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Processo tributario - Ricorso firmato dal solo contribuente

Processo tributario - Ricorso firmato dal solo contribuente - Ammissibilità (Cassazione, Sezioni unite civili - sentenza 8 luglio-2 dicembre 2004, n. 22601)

Svolgimento del processo

La Cxxxxxx s.r.l. proponeva alla commissione tributaria provinciale di Livorno distinti ricorsi, depositati in date 5 luglio e 24 ottobre 1996, avverso l'avviso di accertamento e i conseguenti avvisi di liquidazione con applicazione di sanzioni, emessi dall'ufficio del Registro di Livorno in relazione ad un contratto di affitto di azienda, registrato il 17 maggio 1996 e, considerato dall'ufficio come cessione di azienda.

La commissione adita, riuniti i ricorsi, li dichiarava inammissibili perche', pur avendo le controversie un valore superiore ai cinque milioni di lire, non erano stati sottoscritti da difensore abilitato, ma dalla parte.

La sentenza veniva confermata dalla commissione tributaria regionale della Toscana, la quale riteneva che l'inammissibilita' ricorre anche nel caso in cui l'assistenza del difensore sia sopravvenuta rispetto al momento della presentazione dell'istanza per la fissazione dell'udienza.

Avverso tale sentenza la Cxxxxxx s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un mezzo d'annullamento.

Il Ministero delle Finanze ha resistito con controricorso.

1. Il motivo di ricorso

Denunciando violazione o falsa applicazione degli articoli 12 e 18 del d.l.vo n. 546 del 1992, la ricorrente deduce che dal combinato disposto di tali articoli emergerebbe che nel processo tributario non e' previsto il ministero, ma soltanto l'assistenza del difensore, per cui il difensore potrebbe stare in giudizio anche senza la procura e senza osservare le prescrizioni di cui all'art. 125 cod. proc. Civ. sul contenuto e sulla sottoscrizione degli atti, i quali possono essere sottoscritti personalmente dalla parte, che quindi puo' stare in giudizio anche da sola.

Tale interpretazione troverebbe un sostegno nella clausola di salvezza contenuta nell'art. 18, comma terzo, del d.l.vo n. 546/92. In conclusione, la procura alle lite si renderebbe necessaria solo quando la parte sta in giudizio col ministero del difensore, e non anche quando si faccia soltanto assistere da questo. In tale ultimo caso la procura potrebbe essere conferita senza osservare alcuna formalita' e addirittura in udienza: l'art. 12, comma terzo, stabilisce, infatti, che all'udienza pubblica «l'incarico puo' essere conferito oralmente».

2. Il contrasto nella giurisprudenza della Sezione tributaria

Sulla questione di (in)ammissibilita' del ricorso non sottoscritto da difensore tecnico nelle controversie di valore superiore ai cinque milioni di lire la Corte Costituzionale si e' pronunciata con la sentenza n. 189 del 13 giugno 2000, con la quale e' stata dichiarata l'infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 12, comma 5, e 18, commi 3 e 4, del d.l.vo 31 dicembre 1992, n. 546, ove interpretato nel senso che il ricorso sottoscritto dal solo contribuente sia inammissibile.

La Corte ha osservato che, secondo un'interpretazione corrispondente al significato delle norme del d.l.vo n. 546/92 e delle modifiche apportate dal d.l. n. 331 del 1993, convertito nella legge n. 427 del 1993, in armonia con un sistema processuale volto a garantire la tutela delle parti evitandosi irragionevoli sanzioni d'inammissibilita' e ai principi contenuti nella legge delega 30 dicembre 1991, n. 413, l'inammissibilita' del ricorso deve intendersi riferita soltanto all'ipotesi in cui sia rimasto ineseguito l'ordine del presidente della commissione, della sezione o del collegio, rivolto alle parti diverse dall'amministrazione, di munirsi, nel termine fissato, di assistenza tecnica, conferendo incarico a difensore abilitato. Tale ratio decidendi e' stata riaffermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 520 del 2002.

La giurisprudenza della Sezione tributaria ha dato risposte contrastanti a tale quesito.

Nella sentenza 29 gennaio 2002, n. 1100, veniva affermato che, nelle controversie tributarie di valore superiore ai cinque milioni di lire, il ricorso deve essere sottoscritto dal difensore, a pena d'inammissibilita', e tale sanzione non e' condizionata dalla mancata osservanza dell'ordine del giudice di munirsi di assistenza tecnica, di cui all'art. 12, quinto comma, essendo tale ordine - rimesso alla discrezionalita' del giudice - previsto per le sole controversie di valore inferiore ai cinque milioni di lire; che, inoltre, e' manifestamente infondata la questione d'illegittimita' costituzionale dell'art. 12, nella parte in cui dispone che nelle controversie di valore superiore ai cinque milioni di lire il ricorso sia sottoscritto da difensore, essendo la difesa tecnica componente essenziale del diritto di difesa, e non essendo configurabile un sistema in cui l'inammissibilita' consegua alla mancata ottemperanza della parte all'ordine di munirsi di difensore, in quanto tale disciplina sarebbe incompatibile con la natura impugnatoria del processo tributario. Tale interpretazione era stata seguita, prima della sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 2000, dalle sentenze della prima Sezione civile 3 marzo 1999, n. 1781, e 12 giugno 2000, n. 7966.

