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Reato di clandestinità

Clandestinità - Reato di clandestinità e non procedibilità per tenuità del fatto di Renato Amoroso Coordinatore dell’ufficio del Giudice di Pace di Monza

19 Settembre 2010 - Clandestinità - Reato di clandestinità e non procedibilità per tenuità del fatto di Renato Amoroso Coordinatore dell’ufficio del Giudice di Pace di Monza

L’art. 34 del D.L.vo 274/2000, istitutivo della competenza penale del Giudice di Pace, prevede una speciale causa di non procedibilità, applicabile sia nella fase delle indagini preliminari che in quella dibattimentale; recita l’art. 34:
“1.Il fatto è di particolare tenuità quando, rispetto all’interesse tutelato, l’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, nonché la sua occasionalità e il grado di colpevolezza non giustificano l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto altresì del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persone sottoposta a indagini o all’imputato.
2. Nel corso delle indagini preliminari, il giudice dichiara con decreto di archiviazione non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento.
3. Se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato o la persona offesa non si oppongono”.

I requisiti esposti nella norma possono essere così suddivisi:
requisiti oggettivi:
•    l’interesse tutelato
•    misura del danno o pericolo
•    occasionalità del fatto
•    grado di colpevolezza

requisiti soggettivi
•    pregiudizio delle esigenze di lavoro
•    pregiudizio delle esigenze di studio
•    pregiudizio della vita famiglia
•    pregiudizio alla salute

Come accade quasi sempre allorchè il legislatore precisa delle ragioni di sostanziale proscioglimento, la previsione di requisiti sia di ordine oggettivo che soggettivo è diretta a individuare nel caso concreto e nella persona singola dell’indagato/imputato le ragioni specifiche che giustificano la rinuncia dello Stato allo svolgimento di un processo; nel caso specifico, come vedremo, si tratta in particolare della rinuncia ad una sentenza di condanna, sulla base di un fatto accertato. Tali ragioni, pertanto, devono essere attinenti squisitamente al caso singolo e non costituire una ragione di proscioglimento generalizzato.
Va altresì chiarito che, nella valutazione degli elementi attinenti al caso concreto, il giudice dovrà poter distinguere dati che possano concretizzare la tenuità da altri elementi che indichino, al contrario, una “non tenuità”, tali perciò da giustificare l’esclusione della applicabilità della norma al caso specifico.

Ci si è quindi chiesto se tale particolare causa di non punizione possa essere applicata ad un reato così particolare come quello di ingresso o trattenimento illecito sul territorio da parte di cittadino straniero extracomunitario ( ).

Già in altro scritto (“Lo straniero criminale”) avevo esposto che tale figura di reato ha struttura assai semplice, in quanto la condotta illecita consiste, in estrema sintesi, nella mancanza di richiesta e/o possesso del permesso di soggiorno.
In altra parte della disciplina legislativa disposta con il Dlgs 286/1998 (T.U. sulla immigrazione e la condizione dello straniero) - all’art.14 - sussiste una articolata forma repressiva di quelle particolari situazioni di mancato rinnovo del permesso di soggiorno, di tardiva presentazione della domanda e similari ( ).

L’accertamento del fatto previsto dall’art. 10 bis, al contrario, oltre che residuale (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”) appare di estrema semplicità e l’esperienza fin qui acquisita di procedimenti promossi conferma che gli atti istruttori sono scarni ed estremamente sintetici. Si fa riferimento, ovviamente, alla ipotesi di contestazione del solo reato previsto dall’art. 10 bis e non all’ipotesi, assai più frequente, della contestazione della permanenza illecita sul territorio in associazione ad altre condotte illecite più gravemente punite (si pensi a reati quali lo spaccio di stupefacenti, il furto, la rapina, l’esercizio abusivo di commercio, l’alterazione di marchi etc.).

Nella fase di indagini preliminari il giudice dovrà, in primo luogo, prendere in considerazione gli elementi oggettivi indicati dalla norma; quest’ultima non precisa se detti elementi debbano ricorrere tutti o ne sia sufficiente uno solo di essi, né se debbano concorrere con taluni degli elementi soggettivi. Si tratta, pertanto, di un esame affidato al prudente apprezzamento del giudice, come stabilito da un principio generale dell’ordinamento( ).
Tuttavia da vari commentatori è stato sostenuto che la norma, sia per la sua valenza letterale che in forza di principi comuni, individua un ordine quantomeno temporale nell’esame della fattispecie alla luce dei criteri indicati. Pur non sussistendo, quindi, una gerarchia fra i criteri è saggio e razionale procedere secondo l’ordine indicato nella norma( ).

