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Raporto di lavoro- Trattamento di fine rapporto - Interessi e rivalutazione

Raporto di lavoro- Trattamento di fine rapporto - Interessi e rivalutazione - pagamento dell' l'Inps inmancanza di versamento da parte dal datore di lavoro

Raporto di lavoro - Trattamento di fine rapporto - Interessi e rivalutazione - pagamento dell' l'Inps in mancanza di versamento da parte dal datore di lavoro (Cassazione - sezioni unite civili - sentenza 27 giugno 2001-26 settembre 2002, n. 13988)

Cassazione - sezioni unite civili - sentenza 27 giugno 2001-26 settembre 2002, n. 13988
Presidente Carbone - relatore Ravagnani Pm Pivetti - conforme - ricorrente Inps - controricorrente Luzzi ed altri

Svolgimento del processo

Il signor Luigi Luzzi ed altri sei litisconsorti, tutti indicati in epigrafe, dipendenti delle imprese Cimot e Planula spa, dichiarate fallite dal tribunale di Pistoia, avevano chiesto all'Inps, quale gestore del fondo di garanzia previsto dall'articolo 2 legge 297/82, il pagamento del trattamento di fine rapporto maturato, nella misura ammessa nello stato passivo della procedura fallimentare, oltre agli accessori di legge.

Poiché l'Inps non aveva eseguito il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria, i lavoratori adivano il pretore del lavoro di Pistoia, chiedendo ed ottenendo distinti decreti ingiuntivi per il pagamento delle relative somme.

L'istituto proponeva opposizione, contestando la sussistenza del debito sia per gli interessi, sia per la rivalutazione monetaria, siccome non cumulabili, ai sensi dell'articolo 22, comma 36°, legge 724/94.

Il pretore adito rigettava le opposizioni, ritenendo, in particolare, quanto alla rivalutazione, che non trovasse applicazione il dedotto divieto di cumulo, applicabile solo ai lavoratori del pubblico impiego e non anche a quelli del settore privato.

L'Inps interponeva gravame, cui resistevano le controparti.

Il tribunale di Pistoia rigettava l'appello, rilevando che la questione del cumulo di rivalutazione ed interessi era stata ormai superata dall'intervento della Corte costituzionale, che, con sentenze 452/00, aveva dichiarato l'illegittimità del citato articolo 22, comma 36°, limitatamente all'estensione del divieto ai lavoratori privati.

Avverso tale sentenza l'Inps ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di censura.

Gli intimati hanno presentato controricorso.

Il primo presidente ha assegnato il ricorso a queste sezioni unite per la composizione del contrasto giurisprudenziale sussistente in materia.

Motivi della decisioneL'istituto ricorrente, deducendo violazione dell'articolo 16, sesto comma, legge 412/91, assume che il tribunale abbia errata nel ritenere che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale 459/00, non sia più operante il divieto di cumulo, questo permanendo, invece, in virtù dell'articolo 16 citato, applicabile ai crediti in questione, stante la natura previdenziale delle prestazioni dovute dal fondo di garanzia di cui all'articolo 2 "decreto legislativo 80/1992".

Il ricorso non può essere accolto, ritenendo la corte di dover seguire l'orientamento giurisprudenziale che, a prescindere, ovviamente, dal rilievo che esso è anche quantitativamente prevalente rispetto all'altro, seguito dall'istituto, appare il solo correttamente aderente al dettato normativo in ordine alla fattispecie in esame.

De due diversi orientamenti, l'uno riconosce alle prestazioni erogate dal fondo natura tipicamente previdenziale e ritiene conseguentemente applicabile il divieto di cumulo degli interessi e della rivalutazione sulle relative somme, ai sensi dell'articolo 16, sesto comma, legge 412/91, e, l'altro, invece, attribuisce alle medesime prestazioni la stessa natura ed estensione del debito del datore di lavoro insolvente, e ritiene, pertanto, sussistente nel lavoratore il diritto a ricevere cumulativamente gli interessi e la rivalutazione monetaria, non trovando applicazione il divieto di cui all'indicata disposizione.

All'esame di tali orientamenti è peraltro opportuno premettere, sul piano normativo, che la direttiva della Comunità europea 987/80 impegnò i paesi membri a adottare le misure necessarie affinché appositi organismi di garanzia assicurassero la tutela dei diritti dei lavoratori subordinati nei confronti dei datori di lavoro, sia in caso d'insolvenza di questi ultimi, accertata in sede di procedura concorsuale, sia in caso di semplice inadempimento dei medesimi, dopo l'esperimento negativo dell'esecuzione forzata individuale.

