi era la nomina esplicita dell'amministratore.

I soggetti.
Occorre specificare che la responsabilità penale concerne la figura dell'amministratore di condominio in quanto tale, ovvero come persona fisica e non si riverbera sul condominio come ente di gestione in sé e per se considerato, il quale è un soggetto irresponsabile penalmente, anzi non è un soggetto giuridico.
Invero, si è posta la questione se il condominio, quale ente di gestione, possa essere soggetto alla responsabilità amministrativa da reato prevista dal decreto 231/2001 per tutti gli enti, riconosciuti o non, o anche di fatto, qualora un soggetto apicale (l'amministratore) o un dipendente abbiano commesso un reato c.d. presupposto nell'interesse o a vantaggio dell'ente medesimo. La questione si allaccia a quella della natura giuridica del condominio. Fino ad adesso si registra una posizione assai restrittiva che non qualifica il condominio un ente, neppure di fatto e quindi lo sottrae alla responsabilità da reato; a ciò si aggiunge l'ovvia considerazione che i reati commessi dall'amministratore per lo più non si riverberano a vantaggio o nell'interesse del condominio, ma anzi a suo danno. Tuttavia, il mutato ruolo dell'amministratore di condominio quale garante della salute e sicurezza sul luogo di lavoro e delle violazioni di normativa sulla sicurezza dei condomini e della collettività, con conseguenti notevoli oneri economici per il condominio, può invece lasciar propendere per la sussistenza di un interesse del condominio alla realizzazione di reati da parte dell'amministratore e non è escluso che in futuro la giurisprudenza non allarghi il campo di applicazione dei soggetti passibili di applicazione del decreto 231/2001 comprendendo anche enti di gestione privi della soggettività giuridica.
Va infine sottolineato che con il costante evolversi della figura dell'amministratore di condominio, si ripete sempre più gravato da forti responsabilità derivanti da numerose leggi speciali, si va diffondendo la prassi, avallata dalla Cassazione (22840/2006), di affidare la gestione condominiale a persone giuridiche soggette all'applicazione del decreto 231/2001 per i reati presupposto commessi da apicali o subordinati. Il tal caso non sarebbe il Condominio l'ente sottoposto alla responsabilità amministrativa da reato ma la persona giuridica cui appartiene il preposto che ha commesso un reato nel suo interesse o a vantaggio.

I reati comuni: Ingiuria e diffamazione (artt. 595-595).
Occorre premettere che l'amministratore di condominio, in quanto tale, non è un autore qualificato. Poiché il condominio, quale ente di gestione, è sottratto all'applicazione delle norme di diritto commerciale relative alle società, egli non assume la qualifica di soggetto attivo dei reati societari previsti nel codice civile (artt. 2621 cc. e ss.), salvo che nella qualità di apicale appartenente ad una società comerciale. Ne segue quindi che egli quindi incorre nell'applicazione di un qualunque reato c.d. comune.
Ci riferiamo ad esempio ai reati di ingiuria, magari commessa nel corso di una assemblea condominiale (art. 594 c.p.) o di diffamazione (art. 595 c.p.) ove la tutela dell'onore e del decoro dei condomini impone il rispetto dei principi di continenza, adeguatezza dei toni ai contenuti dell'informazione, assenza di espressioni ingiuriose e offensive, riservatezza dei dati informativi comunicati. Sono rilevanti i casi di espressioni lesive dell'altrui onore non scritte, pronunciate in assemblea o eventualmente pubblicate nel sito internet condominiale o in altro modo accessibili anche a terzi.
L ' ingiuria è un delitto che consiste nell'offesa all'onore o al decoro di una persona presente sanzionato in maniera più afflittiva nel caso in cui l'espressione offensiva consista nell'attribuzione di un fatto determinato o sia proferita in presenza di più persone.
La diffamazione è un delitto che lede l'onore o il decoro di una persona e che trova articolazione nella condotta di chi offende la reputazione altrui comunicando con più persone in assenza della persona offesa. Oltre alla forma semplice è prevista, anche qui, un' ipotesi aggravata nel caso in cui l'offesa consista nell'attribuzione di un fatto determinato.
In giurisprudenza, si è ravvisato il reato di diffamazione qualora l'amministratore abbia affisso nell'atrio del condominio un avviso di convocazione dell'assemblea condominiale, contenente la comunicazione della denuncia di un condomino da parte dell'amministratore stesso (Cass. Pen. 8 giugno 1973, n. 4562); o ancora qualora l'amministratore invii una lettera a tutti i condomini con i quali questi sono edotti della morosità di uno di essi relativamente alla quota dovuta per l'adeguamento dell'impianto elettrico, definendolo un "anarcoide che intralcia e fomenta e mantiene comportamento scorretto" (Cass. pen. Sez. V, 23/11/2005, n. 282). Si tratta di reati perseguibili a querela di parte e non di ufficio per i quali non è ammesso arresto in flagranza o comminatoria di misure cautelari; l'ipotesi semplice è di competenza del Giudice di Pace mentre l'ipotesi aggravata appartiene alla competenza del Tribunale monocratico. La sanzione eventualmente inflitta è comunque al di sotto dei due anni per cui il soggetto eventualmente condannato potrà beneficiare della sospensione condizionale della pena
Ricordiamo che tutti i reati comuni (ingiurie, diffamazioni, minacce, etc.) l'amministratore risponde sotto il profilo della responsabilità penale al pari di qualunque altro soggetto (e magari in concorso con altri condomini ex art. 110), salvo vedere inasprita la sua responsabilità dall'applicazione, ricorrendone i presupposti, dell'aggravante comune di cui all'art. 61 n° 11 c.p. e che egli può anche rivestire il ruolo di persona offesa del reato di diffamazione: l'esercizio del diritto di critica del professionista da parte dei condomini fa venir meno le responsabilità penale, purchè esso non sconfini nell'attacco gratuito e personale, ma si realizzi nelle forme di critica motivata e circonstanziata.
Per costante orientamento della Cassazione l'amministratore di condominio incorre in responsabilità penale qualora, anche nel caso tipico di imminente distacco delle forniture d'opera necessarie alla vita condominiale, renda noti i nominativi dei condomini morosi tramite mezzi accessibili ad una pluralità di persone, anche estranee alla compagine condominiale e ciò a prescindere dall'uso di espressioni ingiuriose.
Il Supremo Collegio, in particolare, ha osservato come l'amministratore, nell'esercizio della propria attività gestionale, qualora sia motivato dall'esigenza di evitare un evento grave quale l'interruzione di un servizio, possa anche utilizzare modalità comunicative potenzialmente accessibili a terzi estranei al condominio, come l'affissione di informazioni nell'androne comune o nelle apposite bacheche destinate alle comunicazioni ai condomini a condizione che si adottino opportune cautele. Tale tipo di comunicazione, infatti, è dotata dei necessari requisiti di estrema celerità comunicativa e non da luogo al diffondersi di contenuti diffamatori qualora non contenga l'indicazione nominativa dei singoli condomini morosi. Il condomino moroso non può essere additato mediante affissione del nominativo nella bacheca condominiale anche se le inadempienze possono essere comunicate agli altri condomini sia al momento del rendiconto annuale che a seguito di richiesta effettuata dai singoli condomini nell'esercizio del potere di vigilanza e controllo. Ricordiamo che viene riconosciuta a ciascun condomino a proprie spese la possibilità di prendere visione ed estrarre copia della rendicontazione periodica, in tal modo venendo a conoscenza di eventuali morosità degli altri condomini.
Oltre quindi alle norme penali in tema di ingiuria e diffamazione, qualora vengano usate espressioni poco decorose ed offensive, si evidenzia anche un profilo di tutela di riservatezza dei dati personali di cui è a disposizione l'amministratore ai fini della tenuta dell'anagrafe condominiale e soprattutto di dati relativi alla morosità. In questo caso, anche la sola indicazione del nominativo viola le norme penali sulla tutela della privacy.