Vanno distinti un primo bilanciamento fra i criteri oggettivi, al termine del quale si potrà procedere alla verifica di un secondo bilanciamento con i criteri soggettivi.

•    l’interesse tutelato
L’individuazione dell’interesse da tutelare, attraverso la repressione della condotta, è uno dei compiti principali del legislatore. La valutazione da quest’ultimo effettuata potrà non apparire esplicitamente indicata nel contesto della norma ma, in genere, è facilmente individuabile. Nel caso specifico il legislatore ha voluto affermare la tutela di un interesse della collettività a difendersi da un indiscriminato ingresso di cittadini non appartenenti alla Unione europea. Qualunque critica a detta scelta appartiene alla discussione filosofica o giuridica de iure condendo, non al giudice chiamato esclusivamente ad applicare la norma. L’interesse tutelato è chiaro e la condotta prevista dall’art. 10 bis lede detto interesse in modo diretto e semplice. Non è quindi ipotizzabile una condotta differenziata sul piano della lesione dell’interesse.

•    misura del danno o pericolo
Anche sotto tale profilo la valutazione è riconducibile alla decisione del legislatore di istituire tale nuovo reato; il danno o pericolo è insito nel fatto stesso di non avere adempiuto all’obbligo di presentare idonea istanza di permesso all’ingresso o alla permanenza sul territorio. Il danno o pericolo, anche in questo caso, non può essere differenziato fra un caso e l’altro, in quanto l’illecito consiste in un’unica omissione di un atto dovuto. Per poter effettuare una valutazione di tenuità occorre che già nella norma di diritto sostanziale sia rinvenibile una graduazione degli effetti dell’illecito: ciò accade, ad esempio, nei delitti patrimoniali e nelle lesioni. Per i reati che causano danni patrimoniali si potrà individuare una esiguità del danno con riferimento ad un dato aritmetico, per quanto posteriormente accertato rispetto alla condotta. Anche nel caso delle lesioni, la norma stessa individua lesioni lievi, gravi e gravissime. E’ quindi agevole redigere una graduazione degli effetti nocivi, perché già implicitamente contenuti nella disciplina stessa. Nel caso dell’art. 10 bis tutto ciò non esiste.

•    occasionalità del fatto
Si è già visto che l’art. 10 bis è residuale, in quanto una condotta abituale o ricorrente di ingresso o permanenza illecita sul territorio trova punizione in altre norme ed in modo più severo. Se per occasionalità si intende “il caso, la circostanza, l’avvenimento o concorso di avvenimenti che non comportino idea di opportunità”, oppure “ il caso fortuito, non voluto o cercato appositamente"( ) risulta subito evidente la irrilevanza dell’esame di tale requisito. Infatti la condotta è punibile sia a titolo di colpa che di dolo ed è irrilevante la misura o gravità dell’elemento soggettivo. Il fatto previsto dall’art. 10 bis è di per sé occasionale, in quanto può essere commesso solo una volta, e più precisamente in concomitanza con la prima volta in cui si constata l’illecita presenza sul territorio del cittadino extracomunitario.

•    grado di colpevolezza
Il fatto previsto dall’art. 10 bis è oggettivo ed a nulla rileva la consapevolezza o meno del reo, trattandosi di condotta punibile anche semplicemente a titolo di colpa. L’eventuale analisi di una colpa più o meno grave non conduce a risultati differenti, anche tenuto conto che l’ignoranza delle norme che regolano l’ingresso e la permanenza sul territorio non è motivo di esenzione da responsabilità. Per la norma in esame non è neppure prevista l’esimente del “giustificato motivo”, previsto nella medesima normativa per altre ipotesi ( ).

Come già si è detto, la norma non dice se gli elementi oggettivi debbano prevalere o meno su quelli soggettivi; tuttavia sembra di dover dedurre dalla costruzione lessicale della norma che gli elementi soggettivi vengano in rilievo quale processo di valutazione successivo (“tenuto conto altresì del pregiudizio....etc.”).
La valutazione primaria è quella del bilanciamento fra interesse tutelato e danno/pericolo, da intendersi quali valori primari, con occasionalità e grado di colpevolezza, che hanno attinenza alla condotta specifica del caso concreto. Solo dopo aver risolto detto bilanciamento si potrà procedere alla successiva fase ( ).
Resta il dubbio (non risolto dalla norma) se l’esito negativo della valutazione dei criteri oggettivi possa comunque permettere una correzione attraverso l’esame dei soli criteri soggettivi, che ora esamineremo.

