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Prove - intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Reato di truffa aggravata in danno dello Stato

Penale - Prove - intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Reato di truffa aggravata in danno dello Stato - L'intercettazione di conversazioni o comunicazione telefoniche non è consentita nei procedimenti relativi al reato di truffa aggravata in danno dello Stato,... Corte di Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 6296 del 18/01/2011

Penale - Prove -intercettazioni di conversazioni o comunicazioni - Reato di truffa aggravata in danno dello Stato - L'intercettazione di conversazioni o comunicazione telefoniche non è consentita nei procedimenti relativi al reato di truffa aggravata in danno dello Stato, che non è catalogabile tra i delitti contro la P.A. e che, in assenza di altre circostanze aggravanti a tal fine rilevanti, non rientra, "quoad poenam", tra quelli per i quali l'intercettazione è consentita.

Corte di Cassazione Sez. 6, Sentenza n. 6296 del 18/01/2011

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Nel quadro di articolate indagini preliminari relative all'affidamento e alla gestione di lavori di diversa natura, manutentiva o modificativa, effettuati nel corso di più anni presso la casa di reclusione di Massa il g.i.p. del Tribunale di Massa, con ordinanza in data 2.7.2010,ha applicato a Salvatore Io.. (e ad altri otto coindagati) la misura cautelare della custodia in carcere. Allo Io.. (e in diversa e meno estesa misura ai coindagati) sono contestate, nella sua qualità di direttore dell'istituto penitenziario di Massa, molteplici reati di corruzione propria, antecedente e susseguente, di concorso in falsità ideologica in atti pubblici, in turbativa d'asta, in frode in forniture pubbliche, in truffa ai danni dello Stato. L'accusa è formata da oltre quaranta imputazioni suddivise per tipo di reato e riferibili a specifiche opere e forniture di servizi commissionati dalla casa di reclusione toscana, che lo Io.. e i coindagati hanno reso stabile fonte di personale lucro dietro una giustificazione soltanto formale di lavori e servizi, per lo più affidati o assegnati (con simulate procedure di gara) alle imprese CI- ESSE Electric s.n.c. e CI-EMME s.r.l. amministrate dal coindagato Prospero Sa...

Il g.i.p. disponente la misura custodiale ha ritenuto lo Io.. raggiunto da convergenti e gravi indizi di colpevolezza per tutti i fatti criminosi ascrittigli, desumibili dai servizi di captazione fonica ordinati in corso di indagini, dai copiosi elementi documentali acquisiti, dagli accertamenti tecnici sui computer degli indagati, dalle consulenze estimative sui prezzi e il valore delle opere fatte realizzare dall'indagato presso la struttura carceraria da lui diretta. Ai dati indiziari il g.i.p. ha ritenuto connesse non meno stringenti ragioni di cautela processuale, sia sotto il profilo probatorio che sotto quello del pericolo di reiterazione delle condotte criminose, fatte palesi dalla pervicace propensione criminale dell'indagato venuta in luce durante le indagini. 2.- Giudicando sull'istanza di riesame dello Io.., il Tribunale di Genova con l'ordinanza del 23.7.2010, indicata in epigrafe, ha respinto il gravame e confermato la misura cautelare, fatta eccezione per due reati ex artt. 353 e 479 c.p. (capi 24 e 26 della rubrica) non sorretti da validi indizi e fatta eccezione - quanto a persistenza delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p., lett. c), - per altre cinque contestazioni, quattro delle quali relative a reati attinti da indulto (art. 273 c.p.p., comma 2). I giudici del riesame in limine hanno disatteso le eccezioni pregiudiziali sollevate dalle difese degli indagati, tra cui quella della addotta inutilizzabilità delle captazioni telefoniche. Ad avviso dei difensori il g.i.p. del Tribunale di Massa avrebbe autorizzato, con l'originario decreto del 16.3.2009, le operazioni di ascolto sul presupposto dell'esistenza di gravi indizi del reato di peculato, erroneamente configurato nelle iniziali emergenze investigative, desunti dalle dichiarazioni di un solo testimone, che ha riferito fatti generici ed appresi da soggetti terzi rimasti non identificati. A tali rilievi il Tribunale ha replicato che, in fatto, le fonti indiziarie sono state individuate negli esiti, non delle dichiarazioni testimoniali predette, ma di specifici e affidabili accertamenti preliminari di natura contabile sulle irregolari fatturazioni riferibili alla società CI-Esse. Ha convenuto, tuttavia, il Tribunale sulla impropria connotazione dei primi fatti indagati in termini di peculato (Io.. avrebbe lucrato le maggiori ed indebite somme liquidate alla CI-Esse), dal momento che il denaro versato alla società, benché oggetto di altre ipotesi di reato, era alla stessa dovuto per prestazioni d'opera realmente eseguite. Nondimeno l'iniziale insussistenza del peculato non è idonea per il Tribunale a determinare la nullità (inutilizzabilità) delle intercettazioni. Quei medesimi contegni sottoposti ad indagine, infatti, erano e sono sussumibili nelle concorrenti fattispecie criminose delle frodi in pubbliche forniture (art. 356 c.p.) e delle truffe aggravate ai danni dello Stato (art. 640 c.p., comma 2, n. 1), reati contro la pubblica amministrazione puniti entrambi con pene non inferiori nel massimo a cinque anni di reclusione e, quindi, idonei a consentire il ricorso al mezzo di ricerca delle prove costituito dalle intercettazioni foniche ai sensi dell'art. 266 c.p.p., comma 1, lett. b).

