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Rapporti patrimoniali tra i coniugi - Comunione tacita familiare

Famiglia - Rapporti patrimoniali tra i coniugi - Comunione tacita familiare - Presunzione di acquisto con denaro proveniente dall'attività comune - Colui il quale alleghi che l'acquisto è stato compiuto con denaro proveniente dal fondo comune ha l'onere di darne la prova Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 25158 del 13/12/2010

Famiglia - Rapporti patrimoniali tra i coniugi - Comunione tacita familiare - Presunzione di acquisto con denaro proveniente dall'attività comune - colui il quale alleghi che l'acquisto è stato compiuto con denaro proveniente dal fondo comune ha l'onere di darne la prova Corte di Cassazione Sez. 2, Sentenza n. 25158 del 13/12/2010


Ove il partecipante ad una comunione tacita familiare, di cui all'abrogato art. 2140 cod. civ., acquisti in nome proprio un immobile, non è consentito presumere che il denaro utilizzato per l'acquisto provenga dagli utili dell'attività economica comune, attesa la compatibilità del fondo comune costituito da detti utili con un patrimonio personale dei partecipanti; ne consegue che colui il quale alleghi che l'acquisto è stato compiuto con denaro proveniente dal fondo comune ha l'onere di darne la prova.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - Te.. Ta.. ha convenuto in giudizio i germani* * per ottenere la dichiarazione di apertura della successione testamentaria della madre Gi.. Ce.. (che, disponendo con testamento olografo delle sue sostanze, aveva lasciato ai figli Girolamo, Pasquale e giuseppe la legittima, mentre agli altri figli, Felice e Teresa, oltre la quota di legittima, l'intera disponibile), la dichiarazione di apertura della successione ab intestato del padre An.. Ta.. e la divisione dei cespiti ereditari. Si è costituito Gi..Ta.., resistendo alla domanda attrice e proponendo domande riconvenzionali dirette ad ottenere: il riconoscimento, in favore di An..Ta.., della comunione dei beni intestati alla moglie, in forza di comunione tacita familiare;
ancora, il riconoscimento che gli acquisti della Ce.. erano frutto di donazioni indirette o di una interposizione fittizia; la declaratoria del debito a carico della massa ereditaria della Ce.. per il valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera impiegati da An..Ta.. nella costruzione di taluni immobili.

Si sono costituiti, altresì, Ta.. Pasquale, giuseppe e Felice, i primi due aderendo alle difese e alle riconvenzionali del fratello Girolamo, il terzo facendo proprie le domande della germana Teresa.
Il Tribunale di Nola, con sentenza non definitiva in data 8 maggio 2000, ha, per quanto qui ancora rileva, dichiarato aperte le successioni e rigettato le domande riconvenzionali.

 2. - Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 27 febbraio 2004, la Corte d'appello di Napoli, pronunciando sul gravame di Gi..Ta.., ha sostanzialmente confermato la pronuncia di primo grado, salvo che per quanto riguarda alcune domande di Pasquale Ta.. dirette ad ottenere il riconoscimento di crediti a carico di Antonio Ta.. e di Gi.. Ce...

