Intercettazioni ambientali - Autorizzazioni

Intercettazioni ambientali - Autorizzazioni

Penale - Intercettazioni ambientali - Autorizzazioni (Corte di Cassazione, Giurisprudenza Civile e Penale, Sentenza n. 919 del 19 gennaio 2004)

RITENUTO IN FATTO

A. G. ha proposto ricorso per cassazione contro l'ordinanza del 17 marzo 2003 con la quale il Tribunale di Catanzaro ha confermato il provvedimento del Gip dello stesso Tribunale che aveva disposto la custodia in carcere del ricorrente perché gravemente indiziato dei delitti di associazione di tipo mafioso, di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti e di vari reati fine.

L'ordinanza impugnata è in gran parte motivata con un rinvio al provvedimento cautelare e alle intercettazioni telefoniche e ambientali alle quali questo provvedimento ha fatto riferimento. Il Tribunale ha affermato che le intercettazioni "sono state autorizzate tramite provvedimenti ... pienamente rituali, poiché emessi in presenza dei presupposti di legge e ampiamente motivati" e che sono "parimenti rituali, e rispettosi dei parametri normativi, i decreti con i quali l'organo inquirente ha disposto le operazioni di intercettazione, previamente autorizzate dal Gip", facendole eseguire utilizzando impianti in dotazione ai carabinieri.

I decreti del Pm "danno in primo luogo atto della inidoneità degli impianti installati presso la procura" e questa valutazione secondo il Tribunale sarebbe "per giurisprudenza costante non sindacabile, essendo sufficiente l'attestazione, da parte del Pm, della insufficienza o inidoneità dei suddetti impianti". Il Tribunale ha inoltre rilevato che "sebbene non si rinvenga nei decreti esecutivi emessi dal Pm un'esplicita indicazione delle "eccezionali ragioni di urgenza" ..., tuttavia, valutato l'esplicito richiamo nelle premesse del decreto del Pm al provvedimento autorizzativo del Gip, il presupposto dell'eccezionalità delle ragioni d'urgenza risulta integrato, per relationem, con riferimento allo specifico passo motivazionale dei decreti autorizzativi del giudice in ordine alla situazione in atto di svolgimento dell'attività organizzativa dei reati fine dell'associazione per delinquere".

Nel ricorso sono enunciati tre motivi, il primo dei quali è a sua volta articolato in più questioni.

Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto che l'ordinanza impugnata ha ravvisato a suo carico "gravi indizi di colpevolezza, in ordine alla violazione degli articoli 416bis e 74 Dpr 309/90, desumendoli dalle risultanze di operazioni di captazione di conversazioni disposte in modo illegittimo e quindi inutilizzabili".

Il ricorrente ha mosso vari rilievi sia nei confronti dei decreti del Gip che hanno autorizzato le intercettazioni e disposto varie proroghe, sia nei confronti dei decreti del Pm che hanno disposto l'esecuzione delle operazioni mediante gli impianti dei carabinieri di Sibari:

ha rilevato che la richiesta iniziale del Pm e il successivo decreto autorizzativo si basavano su una nota dei carabinieri relativa a informazioni confidenziali e che a quella nota avevano fatto riferimento anche i successivi decreti di proroga, sicché tutte le intercettazioni erano inutilizzabili, o lo erano almeno quelle eseguite dopo la modificazione dell'articolo 203 Cpp (con l'aggiunta del comma 1bis ad opera dell'articolo 7 legge 63/2001) e dell'articolo 267 Cpp (con l'inserimento del comma 1bis ad opera dell'articolo 10 legge 63/2001);

ha affermato che il decreto autorizzativo emesso il 29 gennaio 2001 era "da considerare nullo per carenza di motivazione", perché conteneva un rinvio alla richiesta del Pm che era allegata "soltanto parzialmente e con una forma tale (mancanza della sottoscrizione) da escludere la stessa esistenza giuridica dell'atto";

ha sostenuto che la mancanza della motivazione dei decreti del Pm relativamente alle "eccezionali ragioni di urgenza" non poteva essere ovviata attraverso l'integrazione per relationem con i decreti autorizzativi del Gip.