Evidenziato che con l'istanza del riesame lo Io.. non si è doluto del merito delle singole imputazioni elevate a suo carico (se non nei descritti limiti funzionali alla eccepita inutilizzabilità delle conversazioni intercettate), non formulando censure sul quadro indiziario, il Tribunale di Genova ha giudicato infondate le critiche sollevate dall'indagato con riguardo alle esigenze cautelari. Esigenze che il Tribunale ha stimato non elise dal sopravvenuto pensionamento anticipato dello Io.. e tutelabili con la sola misura carceraria, tenuto conto della pericolosità sociale del prevenuto e del rischio di commissione di altri reati della stessa specie (l'indagato ancora nel giugno 2010, pur ormai edotto delle indagini penali a suo carico, non ha esitato ha ricercare opportunità di affari illeciti anche al di fuori della sfera di sua competenza come pubblico ufficiale).

3.- L'ordinanza reiettiva del Tribunale ligure è stata impugnata per cassazione dai difensori di Salvatore Io.., che hanno dedotto violazioni della legge processuale (artt. 271, 274 e 275 c.p.p.) e carenza ed illogicità della motivazione sotto duplice aspetto. Per un verso le osservazioni del Tribunale in punto di ritenuta utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche autorizzate dal g.i.p. sono erronee ed incongrue. Nei fatti sottoposti ad indagine non erano ravvisabili gli estremi del pur contestato reato di frode in pubbliche forniture (più imputazioni), dal momento che la circostanza per cui la società CI-Esse abbia praticato prezzi maggiorati per i lavori compiuti nel carcere di Massa e fatturato ore di lavoro della manodopera sproporzionate per eccesso rispetto a natura e semplicità di più lavori eseguiti, non vale a sussumere la vicenda nell'area di riferimento dell'art. 356 c.p.. Tale fattispecie è limitata alle modalità esecutive della condotta di fornitura di opere o servizi alla P.A. (aliud pro alio), che nei casi di specie sono state realmente attuate secondo i rapporti contrattuali intessuti con la direzione del carcere di Massa. Al più le predette evenienze, ascrivibili allo Io.. in concorso con l'amministratore della società commissionaria (il coindagato Sa..), attengono alla sola fase della quantificazione del corrispettivo dei lavori e delle opere fornite, la cui asserita maggiorazione è suscettibile di integrare il solo e diverso reato di truffa ai danni della P.A. Ma tale reato, diversamente da quanto si sostiene nell'ordinanza impugnata, non consente le intercettazioni telefoniche, non trattandosi di un reato contro la pubblica amministrazione, ma di un reato contro il patrimonio, escluso dall'elenco specifico dei reati che consentono il ricorso alle intercettazioni (art. 266 c.p.p., comma 1).

