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Separazione legale - Assegno familiare - Affidatario dei figli - Calcolo del reddito

Separazione legale - Assegno familiare - Affidatario dei figli - Calcolo del reddito

Separazione legale - Assegno familiare - Affidatario dei figli - Calcolo del reddito (Cassazione, sentenza 11 aprile-9 settembre 2003, n. 13200 )

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Trento Cxxxxxxx Eugenia, moglie legalmente separata da Cxxxxxxxx Antonio, dipendente della Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato conveniva in giudizio la detta Amministrazione per il riconoscimento del suo diritto all’assegno per il nucleo familiare, a lei spettante in quanto affidataria dei figli, e che doveva essere, però, calcolato non sulla base del reddito del marito cui non erano affidati i figli, ma sulla base dei redditi percepiti dal nucleo familiare della istante, dal quale era escluso il coniuge separato.

L’Amministrazione convenuta contrastava la domanda, perché titolare del diritto all’assegno ex articolo 2 decreto legge 69/1988, convertito in legge 133/88, era il dipendente Cxxxxxxxx; al sensi dell’articolo 211 della legge 151/75 vi era una mera cessione del relativo importo in favore della moglie affidataria dei figli.

Il Tribunale accoglieva la domanda e la Corte d’Appello di Trento, investita in grado di appello su ricorso dell’Amministrazione, con sentenza del 30 gennaio-2 febbraio 2001, confermava la decisione, rilevando che ai sensi dell’articolo 2 legge 153/88 il nucleo familiare cui doveva farsi riferimento al fini del calcolo era quello effettivo, composto dal genitore affidatario e dal figli, con esclusione del coniuge separato, indipendentemente dalla titolarità del rapporto di lavoro da cui derivava il diritto alla percezione dell’assegno. Infatti, il comma 9 del suddetto articolo 2 precisava che il reddito del nucleo familiare era costituito dall’ammontare dei redditi complessivi, assoggettabili ad Irpef, percepiti dai componenti nell’anno solare precedente al 1° luglio di ogni anno e che concorrevano alla formazione del reddito anche i redditi esenti da imposte; il comma 2 stabiliva che l’ammontare dell’assegno variava in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare, mentre il comma 6 stabiliva che dal nucleo familiare era escluso il coniuge legalmente ed effettivamente separato. La ratio della norma in esame era quella di salvaguardare concretamente il diritto del nucleo familiare alla percezione dell’assegno, sostitutivo dei vecchi assegni familiari, in base al reddito complessivo dei suoi componenti effettivi (tanto che ne era escluso il coniuge separato). Destinatario dell’assegno era il nucleo familiare, per cui in caso di separazione legale veniva a costituirsi un nucleo autonomo che faceva capo al coniuge separato affidatario dei figli, cui spettava il diritto all’assegno anche se lo stesso derivava dalla posizione lavorativa del coniuge. La sentenza quindi doveva essere confermata.

Avverso questa pronuncia, propone ricorso per cassazione la Amministrazione, fondato su un solo motivo.

Resiste la Cxxxxxxx con controricorso.

Motivi della decisione

Lamentando violazione e falsa applicazione degli articoli 211 legge 151/75, e 2, commi 1, 2 e 6 decreto legge 69/1988, convertito in legge 153/88 (articolo 360 n. 3 Cpc) deduce la ricorrente che l’articolo 211 legge 151/75 stabilisce che il coniuge affidatario dei figli ha diritto in ogni caso a percepire gli, assegni familiari (ora assegno per il nucleo familiare) sia che ne abbia diritto in virtù di un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge, non affidatario. La Corte d’appello ha male interpretato le norme in materia, creando una terza figura di titolare del diritto all’assegno e cioè il nucleo familiare. Questi in realtà è solo il beneficiario dell’assegno, la cui titolarità spetta al coniuge affidatario o jure proprio, o per trasmissione del diritto da parte del titolare. La titolarità infatti è legata al rapporto di lavoro dipendente anche se viene trasferito al coniuge affidatario. Da nessuna norma emerge la titolarità del nucleo familiare, che è solo il beneficiario finale; da qui la conseguenza che se titolare dell’assegno è il coniuge non affidatario si deve avere riguardo al suo reddito per determinare la spettanza e l’ammontare. La separazione dei coniugi non fa venire meno l’obbligo del mantenimento a carico del coniuge non affidatario e quindi il suo diritto alla percezione dell’assegno, anche se lo stesso viene poi trasferito all’altro coniuge.

L’articolo 2, comma 6, del decreto legge 69/1988 esclude dal nucleo familiare il coniuge separato, ma la separazione riguarda solo i genitori e non certo i figli, per cui rimangono a carico del coniuge non affidatario obblighi e diritti, morali e materiali, relativi al rapporto di filiazione. Palese è l’errore del giudice di appello, perché se il reddito del coniuge non affidatario ha sicuramente rilevanza al fini del mantenimento del nucleo familiare, composto dai figli, non può diventare poi irrilevante al fini della spettanza e della misura dell’assegno integrativo. L’articolo 211 della legge 151/75 non interferisce con la disciplina sostanziale dell’assegno, ma regola solo i rapporti fra i coniugi determinando una sorta di cessione ex lege del credito in favore del coniuge affidatario, il cui diritto ha natura derivata, per cui si deve fare riferimento esclusivamente alla situazione del titolare dante causa.