Con il secondo e con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto violazioni di legge e vizi di motivazione circa l'affermata esistenza nei suoi confronti di gravi indizi di colpevolezza relativi ai reati per i quali era stata disposta la misura cautelare. In particolare il ricorrente ha osservato che l'ordinanza impugnata non contiene alcuna motivazione per contrastare gli argomenti che erano stati diffusamente esposti nella richiesta di riesame.

La sezione feriale, alla quale era stato assegnato il ricorso, lo ha rimesso alle Sezioni unite, a norma dell'articolo 618 Cpp, rilevando l'esistenza di contrasti giurisprudenziali sul contenuto che deve avere il decreto con il quale il Pm, a norma dell'articolo 268 comma 3 Cpp, dispone l'esecuzione delle intercettazioni mediante impianti diversi da quelli installati nella procura della Repubblica. In particolare l'ordinanza di rimessione ha rilevato che sono emersi orientamenti giurisprudenziali diversi "circa il livello di concreta specificazione che detta motivazione deve assumere in riferimento al presupposto, oggetto di contestazione nel presente procedimento, della insufficienza o inidoneità degli impianti della procura" e circa la possibilità di integrare per relationem la motivazione che manchi dell'indicazione delle "eccezionali ragioni di urgenza".

CONSIDERATO IN DIRITTO

Per contestare la validità dei decreti con i quali il Gip ha autorizzato le intercettazioni il ricorrente ha ricordato che l'originaria richiesta del Pm e il successivo decreto emesso dal giudice il 16 ottobre 2000, relativo all'intercettazione da operare nell'autovettura usata da Rocco Gagliardi, richiamavano delle note con le quali i carabinieri avevano riferito informazioni confidenziali relative a pretese estorsive ricevute dal gestore di un villaggio turistico e dai gestori di alcuni lidi balneari e che le stesse note erano state poi richiamate anche da altri successivi decreti autorizzativi.

Secondo il ricorrente le informazioni contenute in queste note non potevano costituire indizi di reato, da porre a base delle autorizzazioni alle intercettazioni, o quanto meno non potevano giustificare le operazioni di intercettazione e i provvedimenti di proroga successivi all'entrata in vigore della legge 63/2001, che aveva modificato gli articoli 203 e 267 Cpp, introducendo in entrambi i commi 1bis, diretti ad impedire l'utilizzazione delle dichiarazioni degli informatori.

La tesi in parte è infondata in punto di diritto, in parte è infondata in punto di fatto.

Prima dell'entrata in vigore della legge 63/2001 queste Su, con riferimento ai delitti della criminalità organizzata, avevano ritenuto "idonee ad integrare il requisito della sufficienza di indizi di reato le informazioni legittimamente acquisite dall'organo di polizia giudiziaria, riferite al Pm e da questo poste a fondamento della richiesta di autorizzazione alle intercettazioni" (Su, 21 giugno 2000, Primavera, in Cass. pen., 2001, p. 93), perciò deve concludersi che correttamente il primo decreto autorizzativo aveva fatto riferimento alle informazioni confidenziali ricevute dai carabinieri. Infatti, in mancanza di un divieto espresso come quello introdotto dalla legge 63/2001, le informazioni non potevano considerarsi elementi assolutamente inutilizzabili, dal momento che l'articolo 203 Cpp ne prevede il recupero probatorio nel dibattimento attraverso l'assunzione dell'informatore come testimone, se ne viene rivelato il nome. Né la nuova normativa può incidere, escludendone l'utilizzabilità, sulle intercettazioni eseguite prima della sua entrata in vigore, perché, in mancanza di specifiche diverse indicazioni legislative, la successione di leggi processuali è governata dal principio tempus regit actum (articolo 11, comma 1, delle disposizioni preliminari al codice civile), il quale comporta la validità e l'efficacia degli atti compiuti nell'osservanza delle leggi all'epoca vigenti, e rispetto alle nuove disposizioni sull'utilizzabilità delle dichiarazioni degli informatori la legge 63 non contiene regole derogatorie rispetto al ricordato principio generale (ved. in proposito sezione seconda, 22 gennaio 2002, Borragine, in Cass. pen., 2003, p. 2360).

