Contenzioso -  Il ricorso può essere inviato per posta

Tributario - Contenzioso -  Il ricorso può essere inviato per posta - illegittimita' costituzionale dell’articolo 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 546/92

Tributario - Contenzioso -  Il ricorso può essere inviato per posta - illegittimità costituzionale dell’articolo 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 546/92 (Corte costituzionale – sentenza 21 novembre-6 dicembre 2002, n. 520)

Corte costituzionale – sentenza 21 novembre-6 dicembre 2002, n. 520  Presidente Ruperto – relatore Chieppa

Ritenuto in fatto

1. La Commissione tributaria provinciale di Novara, con ordinanza del 19
ottobre 2001 (ro n. 76 del 2002), emessa sul ricorso con il quale era
stato impugnato un avviso di accertamento in materia di Ici, ha sollevato,
in riferimento all’articolo 24, primo comma, della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 1 e 2
dell’articolo 22 del decreto legislativo 546 (Disposizioni sul processo
tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo
30 della legge 413/91) nella parte in cui, secondo la interpretazione
fornitane dalla Corte di cassazione, stabilisce che il ricorso spedito
alla segreteria della commissione tributaria per mezzo del servizio
postale, anziché depositato personalmente, pur se recapitato entro i
termini, debba essere sanzionato con la inammissibilità.
Il collegio rimettente richiama in proposito la sentenza della sezione
tributaria della Corte di cassazione 8829/01, secondo la quale la consegna
del ricorso a mezzo del servizio postale non sarebbe idonea a determinare
il deposito, in quanto la utilizzabilità del predetto mezzo ai fini del
deposito richiederebbe una previsione espressa, configurando una eccezione
al principio generale.
In tal modo, sarebbero ingiustificatamente sacrificate le concrete
possibilità del ricorrente di agire in giudizio, sia nelle ipotesi in cui
il ricorso sia proposto da soggetto sprovvisto di assistenza tecnica, sia
allorché tale assistenza sia fornita da professionista diverso
dall’avvocato o dal commercialista, e, che, per tale diversa
professionalità, ben potrebbe ignorare la particolare formalità richiesta
dal denunciato articolo 22 del decreto legislativo 546/92, secondo la
interpretazione della Cassazione.
Siffatto sacrificio del diritto di agire appare alla Commissione
rimettente ancora più ingiustificato avuto riguardo alle modalità di
svolgimento del procedimento di cui si tratta, nel cui ambito nessuna
particolare conseguenza deriva dalla incertezza della produzione di un
determinato documento all’atto della costituzione in giudizio, stante la
possibilità di depositare comunque documentazione entro il termine di
venti giorni  prima dell’udienza, ex articolo 32 dello stesso decreto
legislativo 546. Ad avviso del giudice a quo, la esigenza di certezza sul
contenuto degli atti acquisiti al processo invocata dalla Corte Suprema
sarebbe sufficientemente tutelata dalla disposizione dell’articolo 24 del
menzionato decreto legislativo 546/92, che richiede la elencazione dei
documenti prodotti negli atti di parte cui sono allegati, ferma restando
la possibilità, per il caso della ricezione a mezzo posta, della verifica
della presenza dei documenti in maniera analoga a quella operata all’atto
del deposito effettuato personalmente, essendo eventuali difformità
comunque rilevabili dal pubblico ufficiale addetto.
2. Nel giudizio innanzi alla Corte è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per la inammissibilità della  questione  per
mancanza di una soluzione costituzionalmente obbligata, analogamente a
quanto già deciso dalla Corte con la ordinanza 199/96 e, nel merito, per
la infondatezza della stessa, essendo il deposito dell’atto introduttivo
del giudizio a mezzo del servizio postale possibile solo in presenza di
una specifica norma che preveda tale modalità in alternativa a quella
della consegna materiale, e dovendo, diversamente, trovare applicazione le
regole generali del processo civile. L’Avvocatura rileva altresì la
coerenza della disposizione denunciata rispetto ai principi e  criteri
direttivi  dettati nella legge delega 431/91, volti all’adeguamento delle
regole del processo tributario alla disciplina di quello civile con
particolare riguardo alla fase di proposizione del ricorso nei vari gradi,
e prevedenti l’impiego del servizio postale ma limitatamente alle
notificazioni e comunicazioni. Né appaiono all’Avvocatura consistenti le
preoccupazioni del giudice rimettente con riguardo alla pur consentita
difesa personale del ricorrente nelle controversie tributarie di minor
valore, o alla possibilità di assistenza tecnica da parte di
professionisti non necessariamente versati nelle discipline processuali,
in considerazione dell’asserito inequivoco tenore letterale della
disposizione.
3. La Commissione tributaria regionale di Perugia, investita della
cognizione dell’appello avverso sentenza dichiarativa della
inammissibilità di un ricorso avverso una cartella di pagamento relativa
a contributi Ilor, Irpef e Ssn, in quanto spedito a mezzo posta, con
ordinanza del 5 febbraio 2002 (ro n. 289 del 2002), ha sollevato questione
di legittimità costituzionale dello stesso articolo 22 del decreto
legislativo 546/92, nella parte in cui esclude, secondo la già riferita
interpretazione della Corte di cassazione, la possibilità dell’impiego del
servizio postale per effettuare il deposito del ricorso notificato e dei
documenti allegati presso la segreteria della commissione tributaria
adìta.
Secondo il collegio rimettente, tale norma si porrebbe anzitutto in
contrasto con l’articolo 3 della Costituzione in quanto, avendo le
Commissioni tributarie di primo grado sede solo nel capoluogo di
provincia, i contribuenti residenti in comuni diversi dal capoluogo
verrebbero di fatto a trovarsi in una situazione deteriore rispetto a
coloro che ivi risiedono, dovendo affrontare disagi e spese per recarsi
personalmente presso la segreteria della commissione solo per depositare
il ricorso; ed inoltre, per la irragionevolezza della statuizione in
considerazione della mancanza di alcun interesse o esigenza apprezzabile a
tale modalità di deposito che giustifichino il disagio e la spesa imposti.