Per altro verso le valutazioni sviluppate dal Tribunale in punto di esigenze cautelari trascendono la verifica di una pericolosità specifica dell'indagato, poiché questi non è più in grado di intervenire quale pubblico funzionario come artefice di futuri omologhi reati (essendosi posto in quiescenza) e la possibilità di estendere siffatta attività illecita, influendo sull'assegnazione di lavori (pubblici o non) all'estero, desunta da un messaggio telefonico, generico e di dubbia interpretazione, inviato alla coindagata Morgana Ma.., deve ascriversi al novero delle mere supposizioni. In ogni caso il Tribunale ha omesso di affrontare il congiunto tema della adeguatezza della misura carceraria e della inidoneità di una meno afflittiva cautela domiciliare.

4.- Gli illustrati motivi di ricorso non sono fondati nei limiti di cui in narrativa e l'impugnazione di Salvatore Io.. deve essere rigettata.

1. Premesso che, come ha segnalato in discussione il difensore avv. Pi.., lo Io.. è allo stato sottoposto al meno afflittivo regime degli arresti domiciliari, sicché debbono ritenersi superate o perente le doglianze espresse in punto di proporzionalità dell'applicata misura inframurale ex art. 275 c.p.p., comma 2, i rilievi enunciati dal Tribunale del riesame di Genova, nell'esercizio dei propri poteri di integrazione motivazionale della regiudicanda cautelare, in punto di utilizzabilità delle intercettazioni; vanno ritenuti nella sostanza corretti e immuni dai vizi di illegittimità esposti con il ricorso.

2. Giova precisare, considerate le parziali riserve avanzate con il ricorso anche su questo profilo, che le valutazioni "integrative" svolte dal Tribunale in tema di inquadramento delle fattispecie criminose sulle quali si sono inserite le attività di intercettazione di conversazioni sono aderenti al costante indirizzo interpretativo di questa S.C.. L'indicazione da parte del p.m., ratificata dall'autorizzante g.i.p. di un determinato titolo di reato nella richiesta di autorizzazione alla attivazione di intercettazioni presenta un carattere di massima e non vincolante atteso che ciò che rileva è che il decreto autorizzativo attenga ad una o più fattispecie criminose emerse dalle indagini fino a quel determinato momento storico e che le stesse siano, in quanto tali, riconducibili alla categoria delle fattispecie tassativamente indicate dall'art. 266 c.p.p. (cfr. Cass. Sez. 2, 21.4.1997 n. 2873, Viveri, rv. 208755).

Tanto precisato, sbaglia senz'altro il Tribunale nel sostenere che il reato di truffa commesso ai danni dello Stato (art. 640 c.p., comma 2, n. 1) sia un reato contro la pubblica amministrazione, legittimante quoad poenam l'impiego dello strumento captativo. In vero l'elenco dei reati per i quali è consentito procedere ad intercettazioni foniche contenuto nell'art. 266 c.p.p., comma 1 disposizione da ritenersi - per l'invasività del mezzo acquisitivo della prova (art. 15 Cost.)- di stretta interpretazione, deve qualificarsi come un elenco rigido ed insuscettibile di applicazioni analogiche connesse alla tipologia di fatti criminosi latamente assimilabili per gli effetti lesivi prodotti. Ne discende che alla tassatività dell'elenco dei reati ex art. 266 c.p.p. non può far velo, al di là dello specifico nomen iuris, l'evenienza per cui il reato di truffa aggravata di cui all'art. 640 cpv. c.p., n. 1 produca un danno allo Stato o ad altri enti pubblici e lo stesso possa, in sostanza, considerarsi per derivativa addizione strutturale un reato contro la pubblica amministrazione, essendo diretto a vulnerarne il patrimonio. Il reato di truffa ai danni dello Stato è e rimane un reato contro il patrimonio, a nulla rilevando (se non in termini di intrinseca diversa gravità, tipizzata dallo stesso art. 640 c.p.) che il patrimonio aggredito sia di pertinenza dello Stato o di una amministrazione pubblica.