Distruzione o deterioramento di affissioni (art.664).
D'altra parte, la giurisprudenza ha chiarito che solo l'amministratore di un condominio è legittimato a procedere all'affissione, nell'atrio o nell'ingresso dello stabile amministrato, di scritti o disegni interessanti i condomini, tale facoltà derivandogli dall'incarico affidatogli e dalla stessa necessità di espletare le proprie mansioni. Uguale facoltà non spetta a coloro che non rivestono tale qualità, i quali per le comunicazioni ai condomini possono rivolgersi all'amministratore o se del caso all'assemblea. Non è punibile pertanto ai sensi dell'art. 664 comma secondo, c.p., la distruzione o il deterioramento di scritti o disegni fatti affiggere nell'ingresso di un condominio da persona diversa dall'amministratore (Cass. pen. Sez. VI, 06/10/1971, n. 798).

Violazione di domicilio (art. 614).
Altri reati comuni ravvisati a carico dell'amministratore sono la violazione di domicilio, riscontrabile ad es. quando l'amministratore si introduca nell'appartamento di un condomino contro la sua volontà per effettuare delle verifiche autorizzate da delibera (art. 614 c.p.). Inoltre, in caso di resistenza del condomino l'amministratore dovrebbe adire l'autorità giudiziaria, potendosi ravvisare anche l'ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle cose qualora al fine di far valere un preteso diritto, l'amministratore danneggia la cosa (art. 592).

Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone (art. 659) e le immissioni rumorose.
Il regolamento condominiale può entrare nel dettaglio della vita dei condomini, regolamentando condotte a attività che possono arrecare disturbo alla quiete pubblica e ai singoli condomini e compromettere la salute e la qualità della vita (es. presenza di animali in appartamento, uso di strumenti musicali, svolgimento di mestieri rumorosi). I rumori molesti, in specie nelle ore notturne, come trascinare mobili, tenere la musica ad alto volume, martellare i muri, ecc., provenienti da un appartamento sito all'interno di uno stabile condominiale possono integrare la nozione di 'disturbo' - elemento materiale della contravvenzione di cui di cui all'art. 659 c.p., primo comma, del codice penale, che espressamente punisce "chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici è punito con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino ad euro 309".
La norma punisce qualunque condotta, di tipo commissivo od omissivo, idonea a determinare il disturbo delle occupazioni o del riposo, indifferentemente posta con dolo o con colpa. E' cioè necessario che l'agente si renda conto di porre in essere una condotta lesiva del bene costituito dalla quiete pubblica e privata (dolo), ovvero che avrebbe dovuto rendersene conto usando la normale diligenza (colpa).
Va chiarito che penalmente responsabile è colui che arreca disturbo alla quiete ovvero colui che esercita un potere di vigilanza derivante dalla legge o da un contratto su soggetti (bambini) o cose (animali, macchinari, strumenti di lavoro) fonte di rumore. La responsabilità omissiva va quindi collegata ad una posizione di garanzia derivante dalla legge o da un contratto, o da un ordine dell'autorità pubblica. Ne segue quindi che, salvo che il regolamento non assegni una specifica competenza in tema di rispetto della quiete pubblica, l'amministratore di condominio non sarà penalmente responsabile, potendo al limite attivare poteri sanzionatori verso i condomini per le violazioni del regolamento condominiale.
Va altresì chiarito che ai fini della punibilità del soggetto agente è necessario che la stessa sia astrattamente idonea a determinare un disturbo diffuso e generalizzato delle occupazioni e/o del riposo di una multitudine di persone, quantunque sia anche una sola persona a lamentarsene.
Perché possa ritenersi integrata la fattispecie disciplinata dall'art. 659 c.p. occorre la prova del superamento dei limiti della normale tollerabilità di emissioni sonore e della percettibilità delle emissioni stesse da parte di un numero illimitato di persone, ( tutti gli occupanti il condominio o una parte di esso) a prescindere dal fatto che in concreto tali persone siano state effettivamente disturbate. Secondo il generale principio, di origine giurisprudenziale, i rumori cosiddetti "intollerabili" devono avere l'attitudine a disturbare una cerchia indeterminata di persone, poiché è solo in simile evenienza che si verifica una lesione o messa in pericolo della pubblica tranquillità che è il bene giuridico protetto dalla fattispecie incriminatrice dell'articolo 659 c.p. In sostanza per la configurabilità del reato di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone non è necessario che in concreto si siano lamentate più persone, atteso che è sufficiente che i rumori abbiano determinato una situazione tale, dal punto di vista oggettivo, da poter recare disturbo ad una pluralità di soggetti. Trattandosi di un reato di pericolo è sufficiente che la condotta dell'agente abbia l'attitudine a ledere il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice ed è indifferente che la lesione del bene si sia in concreto verificata. Cosicché la contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio in cui è inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti. In tale ipotesi non si produce il disturbo, effettivo o potenziale, della tranquillità di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite persone, e un fatto del genere può costituire ad avviso di alcune pronunce giurisprudenziali, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma non assurgere a violazione penalmente sanzionabile (in tal senso si è espressa Cass. Pen. Sez. I, 11 luglio 2012, n 27625; Cass. pen. Sez. I, 5 febbraio 1998, n.1406; per giurisprudenza di merito Tribunale Genova, 21 gennaio 2011, n.141).
La valutazione del criterio della normale tollerabilità va effettuata con parametri riferibili alla media sensibilità delle persone che vivono nell'ambiente ove i rumori fastidiosi vengono percepiti, mentre è irrilevante l'eventuale assuefazione di altre persone, che abbiano giudicato non molesti i rumori stessi. Al riguardo è stato ritenuto che non vi è la necessità di ricorrere ad una perizia fonometrica allorché il giudice, basandosi su altri elementi probatori acquisiti agli atti, si sia formato il convincimento, esplicitato con motivazione indenne da vizi logici, che vi sia stato il superamento dei limiti di tollerabilità (Cass. pen. Sez. I, 28 marzo 1997, n. 3000). La casistica giurisprudenziale ha altresì evidenziato che la durata del rumore o dello schiamazzo non ha alcuna rilevanza ben potendo il riposo essere disturbato anche da un rumore breve ed improvviso, quando esso sia molto elevato (Cass. pen. Sez. I, 8 luglio 1987, n. 8252).

L'inosservanza di un provvedimento dell'autorità pubblica (art. 650).
L'art. 650 c.p. punisce con l'arresto fino a tre mesi chi non ottempera ad un provvedimento legalmente dato dall'autorità per ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico o igiene. La norma pur non essendo specifica, può trovare applicazione anche nei confronti dell'amministratore, quando gli sia stato ordinato di eseguire opere sulle parti comuni dell'edificio con caratteristiche rientranti nella disposizione. Così avviene per l'inadempimento di un ordine dell'Autorità notificatogli, che gli impone di ridurre la rumorosità dell'impianto di riscaldamento.
Si tratta di provvedimenti dell'autorità che si esplicitano nell'ordinare l'esecuzione di opere sulle parti comuni dell'edificio condominiale. Il reato non sussiste, dunque, quando il provvedimento dell'autorità è emesso nell'interesse esclusivo di uno solo dei condomini.
In giurisprudenza si è osservato come non costituisca reato il fatto dell'inottemperanza dell'amministratore all'ordine del sindaco, emesso nell'interesse di un unico condomino, avente ad oggetto la predisposizione delle necessarie misure tecniche idonee ad attenuare il rumore di un impianto di riscaldamento (Cass. 9 maggio 1986, n 3510).
Costituisce invece reato l'inosservanza dell'ordine del sindaco avente ad oggetto l'opera di predisposizione di transenne attorno al perimetro di un edificio per ragioni di sicurezza (Cass., 6 marzo 1995, n. 5451).