La questione sul ruolo svolto dalle informazioni confidenziali ai fini delle autorizzazioni alle intercettazioni ambientali può dunque porsi solo per le intercettazioni successive all'entrata in vigore della legge 63/2001 e di fatto risulta priva di rilevanza perché i gravi indizi di colpevolezza a carico del ricorrente sono stati desunti principalmente - come egli stesso ricorda - dall'intercettazione ambientale del 29 ottobre 2000. Tuttavia è opportuno aggiungere che le intercettazioni successive alla prima sono state giustificate dagli esiti delle indagini e in particolare dagli elementi acquisiti attraverso intercettazioni già eseguite e che perciò le iniziali informazioni confidenziali negli ulteriori decreti non hanno svolto alcun ruolo decisivo.

Anche la questione sulla motivazione del decreto autorizzativo emesso dal Gip il 29 gennaio 2001 risulta di fatto priva di rilevanza, visto che il provvedimento non riguarda l'intercettazione ambientale del 29 ottobre 2000, e anche in questo caso è da aggiungere che l'asserito vizio è inesistente.

Non può sostenersi che la motivazione per relationem del decreto autorizzativo fosse invalida perché la richiesta del Pm era allegata "soltanto parzialmente e con una forma tale (mancanza della sottoscrizione) da escludere la stessa esistenza giuridica dell'atto". Per convincersi del contrario basta considerare che la fisica allegazione della richiesta del Pm al decreto autorizzativo ha determinato un'integrazione materiale (e non solo ideale) del decreto con gli argomenti dell'atto richiamato e allegato, i quali sono divenuti per ciò solo rilevanti, indipendentemente dalla loro provenienza. Provenienza che comunque, essendo attestata dal giudice, non poteva essere messa in dubbio, anche se mancava la pagina con la sottoscrizione del Pm.

Le altre questioni sui provvedimenti relativi alle intercettazioni riguardano i decreti con i quali il Pm ha disposto, a norma dell'articolo 268 comma 3 Cpp, il compimento delle operazioni mediante gli impianti dei carabinieri.

Sui provvedimenti del Gip e del Pm occorrenti per legittimare l'intercettazione di conversazioni telefoniche o ambientali la giurisprudenza della Corte di cassazione si è impegnata in approfondimenti e in specificazioni con numerosissime pronunce, talvolta contrastanti, che hanno richiesto vari, successivi interventi delle Sezioni unite, tra i quali, per la maggiore attinenza alle questioni da affrontare, si devono ricordare quelli operati con le sentenze 25 marzo 1998, Manno, in Cass. pen., 1998, p. 2595; 21 giugno 2000, Primavera, ivi, 2001, p. 69; 31 ottobre 2001, Policastro, ivi, 2002, p. 944. L'ultima decisione ha chiuso il tema dei provvedimenti occorrenti con l'affermazione che la disposizione dell'articolo 268 comma 3 Cpp, che richiede un decreto del Pm per legittimare il compimento delle operazioni attraverso impianti diversi da quelli della procura della Repubblica, si applica - cosa che era fortemente controversa - anche alle intercettazioni di conversazioni tra presenti e non solo a quelle di conversazioni e comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazioni. La sentenza Policastro, inoltre, riprendendo i principi affermati dalla sentenza Primavera, ha ritenuto che il decreto previsto dall'articolo 268 comma 3 Cpp possa anche essere motivato per relationem, con riferimento al decreto autorizzativo del Gip "la cui motivazione risulti congrua rispetto all'esigenza di giustificazione, sul punto, propria del provvedimento di destinazione - il decreto esecutivo del Pm".

Gli approdi della sentenza Policastro non possono non essere ribaditi, e del resto nel ricorso non vengono contestati; infatti il ricorrente non nega che sia legittima una motivazione per relationem ma sostiene che "non è, contrariamente a quanto asseriscono i giudici estensori dell'ordinanza impugnata, motivazione per relationem scrivere ... visto il decreto del Gip". Questa dunque è la questione: se una frase come quella riportata possa costituire un collegamento tra i provvedimenti tale da comunicare all'uno le ragioni giustificatrici enunciate nell'altro e la soluzione secondo le Sezioni unite deve essere affermativa.

