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Separazione dei coniugi - addebito - violenza e percosse - condizionamenti di familiari e di sacerdoti -determinazione dell’assegno

Separazione dei coniugi - addebito - violenza e percosse - condizionamenti di familiari e di sacerdoti -determinazione dell’assegno

Separazione dei coniugi - addebito - violenza e percosse - condizionamenti di familiari e di sacerdoti - determinazione dell’assegno (Cassazione – Sezione prima civile – sentenza 6 novembre 2002-18 marzo 2003, n. 3971)

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 12 febbraio 1996 Rosa Sxxxxxxxxxxx, deducendo di aver contratto matrimonio con Silvestro Mxxxxxx, che dall’unione era nata la figlia Marica e che la vita matrimoniale era ormai divenuta intollerabile a causa del comportamento violento del marito che l’aveva percossa nel corso di due litigi, chiedeva al Tribunale di S. Maria Capua Vetere la separazione con addebito allo stesso.

Si costituiva il Mxxxxxx che contestava la fondatezza dei fatti esposti dalla Sxxxxxxxxxxx e proponeva, in via riconvenzionale, domanda di addebito nei confronti della moglie in quanto responsabile del fallimento del matrimonio per i condizionamenti che subiva da parte di familiari e di sacerdoti che frequentavano la casa e per aver abbandonato l’abitazione coniugale.

Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione, si procedeva nel corso del giudizio all’espletamento della prova testimoniale e a due consulenze psicologiche sulla minore nonché ad indagini sulla situazione patrimoniale di entrambe le parti per il termine della Polizia tributaria.

Con sentenza del 29 luglio 1999 il tribunale dichiarava la separazione con addebito al Mxxxxxx, rigettava la domanda riconvenzionale di addebito alla Sxxxxxxxxxxx, affidava la minore alla madre, regolando il diritto di visita del padre, rigettava la richiesta di assegnazione della casa alla Sxxxxxxxxxxx e poneva a carico del Mxxxxxx l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e della figlia nella misura, per ciascuna di esse, di lire 1.000.000 mensili, da rivalutarsi annualmente in base agli indici Istat, condannandolo alle spese.

Proponeva impugnazione il Mxxxxxx, chiedendo che la separazione venisse dichiarata con addebito alla moglie, che venisse disposto l’affidamento a lui della figlia od, in subordine, che venisse ampliata la sua facoltà di visita, che venisse revocato o congruamente ridotto l’assegno di mantenimento o riformato il capo della sentenza relativo al pagamento delle spese processuali.

Si costituiva la Sxxxxxxxxxxx che contestava la fondatezza del gravame e, con lo stesso atto, anche l’avocato Giulio Megale, procuratore antistatario della ricorrente, che proponeva appello incidentale per ottenere la liquidazione delle spese nella misura richiesta.

All’esito del giudizio la Corte di appello di Napoli con sentenza del 22 marzo-6 giugno 2000 dichiarava inammissibile l’appello incidentale, accoglieva per quanto di ragione l’appello principale, determinando l’assegno dovuto per il mantenimento della moglie in lire 700.000 mensili e condannando il Mxxxxxx al pagamento di metà delle spese sostenute in primo grado dalla Sxxxxxxxxxxx. Lo condannava infine al pagamento delle spese del giudizio di appello.

Relativamente alle questioni che sarebbero state oggetto poi di ricorso per cassazione, condivideva la corte d’appello le argomentazioni del tribunale in ordine al riconoscimento dell’addebito nei confronti del Mxxxxxx in considerazioni del suo carattere violento ed aggressivo emerso dalla deposizione della teste Capriello che non poteva ritenersi aprioristicamente inattendibile per il fatto di essere la madre della Sxxxxxxxxxxx in quanto ha riferito un episodio avvenuto nel dicembre del 1995 al quale aveva personalmente assistito ed in cui era rimasta anche lei vittima dell’aggressività del Mxxxxxx nonché un altro episodio di maltrattamenti appreso dalla figlia e da lei riscontrato dai segni di percosse rilevati sul corpo. Circostanze queste peraltro suffragate da altri episodi riferiti da altre testi, anche se successivi alla separazione.

Confermava poi l’affidamento della minore alla madre con cui la piccola era sempre vissuta e che considerava quindi misura più idonea per il forte legame esistente fra le due alla luce delle risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio espletate in primo grado e che hanno sottolineato tra l’altro una situazione di difficoltà nei rapporti tra padre e figlia. Riteneva infine di accogliere, sulla base delle rispettive capacità economiche (la Sxxxxxxxxxxx è priva di redditi proprio mentre il Mxxxxxx fruisce di uno stipendio mensile di insegnante di lire 973.000 mensili e risulta proprietario dell’appartamento in cui abita e di altri due immobili locati a terzi da cui ricava per canoni annui rispettivamente lire 42.000.000 e lire 9.600.000) la richiesta subordinata di riduzione dell’assegno a favore della moglie, determinandolo in lire 700.000 mensili, fermo restando quello per il mantenimento della minore in quanto non impugnato.

Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Silvestro Mxxxxxx, deducendo tre motivi di censura.

Resiste con controricorso Rosa Sxxxxxxxxxxx che eccepisce l’inammissibilità del ricorso per mancanza, quanto meno nella copia notificata, della procura e per incertezza, in tal caso, della anteriorità o contemporaneità della procura rispetto alla notifica.

Motivi della decisione

Pregiudizialmente deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata per mancanza della procura, quanto meno sulla copia notificata, con conseguente incertezza sulla anteriorità o contemporaneità della procura medesima rispetto alla notifica.

L’eccezione è infondata.

Risulta in calce all’originale del ricorso la procura speciale rilasciata dalla parte al proprio difensore.

Quanto poi ala sua mancata trascrizione nella copia notificata, va rilevato che nell’ipotesi come quella in esame, in cui la procura risulti dall’originale del ricorso, una tale omissione non determina l’inammissibilità del ricorso medesimo allorché la copia contenga elementi idonei a dimostrare la provenienza dell’atto dal difensore munito di procura, come la semplice indicazione della procura nella copia notificata (Cassazione 9206/01; 6766/01; 3733/01).

Orbene, nel caso in esame dalla copia notificata del ricorso l’indicazione dell’avvenuto rilascio della procura speciale in calce risulta non solo dall’intestazione dell’atto ma anche dall’annotazione firmata dal difensore con cui si fa testualmente presente che «vi è procura dell’originale».

Essendo implicito dalla relata, ai sensi dell’articolo 137 comma 2 Cpc, che la notifica è avvenuta mediante consegna di copia conforme all’originale, deve ritenersi che di dette attestazioni l’ufficiale giudiziario abbia preso atto e che la procura non può non essere stata quindi rilasciata anteriormente.

Con il primo motivo di ricorso Silvestro Mxxxxxx denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 151 Cc nonché insufficiente motivazione sulla pronuncia di addebito a suo carico. Lamenta che la corte di appello abbia confermato la pronuncia di addebito, nonostante controparte non avesse inserito alcuna prova in ordine alle numerose circostanze dedotte a tale fine (restrizioni alla sua libertà di movimento, ostacoli frapposti al proseguimento degli studi ecc.), basando il proprio convincimento unicamente sull’asserito carattere violento che sarebbe stato dimostrato in più occasioni e sulla rilevanza che esso avrebbe avuto sulla sorte del rapporto familiare, valorizzando a tal fine un episodio cui la teste Capriello, madre della Sxxxxxxxxxxx, avrebbe assistito nonché un altro episodio della stessa teste appreso tramite la figlia, i quali sarebbero risultato suffragati dai segni constatati sul corpo della figlia medesima e dal contenuto di altre deposizioni, solo genericamente però richiamata senza nemmeno l’indicazione del teste. Lamenta altresì che nessuna indagine sotto il profilo soggettivo sia stata compiuta sui fatti addotti a sostengo dell’addebito.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia carenza od insufficienza della motivazione in ordine al disposto affidamento della minore alla madre, lamentando che la corte di appello non abbia tenuto conto, ai fini della perdita di tale affidamento, del comportamento diseducativo della stessa volto ad ostacolare i suoi incontri con la figlia in violazione dell’articolo 388 Cp, per il cui accertamento egli aveva presentato varie querele.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 155 Cc nonché carenza di motivazione. Lamenta che la corte di appello, pur riducendo l’assegno liquidato a favore della moglie, non abbia considerato, ai fini soprattutto di una migliore valutazione dell’entità dell’importo dovuto, il miglioramento del tenore di vita fruito dalla Sxxxxxxxxxxx allorché è tornata a vivere presso i suoi genitori e non abbia altresì tenuto conto che le somme cui ha fatto riferimento nell’indicare il suo reddito sono al lordo delle spese di viaggio, per quanto riguarda la sua retribuzione di insegnante, e delle imposte varie (Ice e Irpef), per quanto concerne gli immobili, di cui peraltro non percepiva più il canone di lire 16.200.000 annue relativo ad un locale. Sostiene altresì che erroneamente non sono stati tenuti presenti i persistenti rifiuti opposti dalla Sxxxxxxxxxxx ad esercitare quelle attività lavorative congeniali al suo titolo di studio (laurea in biologia) che pur le erano state offerte.

I tre motivi di ricorso, riguardanti i rispettivi profili affrontati dalla sentenza impugnata (addebito, affidamento della minore ed assegno di mantenimento a favore della moglie; si risolvono sostanzialmente, al di là della loro formale prospettazione come vizi di legittimità, in altrettante valutazioni di merito che il ricorrente tenta di avvalorare in sostituzione di quelle operate dalla corte di appello le quali, però, in quanto tali, sono insindacabili in questa sede se immune da vizi logici e giuridici.

