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Cessazione effetti civile del matrimonio - Diritto di visita di nonni -Modalita' di affidamento

Cessazione effetti civile del matrimonio - Diritto di visita di nonni -Modalita' di affidamento -

Civile e procedura - Cessazione effetti civile del matrimonio - Diritto di visita di nonni - Modalita' di affidamento (Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 6 marzo-26 settembre 2003, n. 14345)

Svolgimento del processo

Con sentenza del 23 maggio 1997 il Tribunale civile di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto fra Mxxxxxxxx Roberto e Bwwww Marina, affidando le figlie minori alla madre (cui veniva anche assegnata la casa coniugale), regolando l’esercizio delle facoltà del padre di avere con sé le figlie minori alla presenza della nonna paterna in giorni e periodi prestabiliti, nonché fissando in lire 1.200.000 mensili rivalutabili, il contributo di mantenimento dovuto per esse dal Mxxxxxxxx.

Proponeva appello avverso la suddetta sentenza il Mxxxxxxxx in ordine alla modalità di frequentazione delle minori nonché alla misura del contributo al mantenimento delle stesse, ritenendo del tutto ingiustificata l’imposta presenza della nonna paterna, nonché del tutto iniquo, alla luce del suo stato di disoccupazione, l’importo posto a suo carico.

Il Mxxxxxxxx chiedeva pertanto che, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, venisse disposto l’affidamento della minore Francesca al padre, o, quanto meno, eliminata l’obbligatoria presenza della nonna paterna, venissero stabilito modalità di frequentazioni, secondo il regime già in atto e spontaneamente adottato dalle parti, con fissazione dell’assegno in misura non superiore a lire 600.000 mensili.

Costituitosi il contraddittorio, l’appellata Bwwww eccepiva preliminarmente l’inammissibilità di ogni domanda relativa all’affidamento delle figlie minori o alla modifica della modalità di frequentazione, rilevando come, nel ricorso introduttivo di primo grado, lo stesso Mxxxxxxxx avesse richiesto l’integrale conferma dei provvedimenti relativi all’affidamento delle minori già adottati in sede dì separazione (che prevedevano la presenza della nonna paterna), onde la domanda doveva ritenersi del tutto nuova. La Bwwww chiedeva altresì il rigetto della richiesta di riduzione dell’assegno di mantenimento .

Assunta la causa in decisione, la Corte di appello: a) riteneva sostanzialmente fondata e meritevole di accoglimento l’eccezione di inammissibilità del motivo di appello concernente il provvedimento di affidamento e la regolamentazione delle frequentazioni, rilevando come - da un lato - nel corso del giudizio di primo grado, le questioni relative non fossero state oggetto di contestazione o controversia fra le partì, le quali avevano concordemente richiesto la conferma dei provvedimenti già concordati in sede di separazione; e - dall’altro - che la richiesta di modifica dell’affidamento o la richiesta di ampliamento della facoltà, siccome formulate per la prima volta in appello senza che fossero state dedotte circostanze nuove, incorressero nel divieto di cui all’articolo 345 Cpc; c) precisava nondimeno che la clausola relativa alla presenza della nonna paterna andasse mantenuta ma andasse interpretata non già in funzione limitativa di una autonoma frequentazione fra il padre e la figlie, ma esclusivamente quale facoltà della nonna di presenziare e partecipare agli incontri stessi; d) confermava le valutazioni del primo giudice in ordine alla completa inattendibilità ed inverosimiglianza dell’assunto stato di indigenza sopravvenuto in epoca successiva alla separazione consensuale; e) riteneva che molteplici elementi inducessero a ritenere che il Mxxxxxxxx godesse di una consistenza patrimoniale e di rendita che gli consentissero di far fronte agli obblighi di mantenimento; f) riteneva incontestabile che egli si fosse associato alle attività commerciali della madre, così come emergente da un decreto del Tribunale di Roma in data 27 maggio 1994, non impugnato, in ordine alla esistenza di un’associazione in partecipazione nell’azienda di vendita al minuto di prodotti di abbigliamento e pelletteria (con quota al 35% nonché che egli, allo stato attuale, partecipasse alla Sas Letizia di Mxxxxxxxx Roberto & C avente ad oggetto attività immobiliari), come da certificato della camera di commercio; g) riteneva che, anche a prescindere da ogni considerazione in ordine all’effettività - o mano dell’intervenuta cessione da parte della madre dell’attività di vendita di articoli di abbigliamento, lo stesso appellante ammettesse come la madre stessa fosse rimasta titolare del negozio di pelletteria, e come, stante la sua ubicazione, l’esercizio commerciale godesse di un buon avviamento commerciale, il che rendeva del tutto irrilevante che il Mxxxxxxxx vi svolgesse attività lavorativa o preferisce godere di rendita parassitaria; h) riteneva ancora ulteriormente, che risultasse incontentabile la proprietà in capo al Mxxxxxxxx, di beni immobili i quali - anche ad accadere alla tesi dell’improduttività di reddito - apparivano comunque suscettibili di realizzazione per equivalente, nonché che fosse altrettanto incontestabile che il Mxxxxxxxx fosse ancora in giovane età ed in possesso di specifiche esperienze in campo commerciale le quali lasciavano considerare difficile la sua incapacità d£ metterle a profitto; i) evidenziava infine come la misura dell’assegno, così come individuata, apparisse la minima indispensabile per garantire alle figlie condizioni di vita accettabili e commisurato al censo ed allo status familiare.