I reati dell'amministratore contro il patrimonio: l'appropriazione indebita (art. 646).
Maggiore rilevanza assume l'ipotesi che l'amministratore di condominio, in quanto amministratore di un ente di gestione, leda il bene del patrimonio individuale dei singoli condomini o del condominio medesimo. In questo caso il comportamento attivo o omissivo dell'amministratore può integrare le fattispecie di appropriazione indebita aggravata o di truffa aggravata.
Costituisce una classica ipotesi di reato commesso da chi gestisce o amministra beni altrui l'appropriazione indebita, la quale presuppone il preesistente possesso di denaro o altri beni mobili in capo al soggetto attivo. L' appropriazione indebita è un delitto contro il patrimonio che si articola nella condotta di chi si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia il possesso al fine di procurare a se o ad altri un profitto ingiusto. Come è noto, l'elemento costitutivo del reato di cui all'art. 646 c.p. è costituito dall'esercizio di un potere autonomo sulla res altrui, ed infine il possesso della res mobile altrui, disgiunto dalla proprietà.
Sul piano dell'elemento oggettivo, appare fondamentale delineare la nozione penalistica di possesso. Quest'ultimo può definirsi come un potere di fatto sulla cosa esercitato autonomamente, cioè fuori della sfera di vigilanza diretta di chi abbia - sulla cosa stessa - un potere maggiore.
Diversa dalla nozione di possesso è quella di detenzione, la quale viene a restringersi ai soli casi di potere di fatto esercitato sotto la sfera giuridica di sorveglianza di chi abbia su di essa potere maggiore (come - per esempio - lo studioso che consulta un libro in biblioteca).
L'elemento psicologico del reato di appropriazione indebita è il dolo specifico; infatti, l'art. 646 c.p. richiede non soltanto la coscienza e volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui (cioè di iniziare a tenerla come se ne fosse il reale proprietario, uti dominus), ma altresì il fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
In altri termini, l'elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita presuppone la consapevolezza di trattenere per sé la cosa, posseduta a qualsiasi titolo, pur sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità.
Prima della riforma del 2012 la mancanza di specifiche e coerenti indicazioni legislative circa la necessità di far transitare le somme di spettanza dell'ente condominio su di un apposito conto corrente, portava ad una possibile confusione tra il patrimonio dell'amministratore e quello del singolo condominio, come anche tra le risorse dei vari condomini gestiti dallo stesso amministratore.
Il novellato art. 1129 c.c. dispone ora come l'amministratore di condominio sia obbligato a far transitare su di un apposito conto corrente bancario o postale, intestato al condominio, tutte le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle erogate a qualsiasi titolo per conto del condominio mentre ciascun condomino può prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica.
Si tratta di condizioni di nuova trasparenza che tutelano non solo la posizione del condominio inteso come "ente di gestione", quella dei singoli condomini e dei terzi ma anche della stessa amministrazione obbligata ad operare secondo parametri unitari di efficiente amministrazione.
Queste disposizioni rendono quindi più difficile –ma non escludono – la possibilità pratica che l'amministratore si appropri di denaro appartenente ai condomini o al condominio o destini tale denaro ad altri scopi. Così risponderà di tale reato l'amministratore di condominio, tenuto ai sensi dell'art. 1130 n.4 c.c. a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni, nel caso in cui si verifichi un ammanco di cassa, anche di esigua entità, (Cass., 11 aprile 2012 n. 36022 ) o nel caso in cui le risorse patrimoniali non vengano utilizzate per le finalità tipiche della realtà organizzativa condominiale. Ciò avviene nel caso di mancato versamento degli oneri contributivi condominiali quando essi vengano utilizzati, attraverso l'appropriazione, per finalità estranee alla gestione ed amministrazione della cosa comune.
Quanto alle "forme di manifestazione del delitto", si può osservare, come al modo "semplice" di manifestazione, sanzionato con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino ad euro 1032,00, possano affiancarsi ipotesi sia aggravate che attenuate.
Le ipotesi concernenti le aggravanti comuni di più frequente rilievo applicativo, determinanti un aumento di pena edittale fino ad un terzo, sono quelle previste dall'art. 61 ai numeri 7 e 11 c. p. La prima di esse si identifica nell'aver cagionato alla persona offesa dal reato un danno patrimoniale di rilevante entità (T. Roma, 4 giugno 2004 n. 12910) mentre la seconda concerne un fatto di appropriazione indebita commesso con abuso di prestazione d'opera. (Cass. Pen., 6 dicembre 2005, n. 3462 ).
Quanto alle circostanze attenuanti, ricordiamo quella relativa al danno o lucro di speciale tenuità, e quella consistente nell'avere, prima del giudizio, riparato interamente il danno mediante il risarcimento di esso e, quando sia possibile, mediante le restituzioni, o nell'essersi spontaneamente ed efficacemente adoperato per elidere o attenuare le conseguenze dannose del reato. L'appropriazione indebita è perseguibile a querela di parte nella forma semplice e di ufficio nella forma aggravata di cui all'art. 61 n. 11 già menzionato. Per esso è previsto l'arresto facoltativo in flagranza e la comminatoria di misure coercitive ed è assoggettato alla competenza del tribunale monocratico.

Evoluzione della casistica in tema di appropriazione indebita: tenuta e omessa restituzione dei rendiconti contabili.
Precisiamo che la fattispecie di appropriazione indebita può assumere rilevanza anche con riferimento alla violazione dell'obbligo di consegna o restituzione della documentazione contabile e non solo con l'appropriazione di somme di danaro. In proposito ricorre l'art. 1129 c.c.: "alla cessazione dell'incarico l'amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini"; pertanto integrerà il reato di appropriazione indebita la condotta dell'amministratore che rifiuti o ritardi la consegna della documentazione allorquando tale condotta sia finalizzata al conseguimento di profitto ingiusto.
Infatti la recente giurisprudenza della Cassazione (sentenza n. 2951 del 10 luglio 2013), ha ritenuto rilevante penalmente la condotta appropriativa, posta in essere da un amministratore di condominio, dopo che gli era stato notificato un atto di precetto, contenente l'intimazione di eseguire un ordine di consegna della documentazione contabile inerente all'ente amministrato. Nello specifico, l'indebita appropriazione era avvenuta trattenendo e volontariamente negando la restituzione della predetta documentazione, pur nella consapevolezza di non aver più titolo per continuare ad averne il possesso, essendo intervenuta la revoca dell'amministratore, e così essendosi verificata la interversione del possesso. Infatti il momento consumativo del reato di cui all'art. 646 c.p. non equivale necessariamente a quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione, atteso che la mancata restituzione colposa non integra gli estremi del reato, né con quello dell'alienazione della cosa da parte del possessore, che può essere preceduta dall'interversione.
La consumazione del reato sussiste invece – come nel caso di specie – al momento del rifiuto ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso: tale condotta rende manifesta l'esistenza sia dell'elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità del possesso, sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa stessa un ingiusto profitto. E' in tale momento che il reato deve ritenersi integrato in tutti i suoi elementi.
Nello specifico, la Suprema Corte ha ritenuto che la condotta dell'amministratore di condominio comprovasse la volontà di non restituire le cose di cui aveva il possesso, e dunque è stata ritenuta necessaria e sufficiente a configurare il reato de quo (Cass. sez. II pen., 10 luglio 2013 n. 29541).

Mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 comma 2).
Anche altra recentissima sentenza della Cassazione ( n.31192 del 16.07.2014) ha ritenuto penalmente responsabile l'amministratore di condominio che a incarico finito, nonostante l'ordine in tal senso del tribunale non aveva consegnato al nuovo amministratore i conti e le carte condominiali. Il caso riguarda un amministratore di condominio, condannato in primo grado ed in appello per essersi rifiutato di restituire i documenti contabili inerenti all'amministrazione di un condominio, si rivolgeva in Cassazione per ottenere l'assoluzione dai reati addebitatigli: il ricorso è stato però respinto e l'amministratore condannato anche alle spese processuali dalla Seconda Sezione Penale della Cassazione che, ha infatti confermato la sua responsabilità per entrambi i reati contestati, ossia appropriazione indebita aggravata (artt. 646 e 61 n. 7 cod. pen.) e mancata esecuzione di un provvedimento giurisdizionale (art. 388 co. 2 cod. pen.).
Innanzitutto appropriazione indebita, poiché la mancata restituzione dei documenti relativi all'amministrazione di un condominio, come più volte ricordato dai Giudici di Legittimità (su tutte Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 29451 del 10/07/2013 e Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 40906 del 18/10/2012), integra appunto gli estremi di tale reato, per di più nella forma aggravata di cui all'art. 61 cod. pen., perché commessa con "abuso di relazioni originate da prestazione d'opera" (Cass. Penale, Sez. VI, sent. n. 36022 del 05/10/2011).
Nel caso in questione al reato di cui all'art. 646 c. p. si cumula quello previsto dall'art. 388 co. 2 c. p. Ed invero, laddove alla mancata restituzione dei documenti segua (insieme o in alternativa ad una denuncia per appropriazione indebita) un ricorso al Giudice Civile in via d'urgenza per ottenere un provvedimento che imponga all'ex amministratore di riconsegnare i documenti in suo possesso, la disubbidienza a tale provvedimento costituirà un reato autonomo che si aggiungerà a quello già commesso di appropriazione indebita.
La Cassazione, infatti, ribadendo un orientamento costante e risalente sino al 1987 (Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 2908 del 08/10/1987), ha ricordato come "rientrano tra i provvedimenti cautelari del giudice civile la cui dolosa inottemperanza dà luogo a responsabilità penale tutti i provvedimenti cautelari previsti nel libro IV del codice di procedura civile, e quindi non soltanto quelli tipici, ma anche quello atipico adottato ex art. 700 c.p.c. (Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 31192 del 16/07/2014).
Disobbedire ad un provvedimento giurisdizionale è un reato, quindi, ma solo quando la mancata esecuzione spontanea renda ineseguibile quel provvedimento come nel caso di specie, dal momento che l'obbligo di restituzione dei documenti non poteva essere diversamente eseguito, neppure coattivamente, senza la spontanea collaborazione dell'ex amministratore (Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 36692 del 27/09/2007).
Inoltre, affinché la mancata esecuzione al provvedimento del Giudice Civile costituisca il reato di cui all'art. 388 co. 2 c. p. è infine necessario che il ricorso civile miri a tutelare la proprietà o il possesso o, ancora, il credito: i documenti, quindi, di cui si chiede la restituzione devono essere necessari alla tutela di uno di questi tre diritti. In proposito la Cassazione ha ritenuto "pacifico che l'ordine (non osservato) di consegna della documentazione contabile inerente all'amministrazione di un condominio incide sulla proprietà condominiale, impedendone la corretta amministrazione" (Cass. Pen., Sez. II, sent. n. 31192 del 16/07/2014).
È cioè impossibile amministrare correttamente un complesso condominiale (e quindi occuparsi della sua proprietà) senza i documenti contabili inerenti la sua precedente gestione per cui la mancata restituzione di tali documenti, nonostante sia stata disposta in via d'urgenza dal giudice cautelare, integra gli estremi del reato di cui all'art. 388 co. 2 c.p. la mancata restituzione è "sintomatica del fatto che egli abbia un preciso interesse a non consentire una ricostruzione della sua gestione patrimoniale".

I reati contro il patrimonio: la truffa aggravata ai sensi dell'art. 61 n.11 (art. 640 c.p.)
Ancora, in tema di mancata restituzione della documentazione contabile, recente giurisprudenza di merito ( Tribunale di Firenze, Giudice monocratico, - sentenza depositata il 30 marzo 2000) ha ravvisato il reato di truffa nella condotta dell'amministratore di condominio per aver posto in essere artifici e raggiri consistenti nella falsa redazione del rendiconto, per farsi versare somme da parte dei condomini tratti in inganno.
Precisiamo che il rendiconto deve enumerare la quantità delle somme percepite dall'amministratore (voci di entrata, cioè le quote dei singoli condomini), la causale e la quantità delle spese fatte, accompagnate dai corrispondenti documenti giustificativi, in modo da rendere intellegibile all'assemblea l'andamento della gestione. Ne deriva che se il rendiconto presentato in assemblea non corrisponde allo scopo, l'approvazione assembleare si forma in maniera viziata, con la conseguente possibilità di azione giudiziaria ex art. 1137 c.c., se il termine non è spirato, ovvero, nella sede penale, di punire la truffa quando alla violazione dell'obbligo sia derivata la disposizione patrimoniale da parte del deceptus e l'ingiusto profitto per la gente. Una volta sopravvenuta l'approvazione del rendiconto e spirato il termine per l'impugnativa, l'apparenza, creata dal rendiconto falso si è tramutata in realtà immodificabile.
La violazione del dovere giuridico realizza altresì l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p. conseguente all'abuso del rapporto giuridico professionale ed al tradimento della fiducia riposta nell'amministratore dai condomini.
Qualora nei rendiconti e nei documenti contabili del condominio vengano inseriti dati attivi o passivi falsi, a prescindere dal perfezionarsi della truffa, in caso di induzione in errore dei condomini, si ravvisa il reato comune di falso in scrittura privata (art. 485) e non di false comunicazioni sociali puniti dagli art. 2621 e 2622 c.c., non costituendo il condominio una società commerciale ma un mero ente di gestione.

Nuovi profili di responsabilità dell'amministratore di Condominio: la posizione di garanzia verso l'incolumità pubblica e nei luoghi di lavoro
Accanto ai reati comuni, vi sono alcune fattispecie penali che interferiscono con lo svolgimento dei compiti tipici dell'amministratore di condominio e che lo rendono responsabile per omissioni in relazione all' assunzione di una posizione di garanzia. Più precisamente, vi sono delle fattispecie di reato che sono configurabili specificatamente a carico dell'amministratore quale soggetto attivo, in quanto connesse alle mansioni cui questi è tenuto. In tali casi i reati sono definiti propri, nel senso che possono essere commessi solo da chi riveste specifiche qualifiche stabilite dalla legge.
Occorre infatti ricordare la sempre crescente complessità di incarichi e compiti che ruotano attorno alla figura dell'amministratore in tema di normativa antincendio, di emissione di gas e esalazioni, di inquinamento acustico, di riscaldamento e produzione di energia nonchè l'evoluzione delle tecnologie legate ad impianti condominiali termici, elettrici, di aria condizionata, di ascensore, in materia di uso di piscine. A tale normativa speciale occorre fare riferimento per individuare i compiti e i doveri dell'amministratore, la cui inerzia o omissione incardina una responsabilità omissiva - spesso a titolo di colpa - per non aver fatto ciò che era obbligato a fare.
Si incardina quindi una responsabilità a titolo di omissione pura, quando la legge impone di agire, o di omissione impropria, quando al soggetto attivo amministratore viene posto l'obbligo di attivarsi in qualunque modo pur di scongiurare un evento naturalistico dannoso o pericoloso in base al combinato disposto tra l'art. 40 comma 2 c.p. e la fattispecie speciale di evento.
L' amministratore di condominio in quanto tale assume una posizione di garanzia ope legis che discende dal potere attribuitogli dalle norme civilistiche di compiere atti di manutenzione e gestione delle cose comuni e di compiere atti di amministrazione straordinaria anche in assenza di deliberazioni della assemblea. Da ciò quindi consegue la responsabilità per omessa rimozione del pericolo cui si espone l'incolumità di pubblica di chiunque acceda in quei luoghi, e per l'eventuale evento dannoso che è derivato causalmente dalla situazione di pericolo proveniente dalla scarsa o dativa manutenzione dell'immobile.
A tale posizione di garanzia che incardina l'obbligo di vigilanza e di manutenzione delle cose comuni si somma quella eventuale nella qualità di datore di lavoro, qualora sia stata appaltata l'esecuzione di opere e queste abbiano avuto inizio, quindi come committente di opere concernenti la cosa comune, o con riferimento ad attività lavorative svolte da professionisti o dipendenti sulle cose comuni, come datore di lavoro, come l'attività svolta da giardinieri custodi, addetti alla pulizia di androni, vetrate, scale, piscine, garage etc.
Nel codice penale e possibile enucleare un vero e proprio micro sistema penale fatto di norme codicistiche a tutela dell'integrità e dell'incolunita delle persone operanti nei luoghi di lavoro. Si tratta di fattispecie convenzionali, con conseguente rilevanza dell elemento soggettivo indifferentemente del dolo o della colpa che presentano la struttura di reati di pericolo in quanto puniscono la violazione di determinate regole poste al fine di evitare o ridurre il rischio di eventi pregiudizievoli, a prescindere dalla verificazione dell evento medesimo. Le contravvenzioni hanno natura di reato permanente in quanto la situazione antigiuridica si protrae e persiste fino a quando il responsabile non provvede ad adottare le prescritte misure cautelari ovvero fino a che il giudice non pronunci sentenza di condanna.
A tali norme è applicabile il meccanismo estintivo disciplinato dal d.lgs 758/1994, che si articola in una prima fase destinata all eliminazione della situazione antigiuridica pericolosa e nella seconda fase consistente nel pagamento di una somma di danaro in via amministrativa.
Tali norme sono poste a protezione della sicurezza nei luoghi di lavoro. Esse puniscono la rimozione o l'omissione dolosa o colposa di cautele contro infortuni su lavoro.
Assolutamente fondamentale, ai fini della valutazione giudiziaria della corretta applicazione delle norme in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro è la precisa individuazione dei soggetti titolari degli obblighi normativamente codificati. Occorre quindi seguire i seguenti passaggi logici: individuare i soggetti ai quali l'ordinamento attribuisce una posizione di garanzia per la sicurezza dei lavoratori o dei terzi; effettuare un vaglio secondo il principio di effettività individuando colui che in concreto esercita le funzioni cui la legislazione ricollega la posizione di garanzia; individuare i compiti che spettano al soggetto individuato; infine occorre verificare se tali compiti siano rilevanti ai fini della individuazione dell'ambito applicativi della norma penale.