•    pregiudizio delle esigenze di lavoro
E’ noto che un rapporto di lavoro legittimo presuppone il possesso del permesso di soggiorno (la cui esistenza esclude l’applicazione della norma). Dunque lo straniero irregolare non è titolare di una posizione di lavoro tutelata dall’ordinamento, in quanto trattasi di “lavoro in nero”. L’eventuale pregiudizio arrecato ad un “lavoro in nero” in virtù di quale criterio giuridico potrebbe trovare tutela nell’ordinamento?

•    pregiudizio delle esigenze di studio
Anche per le esigenze di studio valgono gli stesso argomenti, senza trascurare il fatto che per motivi di studio può essere concesso abitualmente un permesso abilitativo della permanenza sul territorio.

•    pregiudizio della vita di famiglia
Sussistono norme relative al ricongiungimento familiare, sul presupposto di una situazione di legittimità del soggiorno: la stessa disciplina di cui al Dlgs 286/1998 (T.U. sulla immigrazione e la condizione dello straniero) prevede tali situazioni con specificità. Le stesse norme che regolano l’ipotesi di espulsione o la sospensione di essa permettono una puntuale e diretta disciplina del caso. E’ difficile rinvenire una ragione di tutela dell’irregolare al di fuori di quanto direttamente disciplinato nello stesso T.U.

•    pregiudizio alla salute
L’art. 6 al comma 2 dispone: “Fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso alle prestazioni sanitarie di cui all’articolo 35 e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie, i documenti inerenti al soggiorno di cui all'articolo 5, comma 8, devono essere esibiti agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni ed altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati”.
L’art. 35 comma 5 dispone: “L'accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.
In presenza di tali norme sembra doveroso concludere che la tutela della salute, dovendo essere perseguita in via primaria e senza controllo della legittimità della presenza dello straniero, verrà attuata ed esaurita prima di una possibile azione penale. In altre parole, in presenza di una necessità di tutela della salute, non si procede al rilievo della illegittimità del soggiorno. Potrebbe nascere una esigenza di salute dopo l’instaurazione del procedimento, che giustificherebbe quantomeno la sospensione del giudizio. Restano dubbi consistenti sulla possibilità di mandare esente da qualsiasi giudizio uno straniero che, dopo avere soddisfatto le sue esigenze di salute, resti illegittimamente sul territorio.

In definitiva i criteri soggettivi trovano soddisfazione, quantomeno sotto il profilo della disciplina normativa, in altre parti del T.U., più propriamente applicabili. L’art. 34 è sorto in epoca anteriore alla introduzione del reato di cui all’art. 10 bis ed è stato concepito essenzialmente per le figure illecite di specifica competenza del Giudice di Pace, ossia per i reati perseguibili a querela della persona offesa. Sembra palese la sua inadeguatezza all’applicazione di una fattispecie quale quella dell’illecito ingresso o permanenza sul territorio nazionale.

Limitando il nostro esame alla sola fase delle indagini preliminari, si può osservare che la richiesta di archiviazione per particolare tenuità del fatto presuppone una valutazione di merito del grado di colpevolezza, del danno arrecato, dell’allarme sociale , etc., come già visto. Tuttavia, nel caso del reato di clandestinità, risulta assai difficile procedere ad una valutazione comparativa, specifica e personalizzata dei criteri oggettivi e soggettivi previsti dalla norma.
Trattasi, infatti, di reato a consumazione istantanea, se rilevato all’ingresso sul territorio, o permanente, se contestato quando lo straniero si trattiene sul territorio e la valutazione di pericolosità sociale o di pericolo è già stata fatta dal legislatore.

Posto che l’ accertamento in linea di fatto non presenta difficoltà (o il permesso di soggiorno c’è o non c’è) che cosa potrebbe differenziare, dunque, la “tenuità” dalla “non tenuità” nella condotta concreta del singolo indagato?
Risulta difficile distinguere una condotta “tenue” da una “non tenue” allorchè il fatto illecito è essenziale e pressoché oggettivo; la differenza di trattamento del caso concreto resta confinata nel fatto che il reato sia contestato in unione o meno con altre condotte illecite. Ma detta eventuale connessione non è un motivo che possa giustificare la decisione di applicare o meno la improcedibilità per tenuità; l’illecita permanenza sul territorio, infatti, ha una sua autonomia comportamentale e non costituisce il presupposto necessario per il compimento di altre condotte illecite. Può essere considerata una occasionalità, una condotta concorrente, ma non un fatto preordinato a commettere reati o legato ad altri reati con un vincolo teleologico o di causalità.