Per istituire una relazione tra due provvedimenti non occorrono formule particolari e la idoneità di quella usata va valutata in concreto, tenendo conto dei rapporti esistenti tra i provvedimenti. Il decreto del Gip che autorizza l'intercettazione rappresenta un presupposto di quello esecutivo del Pm e lo integra naturalmente, comunicando al secondo le ragioni enunciate nel primo per autorizzare l'intercettazione; ragioni che già dovevano essere state rappresentate al giudice nella richiesta del Pm. Perciò il rinvio dal provvedimento del Pm a quello del giudice ben può avvenire anche con una formula come quella adottata nel caso in esame.

Si deve però considerare che le condizioni richieste per il provvedimento autorizzativo del giudice e quelle richieste per il provvedimento esecutivo del Pm non sono coincidenti, perché il primo non comporta necessariamente l'esistenza delle "eccezionali ragioni di urgenza" occorrenti per legittimare il secondo, e che quindi in tanto può risultare utile il rinvio integrativo al primo provvedimento in quanto la motivazione di questo faccia emergere anche quelle ragioni.

Nel caso in esame l'ordinanza impugnata ha ritenuto che "il presupposto dell'eccezionalità delle ragioni di urgenza risulta integrato per relationem, con riferimento allo specifico passo motivazionale dei decreti autorizzativi del giudice in ordine alla situazione in atto di svolgimento dell'attività organizzativa dei reati fine dell'associazione" e il ricorrente in proposito non ha mosso obiezioni.

La seconda questione sul decreto esecutivo del Pm riguarda la motivazione relativa alla insufficienza o alla inidoneità degli impianti della procura della Repubblica. Il Pm aveva giustificato i propri provvedimenti diretti all'utilizzazione degli impianti dei carabinieri con le parole "attesa la indisponibilità di linee presso la locale procura", o con altre sostanzialmente equivalenti, e l'ordinanza impugnata ha ritenuto che tali parole costituissero una "valutazione..., per giurisprudenza costante, non sindacabile, essendo sufficiente l'attestazione, da parte del Pm, della insufficienza o inidoneità dei suddetti impianti".

Nell'ordinanza con la quale ha rimesso il ricorso in esame alle Su la sezione feriale ha però osservato che quella ricordata dall'ordinanza impugnata non è una giurisprudenza incontrastata perché in realtà sul contenuto che deve avere la motivazione del provvedimento del Pm relativa alla insufficienza o alla inidoneità degli impianti della procura della Repubblica si rinvengono affermazioni diverse e talvolta opposte.

Una parte della giurisprudenza è dell'opinione che "l'obbligo di motivazione del provvedimento del Pm il quale dispone l'esecuzione delle operazioni mediante impianti diversi da quelli installati nel proprio ufficio viene correttamente assolto con il semplice riferimento all'insufficienza o inidoneità di questi ultimi, non essendo esigibile anche la specifica indicazione delle ragioni di tali carenze" (sezione seconda, 6 novembre 2002, Osuala; analogamente 5 maggio 2000, Papa; 11 febbraio 2003, Panaro). Nello stesso senso si è pronunciata sezione sesta, 4 aprile 2003, Santaiti, aggiungendo: "ciò che rileva, in sostanza, è il controllo dell'autorità giudiziaria che giustifichi l'utilizzo, in via d'eccezione, di impianti esterni alla procura, per la captazione di comunicazioni: il giudizio di valore sulla inadeguatezza o sull'insufficienza degli impianti interni rimane fuori della portata critica del giudice e del difensore e non deve, per ciò, essere oggetto di ulteriore esplicitazione, finalizzata a dare la giustificazione della giustificazione".

Considerazioni analoghe sono state svolte da sezione sesta, 22 ottobre 2002, Palazzolo, che ha ritenuto sufficiente la frase "stante l'indisponibilità e l'inidoneità tecnica degli impianti fissi installati presso questa procura ... in quanto, proprio perché attesta la ricorrenza nella specie della previsione legislativa, indica una presa di cognizione da parte dell'ufficio del problema e suppone un accertamento da parte dello stesso dell'esistenza delle condizioni necessarie per derogare alla regola generale dell'articolo 268 Cpp. In altri termini - secondo questa sentenza - rimettendo la legge a un giudizio di fatto del Pm la sua derogabilità ("quando tali impianti risultino insufficienti o inidonei"), giudizio dunque suscettibile di verifica, lo stesso Pm non è tenuto a spiegare perché gli impianti si trovino nella situazione descritta, ma deve solo dar conto di aver compiuto il relativo accertamento, con ciò assumendosi la responsabilità della sua affermazione".