In attuazione della citata direttiva, le legge 297/82, recante la disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica, ha previsto all'articolo 2 l'istituzione presso l'Inps del "fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto" con lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza nel pagamento del trattamento di fine rapporto, di cui all'articolo 2120 Cc, spettante ai lavoratori o ai loro aventi diritto. Erogata la prestazione, il fondo ha azione di regresso nei confronti del datore di lavoro e subentra per le somme pagate nel privilegio riconosciuto al credito del lavoratore degli articoli 2751bis e 2776 Cc.

Successivamente, il decreto legislativo 80/1992, attuativo, a sua volta, della delega di cui all'articolo 48 legge 428/90, ha previsto l'intervento del medesimo fondo, alimentato finanziariamente mediante aumento dei contributi già corrisposti al fondo per il trattamento di fine rapporto, per i (diversi) crediti di lavoro relativi agli ultimi tre mesi del rapporto, i quali, peraltro, sono garantiti entro un certo massimale, non sono compatibili con redditi alternativi ricevuti dal lavoratore nello stesso periodo, sono prescrittibili entro il breve termine di un anno, e comprendono gli accessori, decorrenti dalla data di presentazione della relativa domanda.

Occorre poi aggiungere che l'estensione ai crediti previdenziali del regime dell'articolo 429 Cpc (relativo alla condanna del datore di lavoro al pagamento dei crediti di lavoro, aumentati degli accessori - interessi e risarcimento del maggior danno - in cumulo tra loro), per effetto della sentenza della Corte costituzionale 156/91, è stata subito dopo esclusa dal legislatore con l'articolo 16, sesto comma, legge 412/91, in considerazione delle esigenze del bilancio pubblico. Infine, l'articolo 22, comma 36°, legge 724/94 ha abolito il cumulo tra interessi e rivalutazione con riguardo a tutti i crediti dei lavoratori pubblici e privati, in relazione ai quali è peraltro intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza 459/00, ha dichiarato l'illegittimità del citato comma dell'articolo 22 limitatamente alla sua applicazione nei confronti dei lavoratori privati.

In ordine a tale quadro normativo, è appena il caso di rilevare che il riferimento fatto dall'Inps ora esclusivamente all'articolo 412/91, dapprima, in sede di merito, soltanto all'articolo 724/94 è processualmente del tutto ininfluente, nessun vincolo derivando al giudicante, e tanto più in sede di legittimità, dal diverso fondamento legislativo posto dalle parti alle proprie tesi difensive nel corso del giudizio.

Tanto premesso, devesi osservare che il primo orientamento qualifica come previdenziale la natura delle prestazioni del fondo, rilevando che l'articolo 2 del decreto legislativo 80/1992, al quinto comma, definisce testualmente come "prestazione" il pagamento effettuato dal fondo di garanzia ai sensi del primo comma (il pagamento, cioè, dei crediti di lavoro diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto) e, altrettanto testualmente, dispone che il diritto a tale prestazione si prescrive in un anno. Fa quindi discendere da tali rilievi la considerazione che la terminologia usata ("prestazione") e la previsione di uno specifico termine di prescrizione, identico nella durata a quello generalmente stabilito per i diritti alle prestazioni previdenziali di carattere temporaneo erogate dall'Inps, esprimerebbero con evidenza la regola che l'obbligazione del fondo ha natura non retributiva ma previdenziale, inserita nell'ambito di un rapporto a struttura assicurativa (alimentato mediante contribuiti del datore di lavoro), e, perciò, autonoma rispetto all'obbligazione retributiva originaria, anche se coincidente con questa quanto all'oggetto, determinato "per relationem" (Cassazione 5489/00 e 5663/01, con riguardo, rispettivamente, all'applicabilità dell'articolo 152 disp. att. Cpc e all'efficacia interruttiva della procedura concorsuale rispetto alla prescrizione del diritto alla prestazione nei confronti del fondo).

