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Mezzi di sussistenza alla moglie separata

29/09/2004 Mezzi di sussistenza alla moglie separata - articolo 570 Cp

Mezzi di sussistenza alla moglie separata - articolo 570 Cp (Cassazione – Sezione sesta penale (up) – sentenza 1° ottobre 2003-29 settembre 2004, n. 38461)

In fatto e diritto

Con sentenza 152/02 il Tribunale di Taranto/Martina Franca dichiarava Martino Pxxxxxxx colpevole del reato ascrittogli – per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie separata Antonia Dxxxxxx e alle figlie minori Rosaria e Comasia, omettendo di versare alla prima l’assegno di lire 550.000 – e lo condannava alla pena, sospesa, di un anno di reclusione ed euro 1032 di multa.

Contro tale decisione proponeva appello l’imputato, chiedendo l’assoluzione e, in subordine, l’eliminazione della pena detentiva, non essendone previsto il cumulo con la pena pecuniaria.

A seguito del giudizio la Corte d’appello di Lecce/Taranto con sentenza 403/02 confermava la decisione di primo grado.

Avverso la suddetta sentenza il Martino ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi:

1. estinzione del reato per prescrizione;

2. erronea applicazione dell’articolo 570 Cp perché la circostanza che l’imputato per un certo tempo ha eseguito i versamenti, significa che li ha sospesi per essere incorso in un periodo di assoluta indigenza che non gli ha consentito di provvedere alle esigenze della famiglia, laddove la costituzione di un nuovo nucleo familiare non può essere intesa come capacità di reddito; d’altronde la Dxxxxxx e la figlia svolgevano e svolgono attività lavorativa, per cui non versavano in stato di bisogno.

L’impugnazione è inammissibile.

Prendendo in esame il secondo motivo di impugnazione, logicamente preliminare rispetto al primo per la necessaria verifica ai sensi dell’articolo 129 Cpp della sussistenza di cause di non punibilità, si osserva come nella prima parte il ricorrente ponga una petizione di principio, desumendo apoditticamente dall’adempimento parziale la prova che l’inadempimento nel resto è dipeso dall’impossibilità di provvedervi.

In realtà, con questo motivo il ricorrente ripropone una questione già smentita in fatto dal Giudice d’appello, il quale ha accertato che l’imputato non ha mai adempiuto al suo obbligo di versare alla moglie separata la somma di lire 550.000, in quanto solo 4 o 5 volte ha eseguito in suo favore versamenti dell’importo di lire 150.000 ciascuno, pari a circa un quarto di quanto dovuto.

D’altra parte la costituzione di un nuovo nucleo familiare da parte del coniuge separato, se non può costituire prova di capacità di reddito al fine dell’accertamento della violazione dell’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai discendenti minori o inabili, agli ascendenti o al coniuge legalmente separato non per sua colpa, non esime tuttavia dall’adempimento di tale obbligo e quello di assicurare i mezzi di sussistenza ai componenti della nuova famiglia.

Costituisce un obbligo ulteriore da adempiere, che si aggiunge al primo e non può dar luogo alla condizione di assoluta e incolpevole indigenza che sola può giustificare l’inadempimento.

Per quanto riguarda la seconda questione, posta con lo stesso motivo, il Giudice di merito si è correttamente uniformato all’orientamento giurisprudenziale per cui lo stato di bisogno del beneficiario degli obblighi di assistenza familiare non viene meno per il fatto che egli sia costretto a ricorrere a rapporti di lavoro precari per procurarsi mediocri e saltuari guadagni al fine di sopperire alle inadempienze del coniuge obbligato a provvedere al suo mantenimento, il quale di conseguenza non può ritenersi liberato per effetto delle conseguenze del proprio inadempimento ed a carico del quale pertanto il reato previsto dall’articolo 570 Cp permane nella configurazione tipica.

Nella specie questo è quanto il Giudice d’appello ha concretamente accertato, per cui la relativa questione, già rigettata e anch’essa riproposta in questa sede, risulta del pari smentita in fatto.

Il motivo di ricorso in esame appare quindi per tutti gli aspetti palesemente infondato e, quindi, inammissibile.

Per quanto riguarda il primo motivo, si osserva che, come risulta dalla sentenza di primo grado, a seguito della riunione di due procedimenti in origine separati ha portato alla conseguenza dell’unificazione dei due reati contestati in ciascun procedimento in un unico reato, permanente fino al 3 ottobre 1996, di cui il Pxxxxxxx è stato dichiarato colpevole.

Pertanto, poiché ai sensi dell’articolo 158 Cp la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione della permanenza, il termine prescrittivi, quinquennale per questo reato, aumentato fino alla metà ai sensi dell’articolo 160 Cp per le interruzioni, è scaduto il 3 aprile 2004, successivamente alla pronuncia della sentenza d’appello.

Di conseguenza la relativa eccezione non può essere accolta. Infatti, la scadenza del termine di prescrizione successivamente alla pronuncia della sentenza d’appello (12 giugno 2002) preclude l’effetto della causa d’estinzione perché rende il ricorso inidoneo a introdurre il giudizio di cassazione e, quindi, a instaurare la fase procedurale nell’ambito della quale può essere emessa la relativa sentenza, sicché non v’è luogo a una pronunzia diversa dalla dichiarazione stessa d’inammissibilità.

In tale ipotesi l’inidoneità funzionale del ricorso determina l’insorgenza di una causa di inammissibilità originaria del gravame, che preclude alla Corte di cassazione anche la decisione delle questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, indicate dall’articolo 609 e 129 Cpp, comprese le cause estintive e, perciò, la prescrizione del reato.

La natura dichiarativa del provvedimento giurisdizionale che rileva l’inammissibilità implica che l’effetto di essa retroagisce alla data della verificazione della causa che l’ha determinata, in quanto questa impedisce l’ingresso alla fase di impugnazione e, per conseguenza, determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata dalla data di scadenza del termine per impugnare (Cassazione, Su, 33542/01, ric. Cavalera; 32/2000, De Luca; 21/1995, Cresci; v. anche Sezione terza, 1855/99, Verna; Id., 1268/00, Onofri).

In caso di esame, per effetto dell’inammissibilità del ricorso il passaggio in giudicato della sentenza impugnata è conciso con la scadenza del termine per impugnarla, per cui la successiva scadenza del termine di prescrizione rimane priva d’effetto (Cassazione, Su, 33542/01, ric. Cavalera; Sezione terza, 35896/01, Vellone e altro; Sezione sesta, 30222/02, Sartori e altro) (Cassazione, Sezione sesta, 49539/03, ric. Cauteruccio).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 1000 alla Cassa delle ammende.