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Lavoratore in prova

Lavoro - Lavoratore in prova - norma dell'articolo 2096 c.c., e Legge n. 604 del 1966, articolo 10, il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova e' sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed e' caratterizzato dal potere di recesso del datore di lavoro, la cui discrezionalita' si esplica senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacita' e del comportamento professionale del lavoratore stesso: rilevandosi, peraltro, che detta discrezionalita' non e' assoluta, e deve essere coerente con la causa del patto di prova, sicche' il lavoratore, che non dimostri il positivo superamento dell'esperimento nonche' la imputabilita' del recesso del datore a un motivo estraneo a tale causa, e quindi illecito, non puo' eccepire ne' dedurre la nullita' del licenziamento in sede giurisdizionale.- Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile Sentenza del 17 novembre 2010, n. 23224

Lavoro - Lavoratore in prova - norma dell'articolo 2096 c.c., e Legge n. 604 del 1966, articolo 10, il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova e' sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed e' caratterizzato dal potere di recesso del datore di lavoro, la cui discrezionalita' si esplica senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacita' e del comportamento professionale del lavoratore stesso: rilevandosi, peraltro, che detta discrezionalita' non e' assoluta, e deve essere coerente con la causa del patto di prova, sicche' il lavoratore, che non dimostri il positivo superamento dell'esperimento nonche' la imputabilita' del recesso del datore a un motivo estraneo a tale causa, e quindi illecito, non puo' eccepire ne' dedurre la nullita' del licenziamento in sede giurisdizionale.- Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile Sentenza del 17 novembre 2010, n. 23224
 

Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile Sentenza del 17 novembre 2010, n. 23224


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 4 gennaio 2006, la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma - Sez. Lavoro, resa in data 18 - 21 febbraio 2002, condannava la Te. An. S.p.A. (gia' Gl. Sp. An. S.p.A.) al pagamento delle somme richieste dal lavoratore Ar.An. a titolo di provvigioni non corrisposte nel corso del rapporto di lavoro, rigettando pero' le domande avanzate dal lavoratore ricorrente relativamente alla contestata nullita' del patto di prova ed illegittimita' del licenziamento intimato nel corso del periodo di prova con conseguente reintegra nel posto di lavoro, oltre al pagamento di somme inerenti spese ed indennita' di trasferta.

A sostegno della decisione osservava che la societa' non aveva fornito la prova dell'avvenuto pagamento delle provvigioni vantate dall' Ar. mentre lo stipulato patto di prova doveva ritenersi valido con conseguente validita' dell'atto di recesso da parte della societa', che null'altro doveva all' Ar. .

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l' Ar. con quattro motivi.

Resiste la Te. An. S.p.A. con controricorso, proponendo altresi' ricorso incidentale affidato ad un unico articolato motivo, depositando anche memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale trattandosi di impugnazioni avverso la medesima sentenza (articolo 335 c.p.c.).

Con il primo motivo mezzo d'impugnazione, il ricorrente principale, Ar.An. , denunciando "violazione e falsa applicazione degli articoli 2096, 1325 e 1350 c.c., (articolo 360 c.p.c., n. 3), si duole che il Giudice d'appello, pur avendo ritenuto accertata la circostanza del mutamento della propria posizione lavorativa - assunto come Capo Area Regione Lazio e poi divenuto Capo Area Nazionale -, sarebbe pervenuto a conclusioni erronee laddove "era chiaro ed accertato che il contenuto delle mansioni non fosse assolutamente lo stesso", non essendo stato considerato che, benche' fosse stato assunto in prova come Capo Area Lazio, era stato infine licenziato come Responsabile G.D.O. Nazionale senza che nessuno rendesse mai esplicito il contenuto delle mansioni, sicche' la sentenza doveva essere cassata sul punto in cui aveva omesso di dichiarare la nullita' del patto di prova.

Il motivo e' infondato.

