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misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza

misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza - obbligo di soggiorno nel comune di residenza,

misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza - obbligo di soggiorno nel comune di residenza,

Corte di cassazione Sezione V penale Sentenza 25 settembre 2002, n.31881

SVOLGIMENTO IN FATTO E DIRITTO

Il decreto della Corte di appello di Messina 19 settembre 2001 impugnato confermava quello del tribunale di Messina 2 maggio 2000 che aveva applicato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di anni, ad Oxxxxxx Salvatore indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa.

Sulla scorta delle dichiarazioni di alcuni collaboranti, emerse nel procedimento penale "Mare nostrum", l'Oxxxxxx era stato rinviato a giudizio non solo per il reato di cui all'articolo 416bis c.p. ma anche per omicidio ai danni di Marchetta Antonio.

In ordine al requisito di attualità della pericolosità sociale, la corte peloritana faceva ricorso alla presunzione di pericolosità ex articolo 275, comma 3, c.p.p. e riteneva non decisiva, ai fini del superamento di detta presunzione, la circostanza di aver svolto regolare attività lavorativa.

Il ricorrente allega i seguenti motivi.

1. Violazione articolo 4, comma 9, legge 1423/56, in relazione alla reiterazione di una misura (già applicata altra per anni 3 sino al 1997, sulla base dei medesimi presupposti) senza che fosse emerso alcun fatto nuovo denotante maggiore pericolosità.

2. Vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del presupposto indiziario circa l'appartenenza al sodalizio di stampo mafioso.

3. Violazione dell'articolo 3 legge 1423/56 in ordine al requisito di attualità della pericolosità sociale.

Chiede l'annullamento dell'impugnato provvedimento.

È stata depositata memoria difensiva che illustra i motivi sub 1) e 3).

Ritiene questa corte di dover accogliere il ricorso, per quanto di ragione.

L'impugnato decreto ha applicato, in sostanza, la presunzione di pericolosità che l'articolo 275, comma 3, c.p.p. fissa in tema di misure cautelari nel caso di gravità indiziaria per il reato p. e p. dall'articolo 416bis c.p.

Il primo motivo di ricorso e più specificamente il terzo e la memoria illustrativa pongono l'accento proprio sul senso ed il contenuto della prova "liberatoria" del recesso, un tema trattato soprattutto in relazione alle misure cautelari, poiché trova la sua radice nella disposizione sopra citata.

Ritiene questa corte che il contenuto dell'articolo 275, comma 3, ultima parte, c.p.p. non possa trovare applicazione in tema di misure di prevenzione; si tratta, infatti, di una norma specifica volta a semplificare, con la presunzione di pericolosità, l'accertamento delle esigenze cautelari.

L'autonomia tra procedimento penale "de libertate" e procedimento di prevenzione speciale impedisce di trasferire sic et simpliciter una disposizione che è propria del primo nel secondo.

La differenza di presupposti (nella misura cautelare la gravità indiziaria, cioè la qualificata probabilità di una condanna; in quella di prevenzione basta il solo "indizio" di appartenenza), finalità e soprattutto disciplina (la misura di prevenzione è stata estesa all'indagato per associazione di stampo mafioso dalla legge 575/65 che ha introdotto anche diverse misure patrimoniali) impone un approfondimento della questione.

Il principio di attualità elaborato dalla giurisprudenza di questa corte, con riferimento alla pericolosità del proposto, comporta la necessità di un accertamento concreto al momento dell'applicazione, difficilmente conciliabile con la presunzione, sia pure iuris tantum e perciò suscettibile di prova contraria, posta dall'articolo 275, comma 3, c.p.p. in tema di custodia cautelare.

Ma ciò che rileva maggiormente è il fatto che la presunzione costituisce una forma di facilitazione nell'acquisizione della prova che fa eccezione al principio generale nel processo penale circa la necessità di prova concreta in senso positivo.

Allora, se da un canto nello stesso ambito del sistema processuale penale non sarebbe consentita alcuna applicazione oltre i casi ed i tempi considerati dalla specifica norma (articolo 14 sull'applicazione della legge in generale) a maggiore ragione va esclusa l'applicazione analogica da un tipo di procedimento ad altro considerato del tutto autonomo.

Va ancora rilevato che lo stesso principio di revocabilità/sostituzione delle misure è calibrato diversamente nei due procedimenti.

L'articolo 299, comma 2, c.p.p., infatti, non consente (in coerenza con la presunzione di pericolosità ex articolo 299, comma 2, c.p.p., in aperto contrasto con l'articolo 2 legge 575/65 che prevede una graduazione delle misure di prevenzione (sorveglianza speciale/obbligo di soggiorno) anche per gli indagati di appartenenza ad associazione di tipo mafioso.

Ne consegue che il giudice della prevenzione è tenuto a motivare la positiva valutazione in ordine all'attuale sussistenza della pericolosità, senza possibilità di ricorrere alla presunzione di cui all'articolo 275, comma 3, c.p.p. e quindi alla presenza degli elementi comprovanti l'insussistenza della pericolosità.

Il decreto impugnato va, pertanto, annullato con rinvio alla Corte di appello di Messina per nuovo esame.

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato con rinvio alla Corte di appello di Messina per nuovo esame.