2.1. - La Corte territoriale:
ha escluso la configurabilità delle ipotesi di interposizione fittizia e di interposizione reale negli acquisti effettuati dalla Ce.., per la mancata dimostrazione da parte dell'appellante della partecipazione del terzo contraente al dedotto accordo simulatorio e di atti scritti attestanti l'obbligo della Ce.. di ritrasferimento degli immobili;
ha rilevato che, in caso di comunione tacita familiare, non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l'acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio e in costanza di comunione provenga dagli utili tratti dalla attività economica comune;
- ha osservato che la Ce.. si era procurata la provvista per realizzare le costruzioni su terreni di sua esclusiva proprietà attraverso l'alienazione (nell'arco di tempo che va dal 1947 al 1969) di beni immobili ricadenti nel suo cospicuo patrimonio, mentre l'appellante non aveva provato in alcun modo che detti beni fossero stati acquistati con gli utili provenienti dall'attività svolta in comunione familiare.
3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello Ta..o Girolamo ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi. Hanno resistito, con separati atti di controricorso, Ta..o Felice e Te.. Ta...
Gli altri intimati indicati in epigrafe non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Girolamo Ta.. e Te.. Ta.. hanno depositato memorie illustrative in prossimità dell'udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 2140 cod. civ., nel testo vigente prima della entrata in vigore della L. n. 151 del 1975; omessa, incompleta e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia), il ricorrente si duole che la Corte d'appello abbia confermato il rigetto delle domande riconvenzionali dallo stesso proposte volte ad ottenere: la declaratoria che della massa ereditaria di Gi.. Ce.. non facevano parte i beni immobili che risultavano ad essa intestati, o subordinatamente, che gli stessi erano ricompresi in misura non superiore al 20%; la declaratoria che nel patrimonio ereditario di Antonio Ta.. erano in tutto o in parte (in misura non inferiore all'80%) ricompresi i beni indicati nell'atto di citazione come appartenenti alla Ce.., dovendo in ogni caso porsi a carico della massa ereditaria della stessa una somma di denaro pari al danno derivato dal mancato trasferimento al marito dei beni intestati alla Ce.. o della quota degli stessi non inferiore all''80%. Il ricorrente rileva che i giudici del merito hanno dato atto che tra i coniugi Ta.. e Ce.. si era instaurata una comunione tacita familiare, avendo gli stessi nel corso della loro vita svolto un'attività imprenditoriale in comune, commerciale ed industriale, e che dalla relazione in atti per notar Marini del 30 settembre 1992 si può desumere che i ricavi dell'attività di impresa, della quale era intestatario il marito, sono stati utilizzati per l'incremento del patrimonio della Ce...
Tanto premesso, il ricorrente contesta che non sia configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l'acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio ed in costanza di comunione tacita familiare provenga dagli utili tratti dall'attività economica comune. Una volta accertata l'esistenza di una comunione tacita familiare, il giudice di merito non avrebbe dovuto porsi il problema di accertare la provenienza del denaro con il quale i cespiti erano stati acquistati dai coniugi in pendenza di comunione.
Anche a non aderire a questa tesi, tuttavia, la sentenza della Corte d'appello sarebbe erronea, atteso che la stessa è giunta alla conclusione che i cespiti rientranti nell'asse della defunta Ce.. Giuseppa non fossero stati acquistati con i proventi dell'attività comune con motivazione illogica ed insufficiente, la quale avrebbe omesso di esaminare fatti decisivi prospettati, e documentalmente ed oralmente provati nel corso del processo.
La Corte di merito avrebbe dovuto considerare: che la Ce.. non esercitava alcuna attività in proprio, gli unici proventi economici di cui fruiva la famiglia essendo quelli connessi, all'attività imprenditoriale intestata al capo famiglia; che nell'atto di acquisto effettuato nel 1939 del fondo sito in *Via Macello* di mq. 4.000, su cui insiste parte dell'opificio industriale successivamente realizzato, e poi caduto in successione, come in tutti gli atti di acquisto della Ce.., non vi era alcuna menzione della provenienza dai beni dotali del denaro utilizzato per il pagamento del prezzo; che gli acquisti della Ce.. non potevano essere giustificati, per numero ed entità, con i soli proventi della dote di quest'ultima.
Il giudice del merito avrebbe dato ingiustificatamente rilievo alla dichiarazione in data 11 ottobre 1996 con la quale i coniugi si erano dati atto delle reciproche proprietà, senza dire nulla in ordine ai mezzi con le quali le stesse erano state acquistate.
1.1. - Il motivo è infondato.
Per le comunioni tacite familiari, già contemplate dall'art. 2140 cod. civ., non è configurabile alcuna presunzione che il denaro utilizzato per l'acquisto di un immobile compiuto da un partecipante in nome proprio ed in costanza di comunione provenga dagli utili tratti dall'attività economica comune, attesa la compatibilità del fondo comune costituito da detti utili con un patrimonio personale dei partecipanti, con la conseguenza che, in applicazione dei principi generali sull'onere probatorio, colui che afferma che detto acquisto è stato effettuato con denaro comune è tenuto a fornire la prova del proprio assunto (Cass., Sez. 2^, 6 giugno 1988, n. 3812;
Cass., Sez. 1^, 30 agosto 1999, n. 9119).
A questo principio di diritto si è correttamente attenuta la Corte territoriale, la quale, per un verso, ha rilevato che la parte su cui ricadeva l'onere non ha dato la prova dell' acquisto dei beni con i proventi dell'attività comune, e, per l'altro verso, ha evidenziato che alla Ce.., il cui patrimonio esclusivo andava al di là dei beni costituiti in dote, la provvista del denaro per realizzare le costruzioni pervenne attraverso la vendita di altrettanti beni di sua proprietà esclusiva.
Sotto quest'ultimo profilo, la Corte d'appello ha messo in luce che i fondi di *Via Macello*, su cui insistono le costruzioni (opifici ed appartamenti) realizzate dalla Ce.. e alla stessa intestate in regime di separazione dei beni, sono stati acquistati, quanto a mq. 4.000, nell'anno 1939 con danaro proveniente dagli atti nuziali, e, quanto a mq. 4050, nell'anno 1950 attraverso permute con terreni ricevuti in donazione; ed ha sottolineato che dette costruzioni furono realizzate in connessione alle vendite dei beni di esclusiva proprietà della Ce... Difatti le costruzioni sul suolo di *Via Macello* risultano effettuate nel maggio 1947 (molino), nel febbraio 1962 (pastificio), nel maggio 1962 (ampliamento molino e pastificio), dal 1963 al 1966 (capannoni per conserve alimentari); mentre la stessa Ce.. effettuò vendite il *24 novembre 1944, il 26 giugno 1946, il 17 aprile 1950, il 28 gennaio 1957, il 4 settembre 1962, il 19 gennaio 1965, il 27 giugno 1966 e il 23 ottobre 1969*. La Corte del merito ha anche valorizzato l'esistenza di ulteriori elementi indiziari, convergenti nel far ritenere la Ce.. parte attiva e titolare esclusiva delle iniziative costruttive: il fatto che i benefici dell'UTIF siano stati intestati alla Ce.. per riduzione IGE per costruzioni; la circostanza che i contratti di appalto con le ditte costruttrici siano stati fatti dalla Ce.., che esegui anche i relativi pagamenti; l'intestazione alla Ce.. delle fatture per materiali di costruzione e per macchinar e dei certificati del Comune di Cimitile per terremoto, relativi agli appartamenti e all'edificio; il fatto che le garanzie di privilegi o iscrizioni ipotecarie per i mutui e finanziamenti ricevuti o erogati da Centrobanca, dopo la realizzazione delle costruzioni, furono concessi dalla Ce.. sui beni di sua esclusiva proprietà; la circostanza che Antonio Ta.., con dichiarazione sottoscritta da entrambi i coniugi in data *11 ottobre 1976*, riconobbe in capo alla Ce.. la proprietà: di due appartamenti in Cimitile, alla *Via Macello*, del valore di L. 64 milioni; di un appartamento in Cimitile, alla *Via Macello*, del valore di L. 20 milioni; di un suolo edificatorio in Cimatile, del valore di L. 75 milioni; di un altro suolo edificatorio in Cimitile, del valore di L. 81 milioni; di un terreno in Nola, del valore di L. 50 milioni.
La Corte di merito è pervenuta alla detta conclusione (sussistenza di un patrimonio esclusivo della Ce.., tale da giustificare gli acquisti dei beni caduti nella sua successione; mancata prova che i suddetti beni siano stati acquistati con gli utili provenienti dalla attività svolta in comunione familiare) attraverso argomentazioni complete ed appaganti, improntate a retti criteri logici e giuridici, nonché frutto di un'indagine accurata e puntuale delle risultanze istruttorie.
Sono pertanto insussistenti gli asseriti vizi di motivazione, che presuppongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella ineccepibilmente effettuata dal giudice del merito. Essi si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione al riguardo non è censurabile quando - come nel caso di specie - essa è sufficiente ed esente da vizi logici e da errori di diritto.
A ciò aggiungasi che il ricorrente, nel censurare il mancato esame di documenti assuntivamente decisivi, ne omette di trascrivere, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il contenuto.

2. - Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell'art. 936 cod. civ., in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3;
omessa, incompleta e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5) il ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia confermato il rigetto della domanda riconvenzionale volta a porre a carico della massa ereditaria della Ce.. - attribuendo il relativo credito agli eredi di Antonio Ta.. - la somma corrispondente al valore dei materiali e del prezzo della manodopera per le costruzioni effettuate da quest'ultimo sui fondi di proprietà Ce... Il ricorrente lamenta: che la Corte di merito abbia ritenuto che la costruzione delle fabbriche relative all'opificio potesse considerarsi come avvenuta con i proventi delle vendite di terreni effettuati dalla Ce.., senza considerare: che l'assunto è confutato dalle risultanze delle coeve trascrizioni, dalle quali emerge che a tali vendite si accompagnarono ingenti acquisti da parte della Ce..; che la Corte territoriale abbia considerato la Ce.., la quale non svolgeva alcuna attività in proprio, titolare esclusiva dell'iniziativa costruttiva (senza tenere in conto la circostanza che in nessuno dei documenti è presente alcuna quietanza relativa agli appalti connessi alla realizzazione delle opere murarie e che i presunti appalti con le ditte costruttrici non riguardano l'intero compendio); che la Corte di Napoli non abbia valutato la documentazione in atti (attestante in particolare la stipulazione di mutui, il ricevimento di finanziamenti e la presentazione di istanze per l'ottenimento di licenze edilizie e di contribuzioni varie), dalla quale risulta che gli opifici, le fabbriche e i capannoni edificati sui fondi intestati alla Ce.. siti in *Cimitile alla Via Macello* erano stati edificati da Ta.. Antonio con i proventi della ditta individuale. 2.1. - Anche questa censura è prova di fondamento.
La Corte territoriale è giunta alla conclusione che manca in atti la prova che la Ce.. abbia realizzato le iniziative costruttive con denaro proprio del marito ed ha ritenuto la diversa tesi difficilmente sostenibile, "alla luce di quanto ... osservato in ordine alla comunione tacita familiare, e cioè tenuto conto della esistenza di un cospicuo patrimonio di proprietà esclusiva della Ce.. e di conseguenti sue disponibilità economiche". Il giudice di appello ha dato conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo le ragioni del suo convincimento in modo logico e con argomentazioni prive di mende logiche e giuridiche.
Il sindacato di legittimità è sul punto limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l'iter argomentativo seguito nell'impugnata sentenza. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova. Nè per ottemperare all'obbligo della motivazione il giudice del merito è tenuto a prendere in esame tutte le risultanze istruttorie e a confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli indichi gli elementi di fatto sui quali si fonda il suo convincimento e dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e fatti che, sebbene non specificamente menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata.
Inoltre, secondo il costante orientamento di questa Corte, si ha carenza di motivazione, nella sua duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, soltanto quando il giudice di merito omette di individuare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un'approfondita disamina logica e giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte.
Parimenti si ha motivazione insufficiente nell'ipotesi di obiettiva deficienza del criterio logico che ha indotto il giudice del merito alla formulazione del proprio convincimento ovvero di mancanza di criteri idonei a sorreggere e ad individuare con chiarezza la ratio decidendi, ma non anche quando vi sia difformità rispetto alle attese e alle deduzioni della parte sul valore o sul significato attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, vale a dire l'apprezzamento dei fatti e delle circostanze effettuato secondo i compiti propri di esso giudice di merito.
Nel caso in esame non è ravvisabile il denunciato vizio di motivazione, tanto più che il ricorrente lamenta il mancato esame di documenti di cui, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non trascrive il pertinente contenuto. La sentenza impugnata è del tutto corretta e si sottrae alle critiche di cui è stata oggetto.