Il ricorso è infondato.

Nel periodo in cui era in vigore l’istituto degli assegni familiari sono state emanate due nonne per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati e favorire in ogni caso il coniuge cui erano affidati i figli, indipendentemente dalla titolarità del diritto alla corresponsione degli assegni. L’articolo 211 della legge 151/75, prevede che «il coniuge cui i figli sono affidati ha diritto in ogni caso a percepire gli assegni familiari per i figli, sia che ad essi abbia diritto per un suo rapporto di lavoro, sia che di essi sia titolare l’altro coniuge», l’articolo 9 della legge 903/77, sulla parità di trattamento tra uomini e donne, dopo avere previsto che in tutte le prestazioni in favore della famiglia «possono essere corrisposte, in alternativa, alla donna lavoratrice... con gli stessi limiti previsti per il lavoratore», al secondo comma stabilisce che «nel caso di richiesta di entrambi i genitori (le prestazioni) debbono essere corrisposte al genitore con il quale il figlio convive».

Abolito l’istituto degli assegni familiari queste nonne sono rimaste in vigore (perché non abrogate esplicitamente o implicitamente da norme successive), la prima, al fini della scissione fra titolarità del diritto alla corresponsione del trattamento di famiglia e diritto alla percezione dello stesso e la seconda per regolare le situazioni di conflitto fra coniugi separati che abbiano entrambi diritto alla corresponsione. Per tutto il resto, però, il regime è radicalmente mutato con la introduzione dell’assegno per il nucleo familiare col decreto legge 69/1988, convertito in legge 153/88.

La Corte ha già avuto modo di precisare, con la sentenza 7668/96, che, come è stato messo in luce dalla dottrina, il nuovo istituto dell’assegno per il nucleo familiare si caratterizza per accentuare il processo di ridistribuzione del reddito, attraverso un sistema del trattamenti diretto ad assicurare una tutela in favore di quelle famiglie che si mostrano effettivamente bisognose sul piano finanziario. Ed invero, l’assegno compete in modo differenziato in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo familiare (articolo 2, comma 2, prima parte, legge 153/88). Detto reddito, preso a parametro per la corresponsione dell’assegno, viene elevato per quei nuclei familiari., che risultino meritevoli di una specifica e più intensa tutela, per comprendere soggetti colpiti da infermità o difetti fisici o mentali (e che si trovino, a causa di tali difetti, nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro), ovvero minorenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età (articolo 2, comma 2, seconda parte, legge 153/88). Si realizza, così, con l’istituto in esame una compenetrazione tra strumenti previdenziali e precisamente tra quelli posti a tutela per il carico di famiglia, con quelli apprestati a tutela di malattie, essendosi rivolta particolare attenzione a quei nuclei familiari che presentano aree di accentuata sofferenza in ragione di infermità che hanno colpito qualcuno del propri componenti.

In proposito, rileva il Collegio che la suddetta finalità della legge 153/88 (di operare cioè la ridistribuzione del reddito favorendo le famiglie che hanno veramente bisogno e tenendo conto delle loro particolari situazioni) dimostra il carattere squisitamente assistenziale della nuova normativa, che al comma 6 dell’articolo 2 definisce il nucleo familiare, precisando che lo stesso «è composto dai coniugi, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, e dai figli ed equiparati», comprendendo in esso tutte le persone in favore delle quali è erogata la prestazione assistenziale, anche maggiorenni, purché i trovino «nell’assoluta e permanente impossibilità di dedicarsi ad un proficuo lavoro»; nucleo che può essere composto anche da una sola persona che si trovi nelle condizioni previste di successivo comma 8. Ed è in relazione a tale nucleo familiare che viene determinato, ai sensi del comma 2, l’importo da erogare “in misura differenziata” a seconda delle necessità e “in rapporto al numero dei componenti ed al reddito del nucleo” medesimo.

La finalità assistenziale del nuovo istituto e la chiara dizione legislativa inducono a ritenere che il reddito da tenere presente al fini dell’ammontare dell’assegno è quello del nucleo familiare composto dal coniuge affidatario e dai figli, con esclusione del coniuge legalmente ed effettivamente separato, anche se titolare del diritto alla corresponsione; il reddito di quest’ultimo viene in considerazione solo per stabilire il diritto alla erogazione della provvidenza assistenziale; una volta stabilita la spettanza dell’assegno, l’ammontare viene determinato sulla base del reddito del nucleo familiare dell’altro coniuge affidatario.

Il ricorso va quindi rigettato. Le spese vanno poste a carico del ricorrente, liquidate come in dispositivo ed assegnate all’avvocato F. Agostani che ha reso la dichiarazione di rito.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 7,00 oltre euro 2.000,00 per onorario, con distrazione in favore dell’avvocato F. Agostani antistatario