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Scelta della sede di lavoro più vicina al congiunto portatore di handicap

Lavoro - legge 104/92 - Scelta della sede di lavoro più vicina al congiunto portatore di handicap -

Lavoro - legge 104/92 - Scelta della sede di lavoro più vicina al congiunto portatore di handicap - (Tar per la Calabria – Sezione di Reggio Calabria – sentenza 24 marzo-9 aprile 2004, n. 341)

Tar per la Calabria – Sezione di Reggio Calabria – sentenza 24 marzo-9 aprile 2004, n. 341

Presidente Novarese – Relatore Nunziata

Fatto

Espone in fatto l’odierno ricorrente di aver presentato istanza in data 11 giugno 2003 per usufruire dei benefici di cui alla legge 104/92 in quanto la sorella è invalida al 100%; i due fratelli svolgono attività che li costringe spesso ad assentarsi dal luogo di residenza, mentre la stessa madre ha bisogno di cure ed assistenza. Con i provvedimenti impugnati l’istanza è stata rigettata con la motivazione che «vi sono altri familiari in grado di prestare la dovuta assistenza».

L’Amministrazione si è costituita in giudizio contestando in fatto e in diritto quanto dedotto a fondamento del ricorso e depositando una relazione.

Alla pubblica udienza del 24 marzo 2004 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione come da verbale.

Diritto

1. Con il ricorso in esame il ricorrente richiede l’annullamento dei provvedimenti impugnati deducendo tra l’altro l’eccesso di potere per difetto dei presupposti, la carenza di istruttoria, il difetto di motivazione e la violazione dell’articolo 33, comma 5, della legge 104/92.

1.1. L’Avvocatura Distrettuale dello Stato si è costituita depositando una relazione dell’Amministrazione che richiama tra l’altro una serie di circolari emanate per assicurare una giusta applicazione della legge 104/92 nell’ambito dell’apparato amministrativo.

2. Il Collegio ritiene in via preliminare di sottolineare che l’articolo 33 della legge 104/92 non riconosce al pubblico dipendente una posizione di diritto soggettivo ai fini dell’assegnazione della sede lavorativa più vicina al familiare handicappato assistito; alla titolarità di una situazione di interesse legittimo nei confronti della Pa di appartenenza corrisponde l’onere dell’Ente datore di lavoro di esplicitare, ai sensi dell’articolo 3 della legge 241/90, in forma sia pure succinta le ragioni che non rendono possibile l’accoglimento della domanda, atteso che il generale obbligo di motivazione riguarda ormai tutte le tipologie provvedimentali, ad esclusione di quelle espressamente eccettuate (Tar Sicilia, Palermo, Sezione prima, 169/03).

2.1. Il possesso dei requisiti soggettivi previsti per l’assistenza a familiari invalidi dalla legge 104/92 postula l’ulteriore presupposto di natura oggettiva, di cui all’articolo 33 della legge citata, quale sottolineato dall’inciso “ove possibile” e costituito dalla necessaria esistenza del posto “de quo” nella pianta organica dell’ufficio presso il quale il dipendente chiede di essere trasferito (Tar Emilia Romagna, Parma, 736/02; CdS, Sezione terza, 23/1998). In altre parole, il diritto del genitore o del familiare lavoratore dell’handicappato di scegliere la sede più vicina al proprio domicilio e di non essere trasferito ad altra sede senza il suo consenso non è assoluto o illimitato, ma presuppone, oltre gli altri requisiti esplicitamente previsti dalla legge, anche la compatibilità con l’interesse comune, posto che il diritto all’effettiva tutela dell’handicappato non può essere fatto valere quando il relativo esercizio venga a ledere in misura consistente le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro, in quanto ciò può tradursi, specie per quel che riguarda i rapporti di lavoro pubblico, in un danno per la collettività.