3. - Il terzo motivo prospetta violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ., art. 342 cod. proc. civ. e art. 76 disp. att. cod. proc. civ., in riferimento all'art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 4, nonché contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, prospettato dalla parte o rilevabile d'ufficio (con riguardo all'art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Si lamenta che la Corte d'appello abbia disatteso "il motivo di gravame volto a far valere la illegittimità della sentenza di prime cure nella parte in cui aveva ritenuto l'esistenza di un credito di L. 3.000.000 di Pa.. Ta.. nei confronti di Ta..o Antonio e Gi.. Ce.., ritenendo di non poter accogliere la sollevata eccezione di prescrizione del credito, in quanto, attesa la contumacia di Pa.. Ta.., l'appellante non aveva provato il dies a quo della prescrizione". Secondo il ricorrente, "in seguito al proposto motivo di gravame concernente l'an della debenza, al giudice d'appello era devoluto l'intero thema decidendum relativo all'esistenza del credito". "In ragione della mancata costituzione in appello da parte di Pa.. Ta.., il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere che la mancata produzione della scrittura menzionata dalla sentenza di primo grado e richiamata dal giudice di appello, contenente il riconoscimento da parte della Ce.. e del Ta.. di un debito di L. 7.000.000 per il prestito grazioso concessogli dal figlio Pasquale, comportava la necessità di rigettare la domanda da questo proposta, in quanto, non avendo prodotto il documento posto a fondamento della propria pretesa, Pasquale Ta.. non l'aveva compiutamente provata".