Ricorre per cassazione il Mxxxxxxxx, sulla base di 6 motivi assistiti da memoria.

Non controricorre la Bwwww.

Motivi della decisione

Con il 1° ed il 2° motivo (unitariamente trattati già in ricorso), nel dedurre violazione e mancata applicazione dell’articolo 6 della legge 898/70 nonché falsa applicazione dell’articolo 345 Cpc, nonché contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione (360 n. 5 Cpc) sul capo della sentenza che ha rigettato la domanda di esso Mxxxxxxxx circa la fissazione di nuove modalità di affidamento, il ricorrente lamenta, rispettivamente: a) l’avvenuta violazione del più che consolidato principio secondo cui l’articolo 345 Cpc non trovi applicazione nei giudizi di separazione e di divorzio sulle questioni in materia di mantenimento, affidamento e frequentazione della prole; questioni sulla quali il giudice può sempre intervenire, anche d’ufficio, perché riguardanti il preminente interesse dei minori; b) la contraddittorietà - di un modo di argomentare il quale, dopo aver fatto propria la tesi dell’inammissibile novità della domanda, era poi giunto alla conclusione secondo cui non fossero stato dedotte circostanza sopravvenute dalle quali potesse desumersi l’inadeguatezza della condizioni in atto, con ciò rendendo fra l’altro incomprensibile il perché ad un tal ruolo non avesse potuto assurgere la allegata nuova situazione di fatto.

I motivi in esame non possono trovare alcun accoglimento, in quanto tradiscono la reale portata della impugnata decisione, la quale, di contro a quanto si assume dal ricorrente, lungi dal condursi ad affermare l’inesaminabilità, in sede di appello - sub specie dell’articolo 345 Cpc - di qualsiasi aspetto attinente all’affidamento dei figli minori, si è condotta a distinguere fra un possibile profilo in cui il gravame proposto dal Mxxxxxxxx si risolveva in mera censura della statuizione assunta in primo grado di giudizio (profilo di gravame definito in quanto tale inammissibile ed improcedibile, posto che il primo giudice - a dire (con giudizio di fatto che si rende incensurabile in questa sede della Corte romana non aveva fatto altro che recepire, sul punto, conclusioni concordi della parti), ed un profilo in cui l’impugnazione arrivava a configurarsi, invece, come richiesta di modifica di un tal regime; profilo in relazione al quale la Corte, con valutazione di fatto incensurabile in questa sede, ha ritenuto dì rinvenire l’assenza di circostanze sopravvenuto tali da far desumere l’inadeguatezza delle condizioni in atto.

In una tale prospettiva, pertanto, lo stesso finale riferimento operato dalla Corte territoriale romana all’articolo 345 Cpc, finisce per mutare radicalmente di segno, e per assolvere ad un ruolo meramente riepilogativo e riassuntivo della più generalmente ritenuta inammissibilità complessiva di un tal punto del gravame.

Residuano, pertanto, rispetto a questo giudizio complessivo operato dalla Corte romana, solo profili di imprecisione tecnica della motivazione concretamente apprestata sul piano dell’inquadramento e del riferimento letterali normativi, correggibili ai sensi dell’articolo 394 secondo comma Cpc, nel senso della eliminazione di quel riferimento, siccome del tutto ridondante, estraneo ed inconferente.

Con il III motivo il Mxxxxxxxx, nel dedurre omesso esame della circostanza che il Mxxxxxxxx deve provvedere al mantenimento anche di altra figlia minorenne, lamenta invece che la impugnata sentenza abbia totalmente trascurato di prendere in esame il fatto - a dire del ricorrente, pacifico fra le parti che esso Mxxxxxxxx debba provvedere anche al mantenimento della figlia con lui convivente, nata dalla relazione con la signora Domitilla Grandinetti deceduta tragicamente nel 1996; fatto che, a dire del ricorrente, risultava indicato come motivo di appello e documentato con la produzione del certificato anagrafico di famiglia.