Di contro, la sentenza 12 giugno 2002, n. 8369, ha statuito che «la commissione tributaria regionale, chiamata a giudicare una controversia di valore superiore a lire 5.000.000, e' tenuta a disporre, ai sensi dell'art. 12 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, che il contribuente, attore o convenuto in giudizio il quale risulti privo dell'assistenza di un difensore, si munisca invece dell'indispensabile assistenza tecnica. Da cio' consegue l'illegittimita' dell'eventuale declaratoria di inammissibilita' del ricorso pronunciata in assenza dell'ordine de quo. Cfr. Corte cost. n. 189 del 13 giugno 2000».

Preso atto del contrasto, la Sezione tributaria, investita della decisione sul presente ricorso, con ordinanza n. 3042 del 27 febbraio 2003, ha trasmesso la causa al Primo Presidente, che ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite.

Motivi della decisione

Le Sezioni Unite ritengono che debba essere seguita la via indicata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 2000 e, quindi, dalla sentenza della Sezione tributaria che si e' adeguata a tale interpretazione.

Sul dibattuto problema della diffusione del potere - dovere di un'interpretazione adeguatrice conforme a Costituzione non sono state enunciate regole certe nella giurisprudenza del Giudice delle leggi e di questa Corte, essendosi di frequente verificato un reciproco adeguamento di ciascun ordine di giudici alle soluzioni adottate dall'altro ordine. Per quanto riguarda questa Corte, puo' richiamarsi la sentenza n. 2087 del 24 febbraio 2000, nella quale, prendendosi atto dell'intervenuta pronuncia interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale, si statuisce sic et simpliciter che un precedente, e contrario, indirizzo interpretativo della giurisprudenza di legittimita' non puo' essere confermato. Per quanto riguarda la Corte Costituzionale, e' di particolare rilevanza la nozione del diritto vivente, richiamata in quelle decisioni della stessa Corte, nelle quali si e' preso atto dell'esistenza di una soluzione interpretativa, individuata nella giurisprudenza consolidata dei massimi organi giurisdizionali, e che rappresentano, non gia' un riconoscimento di un vincolo derivante dal diritto vivente in tal modo inteso, ma una sorta di self - restraint della Corte Costituzionale. Nello stesso solco s'inserisce la recente sentenza delle Sezioni Unite penali di questa Corte (31 marzo 2004, n. 23106), la quale nega l'esistenza di un vincolo erga omnes derivante da pronunce costituzionali interpretative di rigetto  d'inammissibilita', fatto salvo il loro valore di precedente autorevole.

Secondo le Sezioni Unite, non puo' riconoscersi alla Corte di cassazione un monopolio nella formazione del diritto vivente e nell'enunciazione d'interpretazioni adeguatici, ricavato dal compito di nomofilachia assegnatole dall'art. 65, comma 1, dell'ordinamento giudiziario (r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). Tale compito non e', infatti, integralmente coperto da garanzia costituzionale, oltretutto considerato che - secondo l'art. 111 Cost., anche nel testo novellato - al controllo della Corte di cassazione sull'interpretazione (ed applicazione) della legge sfuggono ampi settori dell'ordinamento, costituiti dalle materie attribuite alla giurisdizione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, le cui decisioni sono sottoposte al vaglio di legittimita' della Cassazione solo per quanto attiene ai limiti esterni della giurisdizione.

Del resto, il potere - dovere diffuso di interpretazione conforme al dettato costituzionale costituisce un dato accettato anche in altri ordinamenti in cui esiste una giurisdizione costituzionale cui sia attribuito il compito di giudicare sulla conformita' delle leggi alla Costituzione: pare assai significativo il richiamo dell'esperienza tedesca, nella quale veniva inizialmente dubitato che al Bundesverfassungsgericht competesse un potere di interpretazione della legge in modo conforme alla Costituzione (verfassungskonforme Gesetzesauslegung), e che lo stesso fosse riservato ai giudici chiamati all'applicazione della legge, sostenendosi che il controllo di costituzionalita' fosse limitato alla parte della norma il cui tenore letterale non fosse suscettibile di una pluralita' d'interpretazioni, in quanto l'adeguamento della portata normativa ai valori costituzionali da parte dello stesso giudice chiamato a verificare la compatibilita' della norma con la Costituzione appariva come una sorta di circolo vizioso. Tale ricostruzione fu rapidamente contraddetta dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza dello stesso Bundesverfassungsgericht, pervenendosi ad una visione diffusa del potere - dovere di interpretazione conforme, il quale e' attribuito, non solo al giudice che deve applicare la legge, ma anche a quello costituzionale e perfino alla pubblica amministrazione, ritenendosi che le norme che regolano l'esercizio dell'attivita' amministrativa, in quanto contengono sovente concetti giuridici indeterminati o ampi spazi riservati a valutazioni discrezionali, costituiscono il vero e proprio «eldorado» di tale metodica ermeneutica.

