Rapporto di lavoro - Tfr - Trattamento di fine rapporto - Inps - Fondo di Garanzia - Interessi -Rivalutazione

Rapporto di lavoro - Tfr - Trattamento di fine rapporto - Inps - Fondo di Garanzia - Interessi -Rivalutazione

Rapporto di lavoro - Tfr - Trattamento di fine rapporto - Inps - Fondo di Garanzia - Interessi - Rivalutazione (Corte di cassazione, Sentenza 20 dicembre 2002-15 maggio 2003 n. 7601)

Svolgimento del processo

Con ricorso, ritualmente depositato, l'INPS proponeva opposizione avverso il decreto, con il quale era stato ingiunto ad esso istituto di pagare a Donatella Bxxxxxxxx gli oneri accessori sul trattamento di fine rapporto già corrisposto.
L'INPS eccepiva in via preliminare la nullità dell'ingiunzione e nel merito deduceva l'infondatezza della pretesa della parte opposta, atteso che a quest'ultima era stato corrisposto l'intero trattamento di fine rapporto richiesto, come ammesso allo stato passivo in sede fallimentare.
All'esito l'adito Pretore di Venezia con sentenza n. 225 del 1998 respingeva l'opposizione.
L'anzidetta decisione, a seguito di appello proposto dall'INPS, veniva confermata dal Tribunale di Venezia con sentenza depositata il 23/2/1999.
Il giudice di appello osservava, con riguardo al trattamento di fine rapporto, che nel caso di specie, trattandosi di credito verso il datore di lavoro fallito - cui era subentrato l'apposito fondo di garanzia nella posizione di debitore - gli interessi si sommavano alla rivalutazione, non trovando applicazione l'art. 22 della legge n. 724 del 1994, che richiamava l'art. 16 - comma 6 - della legge n. 412 del 1991 disciplinante il divieto di cumulo della rivalutazione monetaria e degli interessi.
Il Tribunale riteneva che l'area di applicazione della normativa richiamata si riferisse ai dipendenti della P.A. e ai lavoratori ad essa legati da rapporti di natura privatistica, da cui l'uso dell'aggettivo «privati» nell'articolo 22 - comma 36 - della legge n. 724/1994, mentre il credito in questione non avrebbe avuto tali caratteristiche.
Contro la sentenza di appello ricorre per cassazione l'INPS con unico motivo.
Nessuna difesa ha svolto in questa sede l'intimata Bxxxxxxxx.