Dunque ipotizzare l’archiviazione per tenuità del fatto nel procedimento avente ad oggetto la sola contestazione del reato di cui all’art. 10 bis finirebbe per equivalere a rilevare la tenuità in ogni occasione di contestazione della condotta per se stessa; in altre parole contestare il reato coinciderebbe con la contestazione di una situazione di fatto inevitabilmente tenue.
Dichiarare la improcedibilità, pertanto, diventerebbe equivalente all’abrogazione di fatto dell’applicabilità della figura di reato.

Tale effetto, peraltro e in forza di quanto già esposto, non si potrebbe verificare nel caso di contestazione del reato in concorso con altri reati, provocando una disparità di trattamento ingiustificata.

La Corte costituzionale, con sentenza 08 luglio 2010 n. 249 si è pronunciata nel senso della illegittimità dell’aggravante specifica prevista dall’art. 61 n. 11 bis, introdotta con lo stesso pacchetto sicurezza che ha istituito il reato di cui all’art. 10 bis( ). Pertanto nel giudizio in cui vengano contestate allo straniero una pluralità di reati, fra i quali anche l’art. 10 bis, non potrà essere considerata l’aggravante specifica dichiarata illegittima, ma resterà proponibile la continuazione.
Tale osservazione rende evidente che una simile situazione permetterebbe un aggravamento della pena complessiva (pena base per il reato più grave, aumentata per la continuazione con l’art. 10 bis) senza possibilità alcuna, né sul piano della norma sostanziale né sul piano processuale, di dichiarare la improcedibilità per tenuità del fatto del solo reato di cui all’art. 10 bis.

Infine l’applicazione della condizione di improcedibilità, di cui all’art. 34, presuppone che l’accertamento del fatto illecito sia fondato e che la condotta sia stata certamente posta in essere.
La valutazione del legislatore, giudicata implicitamente non illegittima dalla Corte costituzionale con la stessa decisione di cui infra, è stata quella di far coincidere la certezza del fatto con la lesione dell’interesse tutelato, e quindi con la necessità della condanna.
Dice, infatti, la Corte al punto 9, secondo paragrafo della motivazione:
“Questa Corte ha già affermato che la stessa fattispecie di indebito trattenimento nel territorio nazionale, che pur implica la specifica inosservanza di un provvedimento espulsivo individualizzato, si limita a sanzionare una condotta illecita e «prescinde da una accertata o presunta pericolosità dei soggetti responsabili» (sentenza n. 22 del 2007). La violazione delle norme sul controllo dei flussi migratori può essere penalmente sanzionata, per effetto di una scelta politica del legislatore non censurabile in sede di controllo di legittimità costituzionale, ma non può introdurre automaticamente e preventivamente un giudizio di pericolosità del soggetto responsabile, che deve essere frutto di un accertamento particolare, da effettuarsi caso per caso, con riguardo alle concrete circostanze oggettive ed alle personali caratteristiche soggettive. In coerenza a tale orientamento, questa Corte ha avuto modo di affermare che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato […] non è univocamente sintomatico […] di una particolare pericolosità sociale» (sentenza n. 78 del 2007)”.

Pur esponendo le gravi censure alla lesione del principio di offensività, in forza del quale il soggetto deve essere punito per la condotta tenuta (che si presta quindi ad una valutazione di maggiore o minore gravità) e non per una sua condizione personale, la Corte ha ritenuto che rientri nelle prerogative del legislatore il potere di qualificare come illegittimo un comportamento o un fatto. L’introduzione del reato specifico, pertanto, così come articolato nell’art. 10 bis, non sembra di per sé illegittima sotto il profilo costituzionale ( ); essa tuttavia si fonda su un giudizio precostituito di offensività oggettiva e indifferenziata dell’interesse ad una disciplina dei flussi migratori, senza possibilità di distinguere una varietà di comportamenti più gravi o meno gravi. Ciò esclude che si possa individuare una tenuità del fatto.

L’autorità giudiziaria non può sostituirsi al legislatore, allorchè quest’ultimo abbia esercitato il suo potere discrezionale in senso costituzionalmente orientato.

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it