Il giudice a quo lamenta poi la violazione dell’articolo 24 della
Costituzione per l’ostacolo all’accesso alla giustizia tributaria, che
sarebbe determinato dalla disposizione in questione, e degli articoli 76 e
77 della Costituzione, avuto riguardo alla espressione utilizzata
nell’articolo 30 della legge 413/91, con la quale il Governo era stato
delegato alla emanazione dei decreti legislativi concernenti disposizioni
per la revisione della disciplina e l’organizzazione del contenzioso
tributario, che al comma 1, lettera g), punto 4, fa riferimento alla
«disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni con la previsione
dell’impiego più largo possibile del servizio postale».
Infine, è denunciato il contrasto con l’articolo 97 della Costituzione,
alla stregua della considerazione che la esclusione dell’impiego del
servizio postale per il deposito del ricorso presso la segreteria della
commissione tributaria inciderebbe in modo obiettivamente rilevante sul
buon andamento della pubblica amministrazione, sotto il profilo delle
garanzie per l’apparato burocratico e della economia di gestione, oltre
che per il servizio da offrire agli utenti.
4. Anche nel giudizio introdotto con la ordinanza ro n. 289 del 2002 è
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la
inammissibilità della questione per le ragioni già richiamate, e nel
merito, per la infondatezza, osservando, quanto alla lamentata violazione
dell’articolo 3 della Costituzione, che il solo disagio connesso alla
maggiore o minore distanza della residenza del ricorrente dal capoluogo di
provincia non può essere elevato a circostanza idonea ad impedire
l’apprezzamento discrezionale del  legislatore nella organizzazione
territoriale degli organi di giustizia.  Circa la presunta violazione
dell’articolo 24 della Costituzione, secondo l’Avvocatura, il deposito
materiale del ricorso presso la segreteria della Commissione tributaria
non rappresenterebbe un ostacolo insormontabile all’esercizio del diritto
di azione. Non pertinente sarebbe, poi, il richiamo all’articolo 77 della
Costituzione, ed infondato quello all’articolo 76, in base al rilievo che
la legge delega, imponendo di omologare il processo tributario a quello
civile, non consentiva al legislatore delegato di discostarsi dalla regola
comune disciplinante la costituzione in giudizio della parte istante,
tenuta al deposito dell’atto introduttivo presso la cancelleria del
giudice adìto. Infine, fuor di luogo sarebbe la invocazione dell’articolo
97 della Costituzione, non avendo  la  disposizione di cui si tratta
attinenza alla organizzazione degli uffici.