3. Nel caso di specie il Collegio ritiene che il ricorso meriti accoglimento sotto il profilo dell’incongruenza dell’attività amministrativa e della interpretazione fornita all’articolo 33 della legge 104/92. In realtà il beneficio in questione non viene subordinato alla mancanza di altri familiari in grado di assistere il portatore di handicap (CdS, Sezione sesta, 481/03), giacché la norma si riferisce all’assistenza continuativa in atto e non anche alla instaurazione di un rapporto di assistenza (Corte costituzionale, 325/96 e, in tema di trasferimenti di magistrati, CdS, Sezione quarta, 435/97). In sostanza è nei poteri dell’Amministrazione di esigere una compiuta dimostrazione dell’assistenza continua all’handicappato da parte del lavoratore che richiede l’agevolazione, specie quando, come nella fattispecie di cui trattasi, nell’ambito dei familiari conviventi vi siano più persone idonee a fornire l’aiuto necessario alla persona in situazione di handicap, ma non anche di negare il beneficio, allorché sussista il presupposto dell’effettiva assistenza continuativa da parte del lavoratore medesimo sulla considerazione che il rapporto possa essere instaurato da altri familiari.

3.1. Non è dunque possibile, come viceversa prospettato dall’Amministrazione nella vicenda per cui è ricorso, prospettare un’interpretazione della normativa in profonda antitesi con la volontà del legislatore del 1992 di assicurare un’ampia sfera di applicazione al fine di assicurare in termini quanto più possibili soddisfacenti la tutela dei portatori di handicap. Similmente non è d’altra parte immaginabile che l’assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare, tant’è che con la legge in parola il legislatore ha previsto, quale misura applicativa, la salvaguardia dell’assistenza in atto, accettata dal disabile, al fine di evitare rotture traumatiche e dannose della convivenza.

4. In quest’ottica deve essere letta anche la modifica che all’articolo 33 in questione è stata apportata dalla legge 53/2000, confluita del D.Lgs 151/01 ed a sua volta modificato dal D.Lgs 115/03, allorché si è eliminato il requisito della convivenza tra dipendente pubblico o privato che presti assistenza al disabile e quest’ultimo. A parere del Collegio la novella normativa si atteggia come una innovazione legislativa più rigorosa, ma che ben si coniuga con la precedente nel perseguimento del meritevole fine di garantire la continuità della tutela della assistenza quando viene effettivamente prestata (CdS, Sezione sesta, 2683/03). È possibile dunque sostenere che si è progressivamente affermata un’interpretazione estensiva dell’articolo 33 nel senso di consentire l’instaurazione di un rapporto assistenziale ex novo od al fine di ripristinare il rapporto stesso eventualmente interrotto, anche alla luce dei principi costituzionali di solidarietà sociale, salute, famiglia, istruzione e lavoro e di quanto affermato in giurisprudenza (CdS, Sezione terza, Parere 1813/96) ovvero che «ritenere che la norma possa operare solo in presenza di una convivenza in atto tra il dipendente e l’handicappato significa attribuire alla norma una portata eccessivamente limitata».

D’altra parte, con riguardo a quanto sostenuto dall’Amministrazione nella vicenda in esame, va detto che (Corte App. Venezia, 10 ottobre 2000) nel rapporto di lavoro cosiddetto contrattualizzato deve escludersi che la parte datoriale possa unilateralmente modificare, ancorché con atto di carattere generale adottato in forma di circolare esplicativa, la disciplina dei diritti riconosciuti dalla legge 104/92, e ciò anche se la modifica abbia carattere migliorativo poiché ai vantaggi così acquisiti da una determinata categoria di dipendenti farebbero riscontro simmetrici svantaggi per altri lavoratori che per scelta unilaterale del lavoratore sarebbero così pretermessi ai primi.

5. Per questi motivi il Collegio ritiene che il ricorso vada accolto con conseguente annullamento dei provvedimenti oggetto di impugnazione. Sussistono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

PQM

Il Tar della Calabria - Sezione Staccata di Reggio Calabria – accoglie il ricorso come in epigrafe proposto e, per l’effetto, annulla i provvedimenti oggetto di impugnazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.