E' d'altra parte comunemente riconosciuto nella tradizione giuridica dell'Europa continentale che l'adeguamento del testo normativo - nella parte in cui lo stesso e' suscettibile di diverse letture - sia una inevitabile conseguenza dell'impatto nell'ordinamento dei principi e delle norme della Costituzione, senza  che cio' comporti necessariamente una caducazione della norma di legge: una descrizione efficace di tale fenomeno e' contenuta nell'espressione «effetto d'irraggiamento» (Ausstrahlungswirkung) che, nel linguaggio giuridico tedesco descrive l'effetto adeguatore delle norme di legge ordinaria da parte di quelle costituzionali, soprattutto quando queste esprimano una tutela di diritti fondamentali. In tal modo sono state giustificate estensioni della tutela risarcitoria ad ipotesi di danno o a forme di riparazione non previste dalla legge civile: si pensi al c.d. danno biologico nell'esperienza italiana e alla riparazione in forma pecuniaria della lesione di diritti della personalita' nell'esperienza tedesca, ipotesi non previste dalla legge civile, la quale doveva subire un adeguamento in conseguenza del vincolo derivante da diritti fondamentali previsti nella Costituzione.

Del resto l'esperienza italiana e' costellata da casi di riformulazione o modificazione di norme e di principi legislativi in adeguamento a principi costituzionali, compiute anche da giudici diversi da quello costituzionale: si consideri il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la tutela della salute, diritto fondamentale stabilito dall'art. 32 Cost., comporta che su tale diritto e' inoperante l'effetto di affievolimento del provvedimento amministrativo, regola la cui esistenza datava da decenni e che svolgeva un ruolo fondamentale nel riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e amministrativo. Non sembra, pertanto, che, nel solco di tale tradizione, l'obbligo del giudice di invitare la parte privata a munirsi di un difensore tecnico, evitandosi una immediata declaratoria d'inammissibilita' del ricorso, costituisca un mezzo sproporzionato - in relazione al dettato normativo e alle sue finalita' - per assicurare effettivita' di tutela giurisdizionale contro gli atti dell'amministrazione finanziaria.

Tanto premesso, le Sezioni Unite - pur ribadendo l'inesistenza di un vincolo giuridico formale, almeno nei confronti dei giudici diversi da quello a quo, ad una pronuncia interpretativa di rigetto della Corte Costituzionale - si limitano a prendere atto dell'interpretazione sulla quale il Giudice delle leggi ha fondato la propria decisione di rigetto e a condividerne il tenore, se non altro perche' la diversa interpretazione - accolta da alcune sentenze di questa Corte - condurrebbe inevitabilmente ad una dichiarazione d'incostituzionalita', ove la Corte Costituzionale dovesse rilevare la formazione di un diritto vivente in tal senso, espresso in una pronuncia delle Sezioni Unite.

In tale prospettiva, il valore di «precedente» delle pronunce costituzionali interpretative di rigetto, nella prospettiva della citata sentenza delle Sezioni Unite penali, si presenta particolarmente rafforzato.

D'altra parte, nel caso in esame non si rinvengono interpretazioni alternative che assicurino una effettivita' di tutela del diritto fondamentale di difesa nel processo.

Inoltre si rivela decisiva la considerazione che l'interpretazione proposta - secondo cui l'inammissibilita' del ricorso puo' conseguire soltanto alla mancata nomina di un difensore tecnico nel termine all'uopo assegnato dal giudice tributario - s'inserisce nel solco tracciato dalla legge delega e tiene conto, altresi', del fatto che la legge processuale tributaria prevede una assistenza e non gia'  una rappresentanza della parte privata. I principi costituzionali del diritto di difesa e dell'adeguata tutela contro gli atti dell'amministrazione, sanciti dagli articoli 24 e 113 della Costituzione, possono ben comportare un adeguamento della lettera della legge che garantisca una effettiva applicazione di tali principi, proprio in considerazione delle particolarita' del processo tributario che, dovendo essere introdotto attraverso un meccanismo impugnatorio di particolari specie di atti impostativi, da esercitarsi entro brevissimi termini di decadenza, comporta gia' fortissime compressioni delle citate garanzie costituzionali, rispetto al modello classico del processo civile.

In ogni caso, per quanto attiene al rispetto dei limiti che devono essere assegnati ad una interpretazione adeguatrice, lo sconfinamento della stessa nel campo riservato al legislatore non puo' essere certamente rilevato dal giudice, potendo dar luogo soltanto ad una ipotesi di conflitto, che puo' essere denunciato soltanto dagli organi dello stesso potere legislativo.

Il ricorso deve, pertanto, essere accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e il rinvio ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Toscana, la quale dovra' esaminare le censure dedotte col ricorso introduttivo. Al giudice di rinvio e' affidata anche la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimita'.

PQM

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite; accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Toscana.