Un orientamento sostanzialmente conforme (ma definito anche "intermedio" tra i due in contrasto) è espresso dalla sentenza 2877/01, secondo cui il divieto di cumulo fra interessi e rivalutazione monetaria introdotto per i crediti di lavoro dall'articolo 22, comma 36°, legge 724/94 persiste anche successivamente alla sentenza costituzionale 459/00, atteso che l'intervento abrogativo della corte non interviene sui crediti che, come quello nei confronti del fondo di garanzia, fruiscono di una speciale tutela che, pur mutandone la natura e la funzione, non ne altera tuttavia la genesi lavoristica.

Il secondo orientamento qualifica, invece, come retributiva la natura delle prestazioni del fondo, rilevando che la "sostituzione" del fondo nel pagamento del trattamento di fine rapporto, prevista dall'articolo 2, primo comma, legge 297/82, sta ad indicare non già una garanzia o fideiussione, ma un accollo ex lege a carico del fondo in ordine, dunque, allo stesso debito (retributivo) del datore di lavoro, comprensivo della somma capitale e degli accessori in cumulo tra loro (Cassazione 15995/01; 5658/01; 14761/99; 5043/94; 5036/89). Rileva poi che la posizione creditoria dell'unico ed originario creditore non muterebbe, ove si qualificasse l'obbligazione dell'ente previdenziale in termini di sussidiarietà, in considerazione dell'onere del preventivo esperimento delle azioni esecutive nei confronti del debitore originario. Ed osserva, inoltre, che l'istituzione del fondo di garanzia rende evidente l'attuazione di una forma di assicurazione sociale, in cui l'interesse del lavoratore è conseguito non attraverso l'erogazione di un'autonoma indennità, ma mediante l'assunzione, in caso di insolvenza del datore di lavoro, della responsabilità solidale per l'erogazione del trattamento di fine rapporto - quale retribuzione differita - da parte dell'istituto previdenziale.

L'adesione a quest'ultimo orientamento, con il richiamo che qui si intende fatto alle relative argomentazioni ora riferite, impone peraltro le ulteriori seguenti osservazioni.

Il primo comma dell'articolo 2, legge 297/82, stabilisce che il fondo "si sostituisce" al datore di lavoro nel pagamento della somma dovuta (e non che "garantisce" tale pagamento) e contiene dunque un precetto che induce a ritenere costituito dallo stesso legislatore (in termini più descrittivi che tecnicamente corretti, a fronte della mancanza di un contratto tra debitore e terzo) un accollo cumulativo ex lege e non una fideiussione. Il fondo subentra dunque nella stessa posizione del datore di lavoro ed è tenuto a pagare il medesimo debito (retributivo) di quest'ultimo, comprensivo della somma capitale e, a norma del secondo comma, "dei relativi crediti accessori".

Poiché il credito inerente al trattamento di fine rapporto e agli accessori ha natura retributiva e non sussistono ragioni normative o logico-giuridiche perché tale natura debba venir meno per effetto dell'avvenuto accollo, qualificabili, alla stregua della lettera del citato articolo 2, come cumulativo e non privativo o liberatorio o novativo, si deve pertanto ritenere che, a norma dell'articolo 429, terzo comma, Cpc, il fondo sia tenuto a corrispondere gli interessi nella misura legale ed il risarcimento del maggior danno (senza necessità che il lavoratore assolva l'onere di allegazione e di prova in base all'articolo 1224, secondo comma, Cc) con decorrenza dal giorno della maturazione del diritto e fio al giorno dell'effettivo pagamento (Cassazione 10968/95 citata).

D'altra parte, la prestazione a carico del fondo non si determina in relazione al diritto maturato e riconosciuto nel passivo fallimentare come se il fondo, nel pagamento del trattamento di fine rapporto, si sostituisce al fallimento. Invero, come è espressamente stabilito dal più volte citato articolo 2, primo comma, e come pure si ricava dalla formulazione del quinto comma per il caso che il datore di lavoro non sia stato sottoposto a un procedimento concorsuale, il legislatore ha disposto la sostituzione del fondo al datore di lavoro e non già al fallimento, con la conseguenza che, appunto come si è già detto, il fondo è tenuto a corrispondere il medesimo debito che grava sul datore di lavoro nel suo intero ammontare, comprendente la somma capitale e gli accessori.