Invero, la Corte territoriale ha ritenuto non condivisibile la censura di nullita' del patto di prova per il sostenuto mutamento di mansioni rispetto a quelle esplicitate al momento dell'assunzione osservando come, per un verso, non fosse esatto il dedotto riferimento alla genericita' delle mansioni, poiche' la lettera di assunzione indicava per le mansioni la posizione di "Capo area Regione Lazio" con la qualifica di Quadro livello 1/S, e, come, per altro verso, l' Ar. non avesse espletato mansioni superiori, rispetto a quelle inizialmente assegnategli, in quanto quelle di capo area espletate dopo tre mesi a livello nazionale, pur aumentando i canali di vendita, non comportavano alcun mutamento di attivita'.

Ne discende che non e' imputabile alla Corte di Appello ne' una violazione del principio dell'onere della forma scritta del patto di prova ne' un'elusione di quell'orientamento giurisprudenziale giusta il quale il patto di prova deve ritenersi nullo in caso di mutamento delle mansioni originariamente stabilite (Cass. n. 9811/95), laddove, nel caso di specie, la prestazione lavorativa dell' Ar. e' stata valutata sempre in relazione alla posizione di Capo Area, prima nel Lazio per tutta la clientela e poi soltanto per i clienti della Grande Distribuzione (GDO), senza, quindi, che vi fosse alcuna variazione.

Trattasi, pertanto, di un accertamento di fatto, adeguatamente motivato, non suscettibile di essere sottoposta ad un rinnovato giudizio in questa sede.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando violazione sotto altro profilo degli articoli 2096, 1325 e 1350 c.c., nonche' omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), lamenta che la Corte territoriale abbia erroneamente affermato che, in presenza del patto di prova, il recesso datoriale sia libero, salvo il motivo illecito ritenuto insussistente nel caso di specie. Al contrario sussisterebbe una vera e propria illiceita' concretizzantesi nello sfruttamento della professionalita' del ricorrente.

Il motivo e' privo di fondamento.

Devono anzitutto ricordarsi i principi consolidati, affermati costantemente in argomento da questa Corte (ex plurimis, Cass. n. 7644/1998), anche in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale 22 dicembre 1980 n. 189 che, in tema di patto di prova, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 2096 c.c., comma 3, e della Legge 15 luglio 1966, n. 604, articolo 10, con riferimento all'articolo 3 Cost., commi 1 e 2, articoli 4 e 35 Cost., e articolo 41 Cost., comma 2, ha specificato nozione e contenuto della "discrezionalita'" del datore di lavoro nel recedere durante l'esperimento.

Va ribadito, cosi', che, a norma dell'articolo 2096 c.c., e Legge n. 604 del 1966, articolo 10, il rapporto di lavoro subordinato costituito con patto di prova e' sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali, ed e' caratterizzato dal potere di recesso del datore di lavoro, la cui discrezionalita' si esplica senza obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacita' e del comportamento professionale del lavoratore stesso: rilevandosi, peraltro, che detta discrezionalita' non e' assoluta, e deve essere coerente con la causa del patto di prova, sicche' il lavoratore, che non dimostri il positivo superamento dell'esperimento nonche' la imputabilita' del recesso del datore a un motivo estraneo a tale causa, e quindi illecito, non puo' eccepire ne' dedurre la nullita' del licenziamento in sede giurisdizionale.

Giova pure ricordare al riguardo che scopo dell'esperimento in prova e' quello di fare acquisire alle parti sufficienti e adeguati elementi di valutazione sulla reciproca loro convenienza di addivenire a un rapporto di lavoro definitivo: valutazione che e' pertanto esclusivamente rimessa al giudizio e alla libera disponibilita' delle stesse, le quali sono dunque pienamente libere di ritenere od escludere siffatta convenienza. E pertanto l'avvenuto positivo superamento, da parte del lavoratore, dell'esperimento non e', di per se' solo, sindacabile in sede giudiziale, ne' puo', di per se', offrire la dimostrazione, pur presuntiva o per implicito, di un motivo illecito (ex articoli 1345 e 1418 c.c.) del recesso del datore di lavoro in pendenza del periodo di prova.