Con l'effetto che, in assenza di altre circostanze aggravanti computabili ai sensi dell'art. 4 c.p.p., il reato di truffa aggravata in danno dello Stato non rientra, quoad poenam, tra i reati per o quali cui l'art. 266 c.p.p., comma 1, lett. a) permette l'esecuzione di intercettazioni foniche. 3. Tali deduzioni non impediscono, però, di giudicare comunque corretta la conclusione cui è pervenuto il Tribunale di Genova nell'affermare l'utilizzabilità delle conversazioni intercettate in fase di indagini preliminari nei confronti dello Io.. e dei coindagati, dal momento che nei fatti sono (id est all'atto dell'impiego del mezzo di indagine) ravvisabili più ipotesi criminose di frode nelle pubbliche forniture, reato specificamente incluso nel capo 2 del titolo 2 (delitti contro la P.A.) del libro 2 del codice penale e che - per pena edittale massima - legittima l'impiego degli strumenti di intercettazione ai sensi dell'art. 266 c.p.p., comma 1, lett. b). In adesione alla giurisprudenza di questa S.C. l'analisi attraverso cui i giudici del riesame hanno ritenuto integrati dalle risultanze delle indagini, valutate ex ante (decreto autorizzativo delle intercettazioni) e con prognosi contestuale ai dati conoscitivi acquisiti ex art. 309 c.p.p., i vari episodi di frode in forniture pubbliche attribuiti al ricorrente è giuridicamente corretta, sia sul piano processuale (v.: Cass. Sez. 6, 20.10.2009 n. 50072, P.M. in proc. Bassi, rv. 245699; Cass. Sez. 1,19.5.2010 n. 24163, Satta, rv. 247943), sia sul piano sostanziale in rapporto agli indici referenziali della fattispecie di cui all'art. 356 c.p.. La nota caratterizzante, in tutte le sue possibili manifestazioni, il reato di frode in forniture erariali è costituita dalla malafede contrattuale, che non investe il semplice adempimento, formalmente conforme alle previsioni, del contratto intercorso tra il privato fornitore e la pubblica amministrazione, ma a questo coniuga una qualsiasi opera di mistificazione dei risultati dell'accordo e, quindi, qualunque violazione contrattuale (anche attinente all'elemento del prezzo attribuito e preteso per il lavoro o i servizi "forniti") in funzione lesiva degli interessi economici della P.A. (cfr.: Cass. Sez. 6, 17.11.199 n. 1823/2000, Berardini, rv. 217331; Cass. Sez. 6, 25.2.2010 n. 11144, Semeraro, rv. 246544). Aggiungendosi che il reato di cui all'art. 356 c.p. può ben concorrere con il reato di truffa aggravata ex art. 640 cpv. c.p., n. 1 (Cass. Sez. 2, 20.3.2009 n. 15667, Mari, rv.. 243951), è agevole rimarcare che l'assunto del ricorrente, secondo cui nessun elemento mistificatorio delle modalità esecutive delle opere appaltate alla CI-Esse o ad altre imprese sarebbe configurabile nei fatti oggetto di indagine, è non soltanto assertivo, ma incongruamente anticipatorio di censure di fatto attinenti alla cognizione di merito delle accuse ex art. 356 c.p., non apprezzabili in sede di legittimità e estranee alla valutazione degli elementi indiziari che sorreggono l'accusa in fase di indagini preliminari.

4. Infondate debbono considerarsi le censure sulle evenienze che per il Tribunale surrogano il persistere del pericolo di recidiva da parte dello Io.. e - legittimandone la prognosi di pericolosità - destituiscono di valore il pensionamento dell'indagato (per altro dall'1.1.2011). Diversamente da quanto sembra ipotizzarsi in ricorso, i giudici del riesame hanno posto l'accento proprio sugli aspetti modali, specifici e concreti, dei fatti criminosi nel loro concreto evolversi e nella corrispondente condotta criminosa dell'indagato (oggi comunque sottoposto, come detto, alla misura degli arresti domiciliari) nonché al lungo periodo di tempo in cui la stessa si è sviluppata ed è stata perseguita dallo Io.., del tutto incurante delle iniziative disciplinari e delle verifiche promosse dall'amministrazione penitenziaria nei suoi confronti. Contegno proseguito anche quando Io.. ha ormai contezza della stessa indagine penale ("la rete di contatti e conoscenze di Io.. è assai ampia e prescinde dal concreto svolgimento del pubblico ufficio"). La trama del percorso decisorio dell'ordinanza impugnata non presenta, in relazione alle esigenze cautelari che attingono il ricorrente, aporie di argomenti o illogicità di ragionamento che, sole, alla luce dei principi affermati da questa Corte regolatrice, potrebbero indurre a ravvisare il vizio di assenza e
contraddittorietà di motivazione.

Al rigetto dell'impugnazione segue per legge la condanna dello Io.. al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

 

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