In tale ambito si collocano infatti certamente, in relazione al primo motivo, le censure riguardanti l’attendibilità della prova testimoniale in ordine agli atti di violenza che la corte di appello ha considerato come causa determinante della separazione e sufficiente motivo di addebito. L’impugnata sentenza del resto ha sufficientemente motivato il proprio convincimento al riguardo in quanto, pur dando atto dello stretto rapporto di parentela (filiazione) esistente fra la teste Capriello e la Sxxxxxxxxxxx, ha ritenuto tuttavia ugualmente attendibile la sua deposizione in considerazione delle particolari circostanze riferite, cui la teste ha dichiarato di aver assistito personalmente, rimanendo anch’essa vittima di percosse.

Nessuna illogicità o contraddittorietà è rilevabile in tale giudizio, essendo solo plausibile trarre eventualmente un diverso convincimento dalle stesse risultanze, ma in tal caso, come già osservato, si è fuori dell’ambito del giudizio di legittimità.

Né rileva, sul piano probatorio e dell’efficienza causale dell’elemento posto a base del convincimento del giudice, che nessuna prova sia stata fornita e richiesta in ordine alle altre numerose circostanze che sarebbero state dedotte dalla Sxxxxxxxxxxx sin dall’atto introduttivo, ben potendo l’addebito fondarsi anche su uno solo dei tanti motivi addotti, specie allorché la condotta che ne risulti si traduca, come la corte di appello ha osservato, in trasgressioni di particolare rilevanza dei doveri coniugali.

Anche con il secondo motivo, con cui si censura la mancata revoca dell’affidamento della minore alla madre, viene sollecitata una diversa valutazione rispetto a quella operata dalla corte d’appello. Posto che il giudice della separazione o del divorzio, nel decidere sull’affidamento dei figli minori, deve tener conto dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore cha appaia il più idoneo a ridurre nei limiti consentiti dalla situazione i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il miglior sviluppo possibile della prole medesima, nell’ipotesi in essere la corte di appello si è uniformata a tale principio, confermando l’affidamento alla madre che, in base alle risultanze delle consulenze tecniche d’ufficio, è apparsa la più idonea sia per il profondo legame riscontrato con la figlia e sia per i non facili rapporti esistenti invece tra la minore ed il padre.

Il ricorrente, da parte sua, tenta di mutare il quadro probatorio di riferimento, individuando nella grave condotta della madre, che ostacolerebbe i suoi incontri con la figlia, le vere ragioni delle rilevate difficoltà, che peraltro nega.

Ma in tale ambito non vi è spazio per i giudizio di legittimità, che non può discostarsi dalle risultanze accertate ed apprezzate dal giudice di merito, a meno che non si lamenti la mancata ammissione di prove specifiche espressamente richieste e da dedursi testualmente in ricorso in osservanza del principio dell’autosufficienza del ricorso medesimo ovvero la mancata valutazione di elementi rilevanti decisivi.

Ma né l’una né l’altra ipotesi sono ravvisabili nel caso in esame in cui la tesi del ricorrente circa il comportamento diseducativo della madre per le reiterate violazioni da parte di costei dell’obbligo di consentire l’esercizio del diritto di visita da parte del padre, come stabilito nel giudizio di separazione, è affidato ad un documento (sentenza penale di condanna pronunciata dal pretore per il reato di cui all’articolo 388 Cp) di cui si è precluso il deposito in questa sede ai sensi dell’articolo 372 Cpc.

Anche la valutazione relativa all’assegno risulta all’evidenza frutto di un esame di merito che la corte di appello ha svolto sulla base delle risultanze emerse e che il ricorrente censura, rilevando sostanzialmente su tutte le componenti di carattere economico idonee per una corretta decisione.

Ma al di là della differente situazione reddituale lamentata dal ricorrente rispetto a quella accertata dalla corte di appello e che in questa sede non è consentito sindacare, non vi è dubbio che in ogni caso, nella determinazione dell’assegno, non potrebbe prescindersi dai cespiti patrimoniali di cui egli è risultato proprietario (Cassazione 6774/90). Né potrebbe considerarsi decisivo l’assunto, secondo cui la corte di appello non avrebbe tenuto conto del miglioramento del tenore di vita della donna con il ritorno nella sua famiglia di origine, non risultando dal ricorso che in sede di appello fossero stati formulati specifici capitoli di prova al riguardo e che non ne fossero stati eventualmente esaminati gli esiti.

Al di là di ogni valutazione giuridica, analoghe considerazioni valgono per quanto riguarda il preteso rifiuto della Sxxxxxxxxxxx all’offerta di un lavoro congeniale alle sue attitudini (laurea in biologia) che sarebbe stato procurato dal marito, mancando qualsiasi riferimento sul punto nella sentenza impugnata.

Del resto la corte di appello non ha del tutto disatteso le argomentazioni del Mxxxxxx sugli aspetti economici della separazione in quanto, pur prendendo atto dell’evidente divario della situazione economica fra i due coniugi, ha ridotto in misura non trascurabile l’importo dell’assegno di mantenimento determinato dal tribunale.

Tenuto conto della misura della controversia, ritiene di compensare fra le parti le spese del giudizio.

PQM

Rigetta il ricorso. Compensa le spese.