Il reato di rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 c.p.).
L'art 437 punisce con la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni chiunque ometta di collocare impianti (condotta omissiva), apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro ovvero li rimuove o li danneggia (condotta attiva). Al secondo comma è prevista un'ipotesi aggravata se dal fatto deriva un disastro o un infortunio la pena e della reclusione da 3 a 10 anni. Si tratta di una norma generale che si atteggia a reato proprio nella forma omissiva: infatti mentre l'azione di danneggiamento o di rimozione di cautele può essere posta in essere da chiunque, l'omessa collocazione può essere compiuta solo da quel soggetto titolare di un obbligo giuridico di provvedervi. Ne segue quindi che la fonte dell'obbligo giuridico di attivarsi va ricercata nelle disposizioni di parte speciale nonchè dall'art. 2087 c.c.; occorrerà quindi in concreto far riferimento alle prescrizioni contenute di tali norme di parte speciale per individuare i contenuti positivi dell'obbligo di adempiere, nonchè per individuare gli impianti, apparecchi o segnali necessari per segnalare e prevenire il pericolo.
Tale obbligo di attivarsi grava certamente anche sull'amministratore del condominio, cui la legge attribuisce il potere – dovere di mantenere in buono stato le cose comuni e di attivarsi anche a prescindere da una precedente iniziativa dell'assemblea in caso di pericolo.
La condotta attiva o omissiva dell'agente deve dar luogo ad una condizione di pericolo ( di infortunio o di disastro) che superi una soglia minima, ma trattandosi di reato di pericolo presunto, non occorre un accertamento in concreto della sussistenza della situazione pericolosa. Per quanto riguarda la dimensione del pericolo questo non deve necessariamente interessare la collettività dei cittadini ma anche la sola incolumità dei singoli lavoratori, in quanto si è chiarito più volte che la norma tutela anche una comunità ristretta di singoli lavoratori.
Occorre specificare che le norme antinfortunistiche tutelano anche tutti i soggetti che si trovano ad accedere sul luogo di lavoro per ragioni analoghe a quelle dei lavoratori o comunque per ragioni legate direttamente al luogo stesso. Infatti la normativa antinfortunistica ha la finalità di definire l'ambito di applicazione della normativa stessa ossia di stabilire in generale quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa. Pertanto la tutela non si estende solo ai lavoratori subordinati e ai soggetti loro equiparati, ma a tutti gli estranei, condomini, non condomini, lavoratori o meno, non essendo l'applicazione della medesima collegata alla qualità dei soggetti passivi, ma all'esposizione a rischio propria di un ambiente di lavoro di tutti coloro, dipendenti o meno, si trovino a frequentare quel luogo indipendentemente da un rapporto di dipendenza.

Omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro (art.451 c.p.).
L'art. 451 punisce chiunque per colpa ometta di collocare ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati alla estinzione di un incendio o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro. Si configura un reato di natura colposa e non dolosa che punisce l'omissione di misure dirette a limitare i danni derivanti da incidenti o infortuni già verificati. A differenza del reato di rimozione o omissione dolosa di cautela, punito dall'art. 437 c.p., che punisce a titolo di dolo, la condotta omissiva di predisposizione di misure dirette a prevenire un infortunio.
Ed infatti le norme antinfortunistiche non impongono solo di attivarsi al fine di evitare una situazione pericolosa, ma impongono l'adozione di misure e comportamenti dirette ad intervenire quando già si è superata la soglia del pericolo, e, e solo finalizzate ad evitare che i danni si propaghino aggredendo l'integrità fisica di lavoratori e non; in altri termini, si impone al soggetto responsabile di arrestare la progressione e l'aggravarsi dell'offesa.

Incendio di parti comuni (Art. 449 c.p.).
La giurisprudenza ha applicato questi principi di carattere generale in tema di incendio. La responsabilità penale dell'amministratore di condominio (nella specie in considerazione per l'incendio causato dal malfunzionamento di una canna fumaria) ha natura omissiva, traendo origine dalla violazione dell'obbligo di compiere tutti gli atti idonei a tutelare i diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, ne discende che l'accertamento in concreto della colpevolezza di tale soggetto postula sia l'individuazione precisa del comportamento in concreto esigibile in relazione alla sua posizione di garanzia che la sussistenza del nesso causale tra omissione ed evento lesivo.
L'amministratore di condominio ha l'obbligo di intervenire a tutela delle parti comuni dell'edificio a prescindere dalla provenienza del pericolo, deve pertanto ritenersi che il dovere per costui di attivarsi sussista anche quando il pericolo per le parti comuni provenga da un bene (nella specie in considerazione una canna fumaria) di proprietà esclusiva di uno dei condomini): la posizione di garanzia concerne l'incolumità pubblica e prescinde dal fatto che il pericolo trovi origine in un bene comune (Cass. pen. Sez. IV Sent., 23/09/2009, n. 39959).

Omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina (art.677 c.p.). L'art. 677 c.p. stabilisce che "il proprietario di un edificio o di una costruzione che minacci rovina ovvero chi è per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, il quale omette di provvedere ai lavori necessari per rimuovere il pericolo, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 154 1 929 euro. La stessa sanzione si applica a chi, avendone l'obbligo, omette di rimuovere il pericolo cagionato dall'avvenuta rovina di un edificio o di una costruzione. Se dai fatti preveduti dalla disposizioni precedenti deriva pericolo per le persone, la pena è dell'arresto fino a 6 mesi o dell'ammenda non inferiore a 30 euro".
Si tratta di un reato proprio, in quanto può essere commesso solo dal proprietario di un edificio o di una costruzione o da chi per lui è obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione, come ad esempio, il tutore, il conduttore in caso di leasing e l'amministratore di condominio. L'obbligo può derivare dalla legge, da un regolamento o da un atto amministrativo. La disposizione è stata depenalizzata ex art. 52 del d.lgs. 30 dicembre 1999 n.507. Sono previste due distinte ipotesi. La prima punita con una sanzione amministrativa che riguarda l'omissione pura e semplice di rimozione del pericolo su immobili che minaccino rovina: quest'ultima non deve essere intesa necessariamente come sinonimo di crollo bastando che il pericolo si concretizzi nel distaccamento di una parte non trascurabile dell'edificio. Per fare un esempio, può minacciare rovina un edificio dal quale rischia di distaccarsi un pezzo del cornicione. La seconda ipotesi è contenuta nel terzo comma dell'art. 677 c.p. e trova applicazione quando dalla situazione di fatto derivi pericolo per le persone. Nell'esempio di prima, se la parte di cornicione che minaccia di staccarsi si trova sul prospetto principale che si affaccia sulla pubblica via, e' ben probabile che possa trovare applicazione l'ipotesi di reato. Trattandosi di un reato di pericolo non e' necessario che si verifichi il danno essendo sufficiente il rischio per l'incolumita' delle persone.
La norma individua due soggetti passibili di sanzione: il proprietario e "chi e' per lui obbligato alla conservazione o alla vigilanza dell'edificio o della costruzione". In questa categoria di soggetti si ritiene debba essere incluso l'amministratore di condominio (favorevole a questa tesi Cass. 21401/09 contraria Cass. 13934/08).
La giurisprudenza per consolidato orientamento, afferma come vi sia una posizione di garanzia dell'amministratore di condominio, tenuto, in quanto tale, a vigilare sulle cose comuni e ad effettuare i necessari lavori di rimozione del pericolo derivante da minaccia di rovina e più in generale al dovere di effettuare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza con specifico obbligo di riferirne ai condomini nella prima assemblea ai sensi dell'art. 1135 II comma c.c. ( Cass., 25 febbraio 2003 n. 9027 ).
L'amministratore è stato riconosciuto responsabile in base all'art. 677 c.p. per l'omissione di lavori di manutenzione ordinaria, indispensabili al fine di scongiurare pericoli derivanti dalle parti comuni dell'edificio. La responsabilità dell'amministratore sussiste tuttavia solo per i lavori necessari alla manutenzione ordinaria, mentre per quella straordinaria egli ha il dovere di intervenire solo per le opere urgenti e improrogabili (Cass. Pen. 16 maggio 1960). Analogamente accade per gli intonaci pericolanti dell'edificio. La norma penale prevede che, anche un soggetto diverso dal proprietario può essere obbligato alla manutenzione o riparazione dell'edificio. Quindi, in un condominio in cui sia stato qualificato responsabile l'amministratore, grava su costui l'obbligo giuridico di rimuovere ogni situazione di pericolo che discenda dalla rovina di parti comuni, cui egli sia tenuto a conservare in buono stato.
In tale evenienza, vi è responsabilità del proprietario di tipo solo sussidiario, quando l'amministratore non possa adempiere ai propri obblighi per cause non riconducibili alla sua volontà. Obbligo autonomo del proprietario si ravvisa nel momento in cui per fattori imprevedibili l'amministratore non sia in grado di attivarsi per evitare il pericolo di rovina già manifestatosi. Esauriente appare la spiegazione fornita sul punto dalla Cassazione, la quale ha affermato che l'amministratore di un condominio, il quale agisca per conto dello stesso oppure per conto di un singolo proprietario, è titolare dei poteri relativi alla gestione e conservazione della cosa comune e dei servizi comuni, comprendendosi in tale accezione anche l'obbligo di attivarsi al fine di eliminare situazioni di pericolo che possano comportare una violazione dell'obbligo giuridico del neminem laedere.
L'obbligo di cui all'art. 677 c.p., in caso di mancanza di un amministratore, grava sul proprietario (o sui proprietari) dell'edificio condominiale (anche in virtù di quanto dispone l'art. 2053 c.c.), obbligo che è del tutto indipendente dalla causa che ha determinato il pericolo, essendo irrilevante sia l'origine del pericolo che la sua attribuibilità all'obbligato o la sua derivazione da caso fortuito o da forza maggiore (Cass. pen. Sez. I, 03/10/1996, n. 9866).
L'amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario, (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarietà dei poteri attinenti alla conservazione ed alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per la eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del neminem laedere e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario; l'identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull'amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie.
La responsabilità dei soggetti tenuti alla manutenzione di uno stabile sussiste anche nel caso in cui nella serie causale produttrice del danno si sia inserito, accanto all'elemento rappresentato dal vizio di costruzione o di manutenzione ad essi imputabile, un fatto colposo del terzo privo di autonoma efficienza causale e da essi prevedibile in base alla comune diligenza (Fattispecie relativa all'infortunio di un passante causata dal distacco di una tegola da un tetto dissestato per cattiva manutenzione e per passaggio di operai (Cass. pen. Sez. IV, 06/05/1983, n. 6757).
Negli edifici condominiali l'obbligo giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla imminente o avvenuta rovina di parti comuni della costruzione incombe sull'amministratore, pur potendo esso risorgere in via autonoma a carico dei singoli condomini qualora, per cause accidentali qui non risultanti, l'amministratore non possa adoperarsi allo scopo suindicato con la necessaria urgenza. L'amministratore è infatti titolare "ope legis" - salvo diverse disposizioni statutarie o regolamentari - non solo del dovere di erogazione delle spese attinenti alla manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell'edificio, ai sensi dell'art. 1130 nn. 3 e 4 C.C., ma anche del potere di "ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano carattere urgente" con l'obbligo di "riferirne nella prima assemblea dei condomini", ai sensi dell'art. 1135, co. 2, C.C., di talché deve riconoscersi in capo allo stesso l'obbligo giuridico di attivarsi senza indugio per la eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del "neminem laedere" (Cass., Sez. I, 19.6/7.8.1996, Vitale). Il detto obbligo trova, a tutela del generale interesse alla pubblica incolumità e indipendentemente dai rimedi civilistici, immediata e specifica sanzione in caso di inosservanza nell'art. 677 c.p., fattispecie assorbente quella prevista dal precedente art. 650 nell'ipotesi in cui i lavori necessari vengano individuati con un atto amministrativo.
Con altra recente sentenza l n. 34147 del 6 settembre 2012, è tornata ad occuparsi della responsabilità penale dell'amministratore di condominio. Il verdetto è simile a quello emesso in altre pronunce: l'amministratore di condominio è penalmente responsabile dei danni e delle lesioni subite da condomini e da terzi per l'omessa manutenzione delle parti comuni. Ciò indipendentemente dal fatto che l'assemblea abbia o meno deliberato sul punto. Insomma secondo la Cassazione, l'amministratore deve attivarsi per eliminare i pericoli e non può trincerarsi dietro l'immobilismo dei condomini.
Nel caso di specie un anziano signore aveva subito lesioni cadendo su un tombino condominiale entrando in una farmacia ubicata in quello stabile. L'amministratore veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.). Tramite il proprio difensore proponeva appello e poi ricorso per Cassazione: a suo modo di vedere, infatti, nessuna responsabilità poteva essergli addebitata stante l'assenza di indicazioni dell'assemblea, o comunque dei condomini, di una situazione di pericolo. I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso e quindi confermato la condanna. Si legge in sentenza che non può mettersi in discussione che l'amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l'obbligo ex art. 40 cpv. cod. pen. di attivarsi al fine dl rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l'incolumità del terzi, integrata dagli accertati avvallamenti/ sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto ai fini dell'esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia o trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l'impiego della normale diligenza; massime per una persona anziana di 75 anni di età ( cfr. Sez. 3 n.4676 del 1975 rv.133249).
L'obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione di pericolo non deve ritenersi subordinato alla preventiva deliberazione dell'assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da indurre un intervento di urgenza Il disposto dell'art.1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull'amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nei caso di atti cautelativi ed urgenti ( cfr. Sez. 4 n.3959 del 2009; Sez. 4 n.6757 del 1983). Dalla lettera dell'art. 1135, ultimo comma cod. civ. si evince peraltro a contrario che l'amministratore ha facoltà di provvedere alte opere di manutenzione straordinaria, in cado rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l'assemblea.
Un'annotazione finale pare utile: eliminare il pericolo non vuol dire, per forza, far eseguire interventi di manutenzione ma anche semplicemente predisporre le cautele più idonee (es. transenne) a delimitare la zona pericolosa per far poi deliberare l'assemblea in merito al da farsi. Si pensi all'amministratore che, consapevole del pericolo derivante dal possibile distacco del cornicione, pur avendo informato l'assemblea non abbia i fondi necessari ad ordinare un intervento risolutore a causa dell'inoperatività di quest'ultima. In questo caso, lo stesso amministratore sarà destinato ad essere sanzionato o potrà fare qualcosa per evitare tale ipotesi? Se ne e' occupata la Cassazione penale, secondo la quale l'amministratore di condominio deve, "al fine di andare esente da responsabilità penale, intervenire sugli effetti anziche' sulla causa della rovina, ovverosia prevenire la specifica situazione di pericolo prevista dalla norma incriminatrice interdicendo - ove ciò sia possibile - l'accesso o il transito nelle zone pericolanti" (Cass. 21 maggio 2009 n. 21401). In definitiva il rappresentante dei condomini non sarà imputabile laddove, pur di fronte all'immobilismo dell'assemblea, si adoperi per impedire che la parte pericolante dell'edificio possa causare un rischio per l'incolumità delle persone.
Così, nella situazione concreta descritta nell'esempio, sarà sufficiente che l'amministratore faccia transennare la zona sottostante il cornicione che minaccia di distaccarsi rimandando all'assemblea la decisione sull'intervento risolutore.
A chi imputare la responsabilità penale in caso di compresenza di entrambe le qualifiche soggettive, ovvero in uno stabile in cui, oltre al proprietario dell'appartamento che minaccia rovina, vi sia un amministratore nominato? Ebbene, la giurisprudenza risolve la questione nel senso maggiormente conforme alla causa del contratto in essere tra il proprietario e l'amministratore, ovvero trasferire in capo a quest'ultimo, presuntivamente dotato di maggiori competenze tecniche del primo, il rischio della gestione e la conseguente responsabilità: sarà, pertanto, in detta ipotesi, il solo amministratore di condominio a rispondere penalmente (escludendo, quindi, si badi, addirittura un concorso ex art. 110 c.p.) del reato di pericolo delineato dall'art. 677 c.p.
Analogamente, la responsabilità ex art. 677 c.p. potrà sorgere solamente in capo al proprietario dell'immobile, a nulla rilevando, ai fini della responsabilità penale, la qualifica di conduttore, ancorchè ad essa sia connaturato un obbligo di ordinaria manutenzione dell'appartamento condotto; ora, tale assunto, però, non è del tutto pacifico in giurisprudenza, soprattutto nelle pronunce più recenti che, facendo leva proprio sull'obbligo di provvedere all'ordinaria manutenzione dell'inquilino radicano un dovere di quest'ultimo di collaborare anche in caso di riparazioni urgenti e straordinarie, spingendosi, però, e ciò, a sommesso avviso di chi scrive, non risulta accettabile in quanto in palese contrasto con il tenore letterale dell'art. 677 c.p. che menziona espressamente il solo proprietario tra i soggetti attivi, con il principio di tassatività della fattispecie incriminatrice e con il generale divieto di analogia in malam partem, a trascinare anche il conduttore nell'alveo, per lui innaturale, del concorso ex art. 110 c.p. nella contravvenzione di cui all'art. 677 c.p..