Neppure può prestarsi adesione alla tesi secondo la quale l'esonero dell'Inps dal pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria trarrebbe argomento dalla disposizione del comma settimo dell'articolo 2, che dispone che il fondo deve provvedere al pagamento del credito del lavoratore entro lo spatium deliberandi di sessanta giorni dalla domanda dell'interessato. Tale termine, invero, è stato fissato dal legislatore per permettere lo svolgimento delle necessarie indagini sulla richiesta formulata dal lavoratore, ma non può incidere sulla natura sostanziale del credito, non potendo pregiudicare, con riferimento al suo ammontare, il credito del lavoratore, il quale, in forza della disciplina in esame, ha il diritto di ottenere il medesimo bene che dovrebbe essergli corrisposto dal datore di lavoro, salvo l'eventuale maggior danno risarcibile in via autonoma dall'istituto, ai sensi dell'articolo 1224 Cc, per il mancato rispetto del predetto termine (Cassazione 10968/95) argomenti contrari a quanto sinora rilevato non possono, inoltre, trarsi (Cassazione 5663/01 citata) dalle disposizioni di cui all'articolo 2, primo e quinto comma, decreto legislativo 80/1992. Queste stabiliscono che sul medesimo fondo di garanzia grava anche, in caso di apertura di un procedimento concorsuale a carico del datore di lavoro, il pagamento degli emolumenti diversi dal trattamento di fine rapporto e inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, con la specifica previsione che gli interessi e la rivalutazione monetaria sono dovuti dalla data di presentazione della domanda che il relativo diritto si prescrive in un anno.

Queste disposizioni, invero, sono state emanate, come si è detto, per dare attuazione, al pari di quelle di cui alla legge 297/82, alla citata direttiva europea 987/80 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, ma, in relazione alla specifica ipotesi di diritti diversi da quello al trattamento di fine rapporto, hanno stabilito sia l'esonero del pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria limitatamente al tempo antecedente alla domanda proposta dall'interessato, sia un termine breve di prescrizione, così determinando un apposito dettato normativo, avente carattere di eccezione - non influente sulla natura dell'erogazione dovuta dal fondo -, e confermativo della regola generale relativa all'obbligo di pagamento del trattamento di fine rapporto.

Sembra, infine, appena il caso di rilevare che sotto l'articolo 16, sesto comma, legge 412/91, contenente il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione, non potrebbe ritenersi sussumibile la fattispecie in esame, posto che vi si fa riferimento agli enti gestori di forme di previdenza obbligatoria, alle prestazioni da questi dovute e alla loro decorrenza dalla scadenza del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda, mentre devesi porre in rilievo che il fondo di garanzia non presenta gli estremi caratteristici di tali enti (anche per quanto attiene alla costituzione del relativo patrimonio, alimentato invia esclusiva dai contributi del solo datore di lavoro), l'espressione "prestazioni" ha valenza non univoca, potendosi riferire sia alle prestazioni previdenziali, sia a quelle retributive, e la decorrenza del diritto al trattamento di fine rapporto (per il quale non occorre alcuna domanda) dalla data di cessazione del rapporto di lavoro non trova alcuna deroga normativa, ferma la rilevata natura retributiva del trattamento indicato. La stessa tesi seguita dall'orientamento cosiddetto intermedio reca in sé un'evidente contraddizione nell'affermazione del mutamento della natura del credito del lavoratore e nel riconoscimento, ad un tempo, della sua origine lavoristica, privilegiando, come se dovesse ritenersi assorbente, la natura del soggetto erogatore (in sostanza l'Inps) rispetto alla natura della prestazione, quale si evince invece dalla lettera della norma come sopra interpretata.

Conformemente alle svolte argomentazioni, può in conclusione affermarsi il seguente principio di diritto:"il credito del lavoratore per il trattamento di fine rapporto e per gli emolumenti relativi agli ultimi tre mesi del rapporto non muta la propria natura retributiva quando, in forza della legge 297/82 e decreto legislativo 80/1992, sia fatto valere nei confronti del fondo di garanzia gestito dall'Inps per l'insolvenza o l'inadempimento del datore di lavoro, ed è quindi comprensivo, come di regola, degli interessi legali e della rivalutazione monetaria, restando inapplicabile il divieto di cumulo di tali accessori stabilito dall'articolo 16, sesto comma, legge 412/91".

Il ricorso deve di conseguenza essere rigettato.

Nulla devesi disporre a carico dell'istituto soccombente in ordine alla spese giudiziali, poiché il controricorso è stato notificato dagli intimati oltre il quarantesimo giorno (7 agosto 2001, non postfestivo) dalla notificazione del ricorso, avvenuta il 27 giugno 2001.

PQM

La corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.