Sul versante giurisprudenziale opposto si è invece affermato che "l'apodittica affermazione dell'insufficienza o inidoneità degli impianti della procura della Repubblica si risolve in una clausola di stile meramente ripetitiva del dettato normativo" (sezione prima, 18 luglio 2003, Barbaro) e, rilevando di ufficio la ragione di inutilizzabilità delle intercettazioni, che "il solo apodittico e "laconico" richiamo all'inutilizzabilità degli impianti, senza indicazione alcuna di cause, effetti e durata di tale ostacolo, non assolve - in termini di pur minima accettabilità - l'obbligo della motivazione" (sezione sesta, 9 ottobre 2002, Ferraro; analogamente 9 ottobre 2002, Pesce).

È stato inoltre precisato da sezione sesta, 13 maggio 2003, Pronesti che l'insufficienza e l'inidoneità degli impianti possono dipendere, anziché da "inconvenienti tecnici (ad es. inagibilità dei locali della procura; postazioni tutte già impegnate in altre intercettazioni)", da "ragioni pratiche riguardanti il buon esito delle investigazioni" e che assumono "eguale rilevanza - anche se ovviamente di tipo diverso - l'insufficienza o l'inadeguatezza degli impianti della procura rispetto alla specifica indagine probatoria, ed alla necessità di acquisire, con sollecitudine, eventuali altri elementi utili per le indagini". Nello stesso senso si è espressa sezione prima, 18 giugno 2003, Di Matteo, la quale ha rilevato che "il legislatore ha voluto individuare diversi aspetti di inidoneità non escludendo quelli di inidoneità legati alla funzionalità delle indagini, diversi caso per caso a seconda delle esigenze concrete" e che "vi sono casi in cui è possibile disporre le intercettazioni presso gli impianti della procura e poi ascoltare i risultati in un momento successivo e in luoghi diversi, perché il tipo di indagine non richiede interventi immediati, ma vi sono molti casi in cui invece è indispensabile eseguire le due operazioni contemporaneamente e ad opera dello stesso personale di p.g. che sta compiendo atti di indagine delegati dal Pm".

Nel rimettere il ricorso alle Sezioni unite la sezione feriale ha osservato che la sentenza del 31 ottobre 2001, Policastro " - pur dando atto della necessità di una "adeguata motivazione" - non fornisce, però, indicazioni circa il livello di concreta specificazione che tale motivazione deve assumere in riferimento al presupposto ... della insufficienza o inidoneità degli impianti della procura" e quindi occorrerebbe integrare quella decisione con ulteriori indicazioni.

Per quanto riguarda in genere il contenuto della motivazione del decreto è opportuno ricordare quanto in proposito è stato scritto nella sentenza del 21 giugno 2000, Primavera. In questa sentenza le Sezioni unite, dopo aver affermato che "ciò che rileva è che dalla motivazione fornita, succinta e compendiosa come si addice in genere a ogni provvedimento del giudice, in particolare quando si tratti di decreto che la legge specificamente, come nel caso di specie, richiede sia motivato ... si possa dedurre l'iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati che siano conformi alle prescrizioni della legge", ha osservato che non è "neppure ipotizzabile la formulazione di una regola specifica che, o si risolverebbe in generiche espressioni, o, se penetrante, sarebbe inadeguata e anche arbitraria".

È vero però che nel caso in esame il contrasto afferisce, oltre che al quantum e al livello di specificazione della motivazione, allo stesso oggetto di questa, che secondo alcune pronunce del primo indirizzo dovrebbe esaurirsi in una specie di attestazione del Pm di aver accertato che gli impianti sono insufficienti o inidonei, senza dare indicazioni sui dati considerati per giungere a tale conclusione, i quali sarebbero sottratti al controllo critico delle altre parti e del giudice. "Il giudizio di valore sulla inadeguatezza o sull'insufficienza degli impianti interni - si è detto - rimane fuori della portata critica del giudice e del difensore".

In questi termini il primo indirizzo non può essere condiviso perché se l'esecuzione delle operazioni di intercettazione mediante impianti diversi da quelli della procura della Repubblica è ammessa esclusivamente quando gli impianti "risultano insufficienti o inidonei" è l'esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità che deve emergere dalla motivazione del decreto e non la sola valutazione conclusiva operata in proposito dal Pm.