Considerato in diritto

1. Le questioni, sottoposte in via incidentale all’esame della Corte
costituzionale con due ordinanze, rispettivamente 19 ottobre 2001 (ro n.
76 del 2002) della Commissione tributaria provinciale di Novara e 5
febbraio 2002 (ro n. 289 del 2002) della Commissione tributaria regionale
di Perugia, riguardano l’articolo 22 del decreto legislativo 546/92
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'articolo 30 della legge 413/91).
L'ordinanza della Commissione tributaria provinciale di Novara censura il
combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 22 del decreto
legislativo 546/92, nella parte in cui, secondo la interpretazione della
Corte di cassazione, stabilisce che il ricorso spedito alla segreteria
della Commissione tributaria per mezzo del servizio postale, anziché
depositato personalmente, pur se recapitato entro i termini, debba essere
sanzionato con la inammissibilità. Si ravvisa vulnus all’articolo 24,
primo comma, della Costituzione, per l’ingiustificato sacrificio delle
concrete possibilità di agire in giudizio da parte del contribuente in
tutte le ipotesi in cui, vuoi per l’esercizio della difesa personale, vuoi
per l’affidamento della difesa a professionisti diversi dagli avvocati e
dai commercialisti, si versi nella ignoranza delle particolari formalità
richieste dalla normativa impugnata secondo la predetta interpretazione
giurisprudenziale.
L'ordinanza della Commissione tributaria regionale di Perugia censura lo
stesso articolo 22 del decreto legislativo 546/92, nella parte in cui
esclude la possibilità dell’impiego del servizio postale per effettuare il
deposito del ricorso notificato e dei documenti allegati presso la
segreteria della commissione tributaria adìta.
Viene denunciata la violazione:
dell’articolo 3 della Costituzione, per la disparità di trattamento tra i
contribuenti residenti nei capoluoghi di provincia, ove hanno sede le
Commissioni tributarie, e quelli residenti in comuni diversi, esposti a
disagi ed oneri per effettuare il deposito del ricorso; nonché per la
irragionevole imposizione di tali disagi, non giustificata da alcun
apprezzabile interesse od esigenza;
dell’articolo 24 della Costituzione, per l’ostacolo all’accesso alla
giustizia tributaria costituito dalla imposizione dell’onere di recarsi
personalmente presso la segreteria delle Commissioni tributarie per il
deposito del ricorso;
degli articoli 76 e 77 della Costituzione per la violazione dei criteri e
principi contenuti nella legge 413/91, con la quale il Governo era
delegato  alla emanazione  di decreti legislativi concernenti disposizioni
per la revisione della disciplina del contenzioso tributario, che
all’articolo 30, comma 1, lettera g), punto 4, faceva riferimento alla
«disciplina delle comunicazioni e delle notificazioni con la previsione
dell’impiego più largo possibile del servizio postale»;
dell’articolo 97 della Costituzione, per la rilevante incidenza sul buon
andamento della pubblica amministrazione  della esclusione dell’impiego
del servizio postale per il deposito del ricorso.
2. I due giudizi devono essere riuniti in relazione alla identità
sostanziale delle questioni sollevate, aventi per oggetto la medesima
disposizione, sotto il profilo che la norma denunciata non consentirebbe
che il deposito del ricorso e dei documenti allegati possa avvenire anche
avvalendosi del servizio postale, pur se effettivamente recapitati entro i
termini previsti (trenta giorni dalla proposizione del ricorso).
Ambedue i giudici, con una motivazione plausibile, ritengono la questione
rilevante e si richiamano ad una interpretazione della Corte di cassazione
(Cassazione, sezione tributaria, 8829/01); tale pronuncia, peraltro, non è
rimasta isolata, ma risulta seguita da costanti pronunce della Cassazione
(11781/01 e 2255/02) e dal prevalente indirizzo dei giudici tributari di
merito, anche se contrastato da alcune isolate e puntuali sentenze di
altre commissioni tributarie in buona parte anteriori alle pronunce della
Corte di cassazione.
Pertanto,  può essere assunta a base della presente decisione
l'esclusione della validità del deposito del ricorso tributario a mezzo
del servizio postale, ancorché pervenga nei termini prescritti.
Di conseguenza, non può porsi in dubbio la ammissibilità delle questioni
sollevate dai giudici rimettenti, che si presentano come pregiudiziali
rispetto ai giudizi principali, essendo «consentito richiedere
l’intervento di questa Corte, affinché controlli la compatibilità