Anche un tal motivo non può trovare alcun accoglimento, in quanto, di contro a quanto con esso si assume, l’atto di appello (il cui esame diretto, data la natura processuale del vizio prospettato, si rendo possibile in questa sede), non contiene altro (al punto 11) che un accenno del tutto incidentale alla esistenza di una figlia minore con lui convivente; esistenza la quale non assurge pertanto a specifica autonomia nell’economia del gravame, sì da non rendere affatto indefettibile uno specifico ad autonomo indugio in sede di stesura della decisione in ordine alla misura dell’assegno di mantenimento.

Del tutto analoghe considerazioni merita il IV motivo, con il quale il Mxxxxxxxx, nel lamentare omesso esame della circostanza che il Mxxxxxxxx avesse ricevuto nel 1998 sfratto per morosità dalla sua casa di abitazione (per £. 24.470.270), deduce che la circostanza, documentalmente provata attraverso la produzione della convalida di sfratto, rivestisse grave rilevanza sintomatica in ordine all’accertamento delle reali capacità contributive di esso ricorrente, e fosso stata espressamente addotta a motivo di appello.

Ed infatti, ancora una volta, il consentito esame diretto dell’atto di appello, consente intanto di rilevare come, sul punto, il Mxxxxxxxx non avesse sollevato un autonomo e separato motivo di gravame, e come, invece, il riferimento si inserisse, ancora una volta. nell’ambito dì tutta una serie di circostanze di fatto con le quali esso Mxxxxxxxx tendeva a sorreggere la sua domanda di riduzione dell’assegno di contributo al mantenimento delle figlie.

Da ciò consegue che, anche in relazione ad un tale IV motivo di gravame, si impone la considerazione (più volto ribadita da questa Corte di legittimità) secondo cui, ogni qual volta il giudice di marito giunga nell’ambito del potere di valutazione (a lui istituzionalmente rimesso) dei profili fattuali della vicenda, a trarre le somme di un più, complessivo tema di indagine sottoposto al suo esame (tema, per di più, fatalmente, non astratto e generale, ma ovviamente contingentato dalla portata concreta delle domande), egli non sia poi tenuto a prendere posizione specifica su tutte la singole circostanza di fatto eventualmente sviluppate ed indicate a corroboramento della domanda; ciò ogni qual volta la conclusioni più generalmente da lui tratte si rendano già di per sè del tutto assorbenti (vedi le più generali considerazioni tratta a pag. 3 e 4 della sentenza, in relazione ad un tema del decidere che investiva la domanda di riduzione dell’assegno dì mantenimento dì due figlie minori affidato alla madre, da £ 1.200.000 a £ 600.000 mensili).

Puramente a profili insindacabili di valutazioni di mero merito attengono, invece ‑ e perciò si rivelano anch’essi del tutto inammissibili il V ed il VI motivo (da trattare unitariamente) con i quali il ricorrente, nel dedurre omesso esame e valutazione delle ammissioni rese dalla signora Bwwww in sede di udienza presidenziale ed omesso esame e valutazione delle situazioni di vincolo gravanti sui beni immobili a lui intestati, lamenta rispettivamente: a) la mancata considerazione della pur evidenziata circostanza per cui, in sede di udienza presidenziale divorziale, la stessa ex moglie avesse dato atto della circostanza per cui esso Mxxxxxxxx non lavorava ed era mantenuto dala madre; b) la mancata considerazione della – a dire del ricorrente, documentata e pacifica – circostanza per cui, da un lato, l’appartamento di cui esso Mxxxxxxxx è proprietario in Roma (e nel quale abita sua madre) sia stato oggetto di pignoramento immobiliare da parte della stessa ex moglie, e, dall’altro, egli sia proprietario, insieme al padre di un mero e modesto terreno agricolo di 2000 mq.

Vertesi, infatti, più che m ai in tema di sollecitato sindacato di puro merito sulle conclusioni raggiunte, in concreto, dai giudici di merito, nel momento in cui – con percorso motivazionale di per sé immune da vizi logico-giuridici, e ferma l’inconfigurabilità di un obbligo di prendere specifica posizione motivazionale su ogni e qualsivoglia aspetto fattuale eventualmente sottoposto al loro esame – hanno proceduto alla valutazione delle risultanze documentali ed istruttorie ed hanno ritenuto di confermare le statuizioni del giudice di primo grado in ordine alla misura dell’assegno di contributo del Mxxxxxxxx al mantenimento delle figlie minori affidate alla madre.

Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna pronuncia va peraltro adottata in tema di spese processuali, non essendosi la controparte costituita in questa fase del giudizio.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.