Motivi della decisione

Con l'unico motivo l'INPS lamenta violazione degli articoli 429 del codice di procedura civile, 22 - comma 36 - della legge n. 724 del 1994, articolo 16 - comma 6 - della legge n. 412 del 1991, nonché vizio di motivazione, in relazione all'articolo 360 n. 3 e n. 5 del codice di procedura civile.
L'INPS assume che il Tribunale abbia errato nel ritenere non più operante il divieto di cumulo degli interessi e della rivalutazione monetaria, permanendo, invece, in virtù dell'articolo 16 anzidetto, norma applicabile ai crediti in questione come conseguenza del richiamato articolo 22 - comma 36 - della legge citata, che ha esteso anche ai crediti di lavoro sorti dopo il 31 dicembre 1994 la regola del divieto di cumulo con riguardo ai lavoratori privati e alle somme loro dovute dal Fondo di garanzia.
Le doglianze non hanno pregio e vanno disattese.
Va premesso che sulla questione in esame si sono manifestati due orientamenti: il primo riconosce alla prestazioni erogate dal Fondo di garanzia natura tipicamente previdenziale e ritiene conseguentemente applicabile il divieto di cumulo degli interessi e della rivalutazione sulle relative somme, ai sensi dell'art. 16 - sesto comma - della legge n. 412 del 1991; l'altro, invece, attribuisce alle medesime prestazioni la stessa natura ed estensione del debito del datore di lavoro insolvente e ritiene, pertanto, sussistente nel lavoratore il diritto a ricevere cumulativamente gli interessi e la rivalutazione monetaria, non trovando applicazione il divieto di cui all'anzidetta disposizione.
Tale contrasto è stato risolto da questa Corte (Sezioni Unite sentenza n. 13988 del 26 settembre 2002), che ha aderito al secondo dei due orientamenti affermando il seguente principio di diritto: «Il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando in forza della legge 29 maggio 1982, n. 297 e del D.Lgs. 27 gennaio 1992, n. 80 sia fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia gestito dall'INPS per l'insolvenza o l'inadempimento del datore di lavoro, ed è quindi comprensivo, come di regola, degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, restando inapplicabile il divieto di cumulo di tali accessori stabilito dall'art. 16 - sesto comma - legge 30 dicembre 1991, n. 412».
L'impugnata sentenza si è attenuta a tale principio e ha richiamato le argomentazioni, sulle quali poggia l'orientamento accolto, ed in particolare quelle, desumibili dall'articolo 2 della legge n. 297 del 1982, secondo cui il Fondo subentra nella stessa posizione del datore di lavoro ed è tenuto a pagare il medesimo debito retributivo di quest'ultimo, comprensivo della somma capitale, e, a norma del secondo comma, «dei relativi crediti accessori».
La stessa sentenza ha richiamato le altre argomentazioni, secondo le quali tale debito, sulla cui natura non incide la previsione dello spatium deliberandi (sessanta giorni) per il pagamento ai sensi del settimo comma dell'anzidetto art. 2, resta assoggettato alla disciplina dell'art. 429 C.P.C. ed il fondo è pertanto obbligato a corrispondere ai lavoratori, senza necessità di allegazione e di prova del maggior danno, la rivalutazione monetaria e gli interessi.
Va peraltro rilevato che secondo un indirizzo di questa Corte (espresso in particolare nella sentenza n. 2877 del 27 febbraio 2001) la disciplina di cui all'articolo 22 - comma 36 - della legge n. 724 del 1994 trova applicazione alla fattispecie in esame anche dopo l'intervento abrogativo contenuto nella sentenza della Corte Costituzionale n. 459 del 2 novembre 2000, che ha dichiarato l'illegittimità del divieto del cumulo-interessi con riguardo soltanto ai crediti derivanti da rapporti tra privati, ma non ha investito i crediti, come quelli in questione, che per effetto dell'accollo ex lege abbiano come accollanti enti previdenziali, ai quali si riconnette, per la loro particolare struttura pubblica, la certezza dell'adempimento in relazione all'intervento finanziatore dello Stato.
In questo modo l'intervento abrogativo della Corte Costituzionale non viene esteso ai crediti, che, pur connessi ad «emolumenti, spettanti ai privati», assumono piena e totale garanzia, per effetto dell'accollo ex lege dell'INPS, di certezza e di tempestività dell'adempimento, sicché in tale prospettiva il divieto del cumulo risponde alla necessità di una più adeguata ponderazione dell'interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica.
Non si ritiene di seguire tale interpretazione, in quanto l'istituzione del Fondo di garanzia attua una forma di assicurazione sociale, in relazione alla quale l'interesse del lavoratore è conseguito non attraverso l'erogazione di un'autonoma indennità, ma mediante l'assunzione, nel caso di insolvenza del datore di lavoro, da parte dell'ente previdenziale della responsabilità solidale per l'erogazione dell'anzidetto trattamento di fine rapporto quale retribuzione differita (in questo senso Cass. citata n. 13988 del 2002).
Rimanendosi quindi nell'ambito degli emolumenti spettanti ai dipendenti privati e non pubblici, è corretta la soluzione del giudice di appello di escludere l'applicazione del divieto di cumulo degli interessi e della rivalutazione.
Non può infine essere trascurata l'ulteriore circostanza, evidenziata dallo stesso giudice di appello, secondo cui l'importo richiesto per interessi e rivalutazione risulta ammesso allo stato passivo del fallimento, sicché può ritenersi pienamente efficace nei confronti dell'INPS.
Questo ente, essendo portatore di un proprio interesse e quindi legittimato a proporre reclamo ex articolo 26 - primo comma della legge fallimentare, non si è avvalso di tale strumento di tutela contro il decreto di approvazione e di esecutività dello stato passivo, emesso dal giudice delegato ai sensi dell'articolo 97 della legge fallimentare, secondo le disposizioni generali del rito camerale (articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile) ed in particolare secondo la norma relativa al termine di dieci giorni, in conformità all'elaborazione giurisprudenziale a seguito dei vari interventi della Corte Costituzionale in materia.
Tale termine, decorrente dalla conoscenza del provvedimento impugnato, può dirsi ampiamente decorso, giacche l'INPS, come terzo non destinatario della comunicazione dello stesso provvedimento, venne a conoscenza del decreto del giudice delegato limitandosi a corrispondere il TFR, così come ammesso, senza rivalutazione.
In conclusione il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato.
Nessuna pronuncia va emessa per le spese del giudizio di cassazione, non essendosi costituita l'intimata Bxxxxxxxx.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.