Un siffatto illecito motivo, quale ragione di nullita' di quel recesso, puo' ritenersi provato in giudizio solo quando, oltre all'avvenuto positivo superamento dell'esperimento, siano dimostrati precisi e specifici fatti concreti i quali comprovino che il recesso non era in alcun modo ricollegabile all'esperimento stesso ne' al suo esito, ma era dovuto a ragioni del tutto estranee alla sua realizzazione ed alla causa del patto di prova e che integravano dunque cosi' l'unico e determinante motivo (appunto illecito) della decisione del datore di recedere dal rapporto.

Nel caso di specie la Corte di Appello, motivando la sua decisione in maniera adeguata, ancorche' sintetica, si e' attenuto ai principi ora enunciati, escludendo in particolare la illegittimita' del recesso per effetto di un dedotto mutamento di mansioni ritenuto - come appena argomentato - insussistente. Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando omessa insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia relativamente alla richiesta di rimborso delle spese di trasferta e la relativa indennita' (articolo 360 c.p.c., n. 5)", lamenta che la Corte d'Appello, riprendendo la sentenza di primo grado, abbia erroneamente ritenuto che non gli spettasse il rimborso delle spese sostenute e, cosi' pure sul punto, il rimborso della indennita' di trasferta , richiamandosi all'articolo 59 CCNL.

Sennonche' la Corte di merito ha sufficientemente motivato la sua determinazione, osservando, in ordine al diritto al rimborso di detta indennita', che alcunche' spettava al ricorrente sulla base del rilievo che la norma collettiva invocata faceva riferimento ad "incarichi specifici" per prestazioni di servizio fuori della circoscrizione del Comune, mentre nel caso di mansioni di capo area erano tali fisiologicamente da comportare lo spostamento nel territorio e cosi' nella Regione di cui era capo area (infatti, aveva, ad personam, il "bonus" di lire 1.685.000).

Osserva il Collegio che nessun vizio motivazionale emerge da siffatta argomentazione, mentre, sotto altro profilo, nessun vizio interpretativo della norma collettiva richiamata e' possibile riscontrare, mancando nell'esaminato motivo ogni riferimento a violazioni dei canoni ermeneutici in materia. Analogamente, nessun vizio di motivazione e' riscontrabile in relazione alla richiesta di rimborso delle "spese vive" che l' Ar. avrebbe sopportato durante le trasferte nel corso del rapporto lavorativo, avendo il Giudice di appello rilevato che difettavano le condizioni per detto rimborso, essendo mancata totalmente l'osservanza della procedura prevista per l'ottenimento del rimborso e cioe' del "visto della Direzione vendita".

Infondato, infine, e' anche il quarto motivo di ricorso con cui si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione relativamente alla domanda subordinata di corresponsione della retribuzione per il periodo di anticipata risoluzione del rapporto di lavoro (articolo 360 c.p.c., n. 5).

Invero, il Giudice di appello, affermando la legittimita' del recesso durante il periodo di prova ha, in maniera implicita, ma non per questo poco chiara, correttamente ritenuto non spettare alcuna retribuzione per il residuo periodo di circa 15 giorni prima della scadenza del periodo di prova e successivi al recesso.

Con il ricorso incidentale la societa' Te. An. , denunciando omessa ed insufficiente motivazione nonche' falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., lamenta che il Giudice di appello abbia ritenuto fondato il motivo di gravame circa l'omessa pronuncia in ordine alla richiesta di condanna al pagamento della provvigione maturata, per essersi essa societa' limitata a dedurre l'avvenuto pagamento, senza che la documentazione prodotta dimostrasse il pagamento non riferendosi a provvigioni.

Il motivo e' infondato, avendo rettamente il Giudice a quo ritenuto che, di fronte all'affermazione della societa' di avere pagato le provvigioni - e, quindi, al riconoscimento del debito ancorche' estinto per effettuato pagamento - e di fronte alla documentazione prodotta dalla stessa societa' a sostegno dell'intervenuto pagamento delle provvigioni, l'acclarata circostanza che detta documentazione non dimostrava affatto il dedotto adempimento "non riferendosi a provvigioni", comportava l'accoglimento del relativo motivo di appello, in rigetto di entrambi i ricorsi induce a compensare le spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it