La motivazione ha la funzione di dimostrare la corrispondenza tra la fattispecie concreta considerata dal giudice o dal Pm e la fattispecie astratta, che legittima il provvedimento, e di indicare i dati materiali e le ragioni che all'autorità giudiziaria hanno fatto ritenere esistente la fattispecie concreta. È una funzione che, a seconda dei casi, può richiedere uno svolgimento diffuso o poche parole e nel caso in esame deve ritenersi adeguatamente svolta anche con la semplice enunciazione relativa alla "indisponibilità di linee presso la locale procura". Queste parole infatti non ripetono la formula legislativa ma indicano una situazione obiettiva, riconducibile al concetto normativo di "insufficienza" degli impianti, e sono idonee a rappresentare la fattispecie concreta e la sua corrispondenza con quella astratta.

Una volta evidenziata l'indisponibilità delle linee non occorre indicarne anche le cause, perché è la situazione obiettiva che rileva ai fini della motivazione, ed essa ben può essere attestata dal Pm presso il quale sono installati gli impianti di intercettazione. È solo entro tali limiti che può riconoscersi un valore attestativo al decreto del Pm. Questi può attestare fatti che ricadono nell'ambito dei propri poteri di cognizione diretta ma non situazioni, come l'insufficienza o l'inidoneità, che costituiscono il frutto di una qualificazione incontrollabile, se non si conoscono i fatti che l'hanno giustificata; fatti che, ad esempio, non possono essere taciuti nei casi, come quelli delle citate sentenze sezione quarta, 13 maggio 2003, Pronesti e sezione prima, 18 giugno 2003, Di Matteo, in cui l'inidoneità viene fatta dipendere non dalle condizioni materiali degli impianti ma da particolari esigenze investigative.

Deve quindi concludersi che non basta l'asserzione che gli impianti sono insufficienti o inidonei ma va specificata la ragione della insufficienza o della inidoneità, anche solo mediante una indicazione come quella contenuta nel provvedimento in esame, senza che in questo caso occorrano ulteriori chiarimenti sulle cause della indisponibilità.

Il secondo e il terzo motivo di ricorso con i quali è stata denunciata la sostanziale mancanza di motivazione circa gli indizi di colpevolezza sono invece fondati.

Il ricorrente aveva accompagnato la richiesta di riesame con motivi insolitamente diffusi, con i quali aveva contestato l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei reati associativi e soprattutto dei due furti e dell'estorsione, che in quanto reati fine avrebbero assunto un significato dimostrativo della partecipazione del ricorrente all'associazione di tipo mafioso. In particolare il ricorrente aveva svolto consistenti considerazioni critiche circa la portata indiziaria dell'intercettazione ambientale del 29 ottobre 2000 e aveva sostenuto che se fosse stato escluso il reato di partecipazione all'associazione di tipo mafioso sarebbero risultate insussistenti le esigenze cautelari idonee a giustificare la custodia in carcere.

L'ordinanza impugnata non mostra alcuna considerazione dei motivi con i quali era stata sostenuta la richiesta di riesame. Con espressioni generiche e un rinvio all'ordinanza del Gip il Tribunale si è limitato ad affermare l'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza e ha giustificato la custodia in carcere richiamando l'articolo 275 comma 3 Cpp. Manca una specifica indicazione degli elementi indiziari a carico del ricorrente e sono completamente ignorati gli argomenti addotti per contestare il significato dimostrativo delle intercettazioni, specie con riferimento all'accusa di partecipazione all'associazione di tipo mafioso. Né la lacuna può essere colmata con il rinvio operato dall'ordinanza impugnata a quella che ha disposto la custodia in carcere perché nel procedimento di impugnazione la motivazione per relationem può svolgere una funzione integrativa, inserendosi in un contesto che disattende i motivi di impugnazione con un richiamo ad accertamenti e ad argomenti contenuti nel provvedimento impugnato, ma non può costituire una sostanziale vanificazione del mezzo di impugnazione attraverso un generale e generico rinvio a quel provvedimento.

Pertanto l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

La Corte di cassazione annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

Manda alla cancelleria per gli incombenti di cui all'articolo 94 disp. att. Cpp.