Le lesioni e l'omicidio colposo (artt. 589 e 590 c.p. ).
Al di la della verificazione di una minaccia di rovina strutturale di un edificio pericolosa per le persone, appena descritta nei connotati essenziali, vi è l'ipotesi in cui, secondo le previsioni codicistiche di cui agli artt. 589 e 590 c.p. attraverso una progressione di sempre maggiore intensità lesiva dell'offesa, si transiti dal pericolo alla effettiva lesione personale o alla morte di uno o più individui.
Si tratta di fattispecie omissive commesse in forma colposa, aventi rilievo nella posizione giuridica dell'amministrazione condominiale, nei casi tipici di mancato adeguamento degli impianti condominiali alle misure di sicurezza prescritte o di inosservanza degli obblighi, previsti dall'art. 1139 n. 4 c.c. relativi alla gestione, conservazione e manutenzione delle parti comuni del condominio.
In proposito il Giudice di legittimità, in relazione ai danni provocati a terzi o ai condomini da violazione degli obblighi di garanzia e protezione ha delineato, con pronunce successive ed ormai consolidate nel tempo, il contenuto e i limiti dei doveri dell'amministratore di condominio.
Infatti ai sensi dell' art. 40 co II c.p., secondo cui: " non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo", grava sull'amministratore il dovere di attivarsi per evitare danni ai terzi in quei casi tristemente tipici del distacco di cornicioni o intonaco o di "pericolosità" delle scale , degli impianti elettrici come delle cose comuni in genere.
L'obbligo di attivarsi non è subordinato alla preventiva deliberazione assembleare ovvero ad apposita segnalazione di pericolo tale da rendere opportuno, se non necessario, un intervento di urgenza (Cass. 6 settembre 2012 n. 34147 ) e trova fonte nell'art. 1130 ult. co c.c., norma che peraltro, fa riferimento ad un obbligo dell'amministratore di effettuare le opere di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza salvo successiva informativa all'assemblea.
Occorre che tra la violazione delle norme dirette a prevenire il pericolo e l'evento di lesione, o di omicidio sussista un rapporto di causalità. Non basta che accertare l'omissione dell'amministratore ma occorre verificare che l'evento dannoso o pericoloso è causalmente riconducibile a tale omissione. Sarà quindi necessario provare il nesso di causalità alla stregua di un giudizio controfattuale. Occorre quindi individuare la condotta in concreto esigibile in relazione alla posizione di garanzia assunta e accertare se, posta in essere la condotta doverosa così individuata e colposamente omessa, l'evento non si sarebbe verificato, e ciò al fine di poter giungere all'affermazione della penale responsabilità ed escludere eventuali fattori alternativi.
Si ribadisce che tali posizioni di garanzia sono poste a presidio di chiunque s anche estraneo al condominio o all'attività lavorativa che presso il condominio si svolge salvo che la presenza del terzo estraneo non rivesta carattere di anormalità, atipicità ed eccezionalità tali da far ritenere interrotto il nesso eziologico tra l'evento e la condotta inosservante.
L'intervento urgente dell'amministratore può poi avere una natura non solo ripristinatoria ma può avere ad oggetto un'azione di "contenimento del pericolo" attraverso la segnalazione di esso con transennamento o speciale illuminazione o anche attraverso la rimozione di elementi immediatamente pericolosi per la salute pubblica.
La lesione colposa, in particolare, produce una malattia ed è qualificata lieve, grave o gravissima in base al crescente grado di intensità della malattia stessa: nella lesione di lieve intensità la malattia ha una durata inferiore ai 20 giorni mentre la malattia è permanente nella lesione gravissima, ove si configura una danno insanabile consistente nella perdita di un arto o di un organo. La lesione colposa è sanzionata nella forma lieve con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino ad euro 309,00, la sanzione penale è aumentata fino alla reclusione da uno a sei mesi o la multa da 123,00 a 619,00 euro per la lesione grave e con la reclusione da tre mesi fino a due anni o con la multa da 500,00 a 2000,00 euro per la lesione gravissima.
E' previsto un ulteriore aumento di pena nel caso di violazione di norme sulla prevenzione di infortuni sul lavoro o di lesioni personali che coinvolgano più persone come soggetti offesi dal reato.
Si tratta di un delitto perseguibile a querela della persona offesa salvo procedibilità di ufficio nel caso di violazione della normativa inerente la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

La titolarità del procedimento di trattamento di dati personali: profili di tutela della privacy e della riservatezza (art.615 ter)
In tema di rapporto tra diritto alla privacy e informazioni relative alla gestione condominiale, viene in rilievo innanzitutto la legge che disciplina il diritto alla riservatezza, meglio nota come legge sulla privacy, del 1996 n° 675 modificata nel 2003.
Tale normativa assume rilevanza in quanto l'amministratore di condominio che si è reso responsabile di violazioni di norme a tutela della privacy, va incontro alle sanzioni penali previste dall'art. 34 (omessa o infedele dichiarazione), 35 (trattamento illecito di dati personali), 36 (omessa adozione di misure necessarie alla sicurezza dei dati), e 37
(inosservanza dei provvedimenti del Garante), oltre che alle sanzioni amministrative racchiuse nell'art. 39 della L. 675/96. Altresì, in aggiunta alle fattispecie penali previste dal codice della privacy, si possono configurare gli illeciti penali contenuti nel codice penale a tutela della riservatezza, quali ad esempio il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615 ter c.p.). Occorre infatti ricordare che il trattamento dei dati personali, quali raccolta e acquisizione di nomi, situazioni di morosità, immagini, suoni, sebbene dettata da un'imprescindibile esigenza di sicurezza e di tutela di beni comuni e persone, deve sempre realizzarsi nel pieno rispetto della legge, con riguardo non solo a quella settoriale in tema di trattamento dei dati personali, ma con riferimento a tutte le vigenti norme vili e penali. Oltre al principio di liceità, la raccolta e il trattamento di dati personali deve essere improntata al principio di necessità e proporzionalità, ovvero in modo tale da non arrecare ingiustificabile compromissione del contrapposto diritto alla riservatezza. Da qui i principi del consenso preventivo espresso dell'interessato. Dell'obbligo di comunicare le finalità del trattamento e del divieto di effettuare trattamenti per finalità diverse.

La legge 675/96 all'art. 1 definisce titolare del trattamento dei dati, e quindi responsabile per risarcimento di eventuali danni, la persona fisica cui competono le decisioni in ordine alle finalità e modalità del trattamento di dati personali, compreso l'aspetto della sicurezza. Seguendo tale definizione si pone la questione di qualificare l'amministratore di condominio come soggetto cui spetta la titolarità del trattamento dei dati personali, dei quali debba servirsi per l'espletamento delle mansioni legate al suo incarico (ad es. per la convocazione delle assemblee, per la ripartizione delle spese, ecc.). Diversamente, il Condominio costituisce il soggetto interessato al trattamento.
Il contemperamento delle esigenze contrapposte – di sicurezza e di tutela della riservatezza ha sollevato una serie di questioni. Ci si è chiesti se l'amministratore abbia la facoltà di fornire l'elenco dei proprietari dell'immobile ai condomini che lo richiedano, ai fini della convocazione di assemblea straordinaria, e ciò a prescindere dall'acquisizione di un consenso di questi. L'opinione che ha avuto maggior seguito è quella che in tale evenienza la divulgazione di dati dei condomini rientri nel normale svolgimento dell'attività condominiale, essendo strettamente legata all'espletamento di mansioni proprie dell'amministratore, ragion per cui non si verrebbe ad intaccare il profilo della riservatezza. Non sussisterebbe dunque in tali casi un'esigenza di tutela della "privacy", e non sarebbe perciò indispensabile nemmeno il consenso dei diretti interessati. In modo analogo può essere risolto il dubbio sulla possibilità che l'amministratore conceda l'elenco dei proprietari del condominio ad uno di essi che abbia intenzione di esperire azione giudiziaria per tutelare un proprio diritto, in considerazione anche del fatto che l'elenco dei proprietari risulterebbe comunque dai pubblici registri.
A tal proposito è importante ricordare il recente intervento del Garante per la protezione dei dati personali, il quale ha preso posizione redigendo un apposito parere con il quale ha chiarito che ciascun condomino può legittimamente entrare in possesso di determinati dati riguardanti gli altri condomini. Infatti, secondo il Garante, le disposizioni della legge 675/96 sulla tutela della privacy non escludono assolutamente l'applicazione della disciplina codicistica in materia condominiale, ed in particolare quella relativa alla costituzione dell'assemblea e alla validità delle sue deliberazioni, in qualche modo essendo subordinate anche al regolamento condominiale. L'amministratore di condominio può, quindi, mettere a disposizione dei condomini che ne facciano richiesta, tutta la documentazione da lui acquisita, che potrà però essere utilizzata al solo scopo di verificare la regolarità delle procedure assembleari o per proporre eventuali impugnazioni delle deliberazioni. Il Garante ha anche aggiunto come l'amministratore possa raccogliere e archiviare tutte quelle notizie (anche mediante esibizione di copia o estratti di atti notarili) per accertare la legittimazione dei condomini a intervenire alle assemblee o il corretto funzionamento dell'assemblea, notizie che in alcun modo potranno andare oltre questa funzione; in tal modo potranno essere raccolte notizie relative alla proprietà o alla superficie dell'immobile ai fini del calcolo dei millesimi e non quelle relative, ad esempio, al prezzo d'acquisto dell'appartamento.
Il Garante ha altresì sottolineato come i numeri telefonici dei condomini non debbano esser comunicati all'interno del condominio (salvo il consenso dei diretti interessati), in quanto non necessari ai fini della determinazione dei diritti e degli oneri di ciascun proprietario.
Altro caso esaminato dal Garante è stato quello di un condomino che ha prodotto ricorso lamentando che l'amministratore del condominio aveva esposto in bacheca un elenco dei condomini morosi nel pagamento degli oneri condominiali. Il Garante, al riguardo, ha precisato che ove detta fattispecie fosse espressamente prevista nel regolamento di condominio "nulla questio", mentre in caso contrario, detta esposizione contravveniva ai principi sulla privacy per violazione della sfera di riservatezza che il nostro ordinamento tutela per ogni singolo cittadino.
Una questione particolare si pone con riferimento alla installazione di impianti di videosorveglianza o in parti co muni come nell'androne o nei vialetti o in corrispondenza delle proprietà private, o anche all'interno di proprietà private ( come balconi o terrazzi) ma indirizzati sulle parti comuni e ciò allo scopo di prevenire e reprimere la commissione di reati. Si è posta la questione se tali impianti che ritraggono suoni e immagini di condomini e quindi sono strumenti finalizzati alla raccolta e trattamento di dati personali, richiedano il preventivo consenso di tutti coloro che possano imbattersi, configurandosi altrimenti il reato di interferenze illecite nella vita privata. La norma in questione tutela riservatezza e l'acquisizione indebita di immagini e suoni purchè queste scene di vita privata si svolgono nel domicilio o nella privata dimora o appartenenze alla privata dimora del soggetto passivo. In proposito la giurisprudenza ha assunto una posizione più permissiva escludendo la configurazione del reato qualora questi impianti di captazione di immagini siano esclusivamente finalizzati alla ripresa di spazi non protetti dalla vista degli estranei. Partendo dal presupposto che la norma è posta a tutela della riservatezza, ovvero di quella sfera di privatezza lontana dagli sguardi estranei, la giurisprudenza ha affermato che al ripresa di parti comuni accessibili a tutti, condomini e non, non può ritenersi invasiva della sfera privata dei condomini, in assenza di una specifica adozione di misure private poste a protezione della propria privacy.