dell’indirizzo consolidato con i principi costituzionali» (sentenze
345/95; 110/5 e 456/89), e peraltro essendo «sufficiente che il giudice a
quo riconduca alla disposizione contestata una interpretazione non
implausibile… della quale ritenga di dover fare applicazione nel giudizio
principale e sulla quale nutra dubbi, non arbitrari o non pretestuosi, di
conformità a determinate norme costituzionali» (sentenze 345 e 58/1995).
3. Le questioni sollevate sono fondate nei limiti appresso chiariti.
3.1. Preliminarmente, deve essere sottolineato che il problema
dell’utilizzo di strumenti diversi (compreso il servizio postale)  da
quelli della consegna personale e brevi manu per effettuare il materiale
deposito di atti introduttivi del processo (a parte la loro notificazione)
e dei documenti allegati, non è nuovo, ed è risalente nel tempo, ancorché
abbia assunto, con il progresso dei sistemi di trasmissione (informatici e
telematici), una crescente rilevanza in tutti i sistemi processuali (vedi,
di recente, articoli 9 e 18 del Dpr 123/01, Regolamento recante disciplina
sull’uso di strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel
processo amministrativo e nel processo dinanzi alla Corte dei conti, con
applicabilità – si noti – anche alla costituzione in giudizio, alla
iscrizione a ruolo e al deposito di documenti probatori).
La questione della ammissibilità dell’utilizzo del servizio postale per il
deposito del ricorso per cassazione, in tempi risalenti, già sotto il
vigore del Cpc del 1865, fu puntualmente affrontata e risolta
positivamente dalla Corte di cassazione di Roma (16 agosto 1898) pure in
presenza di esplicitazione legislativa  che il «ricorso coi documenti
annessi e coll’atto originale di notificazione è presentato» e «deve
essere consegnato alla cancelleria» (articoli 526 e 527 Cpc del 1865).
Detto indirizzo fu ripreso da ripetute sentenze della Cassazione di Roma e
di Torino, ma vi furono anche talune manifestazioni,  ancorché
minoritarie, di dissenso, di modo che il legislatore, confortato dalla
dottrina, intervenne, troncando le divergenze, con lo stabilire
espressamente la possibilità di consegna in cancelleria dei ricorsi per
cassazione mediante spedizione per posta (regio decreto 1244/23). Dette
disposizioni, in presenza dell’articolo 369 del Cpc vigente che
genericamente prevedeva il «deposito in cancelleria», sono state trasfuse
nell’articolo 134 del regio decreto 1368/41 (Disposizioni per l’attuazione
del Cpc e disposizioni transitorie), successivamente modificato ed
integrato con l’articolo 3 della legge 59/1979, con l’obiettivo dichiarato
di una riduzione dei profili di inammissibilità e di una maggiore
semplificazione delle forme processuali.
3.2. In occasione dell'esame di profili di inammissibilità di atti
introduttivi di giudizi, sia il legislatore, sia la giurisprudenza di
legittimità si sono, in più occasioni, richiamati alla esigenza di non
contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria
importanza, ed ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili
di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle
prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale.
La giurisprudenza di questa Corte  ha ritenuto non conformi a Costituzione
(articoli 3 e 24) «le disposizioni legislative che frappongono ostacoli
non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento
del processo civile adeguato alla funzione ad esso assegnata,
nell’interesse generale, a protezione di diritti soggettivi dei cittadini»
(sentenza 113/63) ovvero che impongano «oneri … o modalità tali da
rendere… estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo
svolgimento di attività processuale» (sentenze 63/1977; 47/1964 e 214/74).
Proprio con riferimento al processo tributario e a problemi di
inammissibilità, va riconfermata la esigenza – rilevante anche sul piano
costituzionale – che una norma, che comporti tali problemi, sia in armonia
con lo specifico sistema processuale, volto a garantire la tutela delle
parti in posizioni di parità, evitando irragionevoli sanzioni di
inammissibilità in danno del soggetto che si intende tutelare (per
riferimenti, vedi da ultimo, sentenza 189/00).
Occorre sottolineare che nel processo tributario il deposito del ricorso e
dei documenti allegati è previsto (combinato disposto degli articoli 16,
18, 20 e 22 del decreto legislativo 546/92) dopo che il giudizio è stato
«introdotto con ricorso … sottoscritto dal difensore del ricorrente» con