3.1. - Il motivo è privo di fondamento.
Il Tribunale di Nola è pervenuto alla declaratoria che Ta..o Pasquale è creditore nei confronti di Gi.. Ce.. e Ta.. Antonio della somma di L. 8.000.000 (poi ridotta dalla Corte d'appello a L. 7.000.000) sul rilievo che "dalla documentazione in atti risulta fondata la pretesa creditizia di L. 7.000.000, versata a titolo di prestito grazioso, in quanto è stato depositato un formale atto di riconoscimento di debito firmato da Ce.. Giuseppa e Ta.. Antonio".
Questa capo della sentenza di primo grado è stato impugnato da Girolamo Ta...
Costui deduce ora che il proposto motivo di gravame concerneva "l'an della debenza" e che al giudice dell'appello "si fosse devoluto l'intero thema decidendum relativo all'esistenza del credito". Questa assunto non è comprovato dalla trascrizione del pertinente motivo di appello.
In ogni caso esso è smentito dalla lettura diretta dell'atto di appello, in cui (come risulta da pag. 19 del libello) si afferma testualmente: "Per quanto concerne l'importo di L. 8.000.000 riconosciuto a titolo di presunto credito del Ta.. Pasquale verso Ce.. Giuseppa e Ta.. Antonio lo stesso: (a) deve ritenersi prescritto per decorso del termine decennale; (b) subordinatamente va ridotto in quanto il relativo credito sarebbe comunque di L. 7.000.000 come da relativa scrittura". Girolamo Ta.., pertanto, non ebbe a contestare l'esistenza del credito vantato da Pa.. Ta.., ma ad eccepirne la prescrizione e a dedurre che l'importo era inferiore a quello indicato nel dispositivo della sentenza di primo grado. 4. - Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida, per Te.. Ta.., in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge, e, per Fe.. Ta.., in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 ottobre 2010. Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2010

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it