l’indicazione dell’incarico defensionale, o “personalmente” dalla parte
nei casi previsti, ed il ricorso stesso è stato «proposto mediante
notifica» effettuabile «anche direttamente a mezzo del servizio postale»
ed è accompagnato da garanzie di provenienza e corrispondenza dell’atto
(in particolare articolo 22, comma 3, del citato decreto legislativo
546/92).
Inoltre,  analoga è la previsione della costituzione in giudizio del
ricorrente e della parte resistente mediante deposito di atti:
rispettivamente, originale del ricorso notificato ovvero copia del ricorso
consegnato o spedito per posta  per il ricorrente; fascicolo con
controdeduzioni e documenti per il resistente.
In via generale, il deposito degli  atti e del fascicolo di parte che li
contiene ai fini della costituzione delle parti è stato considerato dal
giudice di legittimità materiale attività, come formalità meramente
esecutiva priva di qualsiasi contenuto volitivo autonomo, per cui
ragionevolmente, in mancanza di specifiche esigenze, dovrebbe essere
irrilevante il soggetto che materialmente proceda alla consegna.
Pertanto, appare del tutto privo di qualsiasi razionale giustificazione
assoggettare nel processo tributario (attesa la sua configurazione sia
nella semplificazione delle attività processuali, sia nel sistema di
assistenza tecnica e delle ipotesi di legittimazione diretta e personale
della parte, sia, soprattutto, nella ripartizione della competenza
territoriale con rilevanza della sola sede dell’ufficio fiscale convenuto)
il deposito del ricorso e degli atti relativi ai fini della costituzione
delle parti ad una unicità di forma  consistente nella presentazione
personale brevi manu; verrebbe escluso l’utilizzo del servizio postale,
invece ampiamente utilizzato per le comunicazioni e notifiche specie dalla
parte pubblica. Ciò soprattutto quando l’intero sistema dei processi
civili, amministrativi e contabili ammette l’uso di mezzi telematici ed
informatici proprio per la costituzione in giudizio e la presentazione di
atti e documenti.
3.3. Giova, infine, sottolineare, ai fini della conferma della manifesta
irragionevolezza della scelta operata dal legislatore delegato,  che la
delega legislativa (articolo 30 della legge 413/91) prevedeva la revisione
della disciplina del contenzioso tributario, inserita in un quadro più
ampio di razionalizzazione e facilitazione dei rapporti tra
amministrazione fiscale e contribuente. I criteri della delega stabilivano
specificatamente, nell’ambito di un adeguamento delle norme del processo
tributario a quelle del processo civile, una disciplina uniforme per la
proposizione del ricorso nei vari gradi di giurisdizione ed un impiego più
largo possibile del servizio postale, sia pure nella disciplina delle
comunicazioni e delle notificazioni.
Infine, lo stesso decreto legislativo 546/92 (articolo 17), disponendo che
dovesse rimanere fermo quanto stabilito dall’articolo 10 del Dpr 787/80
sui centri di servizio, aveva mantenuto espressamente le modalità di
presentazione e deposito dei ricorsi contro il ruolo (applicabili
ovviamente fino al mantenimento delle funzioni specifiche dei centri di
servizio). Dette modalità continuavano a prevedere testualmente la
consegna o – si noti – la spedizione (in analogia con il sistema
processuale del contenzioso del Dpr 636/78) come strumenti esecutivi del
deposito del ricorso ai fini della costituzione del rapporto processuale,
dopo un intervallo di tempo dalla presentazione mediante spedizione
postale dell’originale al centro di servizio.
4. Sulla base delle predette considerazioni, stante sia la manifesta
irragionevolezza della norma denunciata, come assunta dai giudici
rimettenti,  sia il contrasto stridente e privo di ragionevole
giustificazione con i surrichiamati principi propri del processo
tributario, non resta che dichiarare, per contrasto con gli articoli 3 e
24 della Costituzione,  la illegittimità costituzionale dell’articolo 22,
commi 1 e 2, del decreto legislativo 546/92, nella parte in cui non
consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in
giudizio, l’utilizzo del servizio postale.

PQM

La Corte costituzionale

Riuniti i giudizi,

Dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 22, commi 1 e 2,
del decreto legislativo 546/92 (Disposizioni sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'articolo 30 della legge
413/91), nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai
fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale.