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Assegno a carico dell'eredità, previsto dall'art. 9 bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898

Famiglia - Divorzio - L'assegno a carico dell'eredità, previsto dall'art. 9 bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 Famiglia - Scioglimento matrimoni - divorzio Decesso dell'obbligato - ex coniuge avente diritto all'assegno - Assegno a carico dell'eredità ex art. 9-bis legge n. 898 del 1970 - Condizioni - Quantificazione - Criteri - Stato di bisogno - Valutazione - Riferimenti al contesto socio-economico del richiedente e del de cuius , in analogia a quanto

Famiglia - Divorzio - L'assegno a carico dell'eredità, previsto dall'art. 9 bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898

Famiglia  -  Scioglimento matrimonio - divorzio Decesso dell'obbligato - ex coniuge avente diritto all'assegno - Assegno a carico dell'eredità ex art. 9-bis legge n. 898 del 1970 - Condizioni - Quantificazione - Criteri - Stato di bisogno - Valutazione - Riferimenti al contesto socio-economico del richiedente e del "de cuius", in analogia a quanto previsto dall'art. 438 cod. civ. - L'assegno a carico dell'eredità, previsto dall'art. 9 bis della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (non modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74) in favore dell'ex coniuge in precedenza beneficiario dell'assegno di divorzio, avendo natura assistenziale, postula che il medesimo si trovi in stato di bisogno, vale a dire manchi delle risorse economiche occorrenti per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita. Pertanto, detto assegno va quantificato in relazione al complesso degli elementi espressamente indicati nello stesso art. 9-bis, cioè tenendo conto, oltre che della misura dell'assegno di divorzio, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. A tale riguardo, l'entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell'indigenza, bensì in relazione al contesto socio-economico del richiedente e del "de cuius", in analogia a quanto previsto dall'art. 438 cod. civ. in materia di alimenti. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 1253 del 27/01/2012

Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 1253 del 27/01/2012

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
1. - Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Firenze ha confermato il provvedimento del Tribunale di Pisa di rigetto della domanda proposta da F.L. nei confronti di D.A.M.
e D.R. , eredi del proprio ex coniuge divorziato, D.L. , diretta ad ottenere a carico dell'eredità un assegno ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9 bis, pari all'importo (di Euro 1.300,00) del già goduto assegno divorzile previsto da scrittura privata sottoscritta dagli ex coniugi il 22.1.2003 con finalità transattiva di tutte le liti fra loro pendenti, dopo la pronuncia di sentenza non definitiva dell'11.7.1987 di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di separata ordinanza che aveva disposto la prosecuzione del giudizio per la determinazione dell'assegno. La Corte di merito ha rigettato il gravame dell'attrice osservando che:
- essa era proprietaria di un ampio appartamento di cinque vani e mezzo sito - secondo i non contestati rilievi di parte appellata - in una delle zone residenziali di maggior pregio della città di XXXX, quella delle (omesso) , con un valore commerciale di circa Euro 320/350.000 ed un valore locatizio di circa Euro 1.500/1.600 al mese;
- godeva, inoltre, della pensione sociale di circa Euro 420,00= mensili ed aveva accumulato risparmi bancari per circa Euro 12.000,00 (dalla medesima ammessi per Euro 10.000,00 investiti in BOT, oltre ad altri risparmi su libretti bancari);
- nel periodo 1994-2005 (anno in cui era deceduto il coniuge divorziato) la F. aveva percepito assegni divorzili per una somma complessivamente pari a Euro 162.180,25 e, tenuto conto del fatto che in questo periodo la stessa aveva vissuto da sola, in una casa di sua proprietà ed aveva sostenuto spese fisse modeste ne' risultava aver sostenuto spese mediche non coperte dal S.S.N (come emergente dalle sue denunce dei redditi), i proventi percepiti a titolo di assegno divorzile le avevano ragionevolmente consentito di accumulare consistenti risparmi.
L'appellante non appariva dunque priva dei mezzi che le occorrevano per far fronte alle sue esigenze di vita, anche non primarie, e comunque era senz'altro nelle condizioni oggettive di procurarseli, per esempio cedendo sul mercato la nuda proprietà del suo immobile oppure offrendo ospitalità (a pagamento) a degli studenti o a dei lavoratori fuori sede.
Era, quindi, insussistente lo stato di bisogno dell'istante, così come inteso dalla giurisprudenza di legittimità.
Contro la sentenza di appello l'attrice ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo.
Resistono con separati controricorsi gli intimati. 2.- Con l'unico motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 bis, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), conseguente al mancato riconoscimento dello stato di bisogno e formula il seguente quesito ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c.: "se lo stato di bisogno dell'ex coniuge avente diritto all'assegno di mantenimento a carico dell'eredità possa essere valutato in termini meno rigorosi di quelli richiesti dall'art. 438 c.c., e possa configurarsi anche in presenza di una situazione che non esclude in assoluto, in capo all'ex coniuge superstite, la sussistenza di risorse o disponibilità di mezzi astrattamente sufficienti ad un parziale soddisfacimento delle necessità primarie della vita".
La ricorrente a) descrive il proprio immobile e contesta il valore accertato dalla Corte di appello (è situato in zona periferica, ha solo quattro vani ed è vecchio di trenta anni, necessita di ristrutturazione); b) precisa: di percepire una pensione di Euro 420,00 mensili, essendo invalida al 67%, che ha percepito solo Euro 944,00 netti mensili dall'ex coniuge quando era in vita e ha modesti risparmi (Euro 10.000,00); c) lo stato di bisogno richiesto dalla L. n. 898 del 1970, art. 9 bis, consiste nella mancanza di mezzi adeguati per la conduzione di una vita autonoma e dignitosa e nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive. Non coincide con "lo stato di bisogno alimentare ma va identificato con la stessa insufficienza reddituale rilevante ai fini dell'attribuzione dell'assegno post matrimoniale". Deduce che la Corte di appello non ha tenuto conto delle abitudini sociali e del contesto in cui la ricorrente aveva condotto la propria vita in costanza di matrimonio e, successivamente, quando l'ex coniuge era ancora in vita e richiama Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9185 del 14/05/2004.
3.- La controricorrente D.A. eccepisce l'inammissibilità del ricorso per inadeguatezza del quesito e deduce la nullità della transazione con la quale era stato previsto l'assegno divorzile nonché la mancanza del riconoscimento giudiziale del diritto all'assegno costituente il presupposto del diritto all'assegno a carico dell'eredità.
4.1.- Va preliminarmente rilevata l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità del ricorso per inadeguatezza del quesito ex art. 366 bis c.p.c., posto che la ricorrente ha denunciato sia l'erronea interpretazione della L. n. 898 del 1970, art. 9 bis, che la falsa applicazione della norma stessa come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte ("... lo stato di bisogno.... possa configurarsi anche in presenza di una situazione che non esclude in assoluto, in capo all'ex coniuge superstite, la sussistenza di risorse o disponibilità di mezzi astrattamente sufficienti ad un parziale soddisfacimento delle necessità primarie della vita"). Da ultimo, l'eccezione di nullità della convenzione stipulata dopo la pronuncia di divorzio involge accertamenti in fatto non dedotti nei gradi di merito e va, quindi, ritenuta inammissibile perché nuova.
Il principio della rilevabilità, anche d'ufficio, in sede di legittimità, della nullità del contratto postula che siano acquisite agli atti le circostanze su cui si fonda la nullità medesima, stante il divieto in questa sede di nuove indagini e accertamenti di fatto. La pronuncia di nullità deve pertanto basarsi sul medesimo quadro di riferimento concretamente delineato dalle allegazioni delle parti, e non può fondarsi su un fatto nuovo, implicante un diverso tema di indagine e di decisione (Sez. 2, n. 13846/2007; Sez. un., n. 6418/1986). Regola certamente applicabile anche all'altra questione - che non risulta, dal provvedimento impugnato, dedotta in sede di merito - della mancanza del presupposto costituito dall'accertamento giudiziale del diritto all'assegno divorzile, in questa sede sollevata in violazione del principio di autosufficienza, operante anche per il controricorso (cfr. Sez. lav., n. 5970/2011).
Fondati, invece, sono i rilievi dei controricorrenti in merito all'inammissibilità delle censure in fatto formulate nel ricorso sub a) e b) (dirette, peraltro, ad ottenere una inammissibile rilettura, in sede di legittimità, degli atti processuali) nonché della produzione di nuovi documenti in violazione dell'art. 372 c.p.c., senza, peraltro, che sia stato ritualmente denunciato alcun vizio della motivazione del provvedimento impugnato.
4.2.- Ciò premesso, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità l'assegno a carico dell'eredità, previsto dalla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 bis (non modificato dalla L. 6 marzo 1987, n. 74) in favore dell'"ex" coniuge in precedenza beneficiario dell'assegno di divorzio, postula che il medesimo si trovi in stato di bisogno, vale a dire manchi delle risorse economiche occorrenti per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita. Pertanto, al fine del riconoscimento di detto assegno al coniuge divorziato, che già goda, od a cui venga contestualmente attribuita una parte del trattamento pensionistico di reversibilità, non può prescindersi da una valutazione del "quantum" di tale trattamento e dal riscontro della sua inadeguatezza, sommato alle altre risorse del richiedente, per la tacitazione delle suddette esigenze (Sez. 1, Sentenza n. 8687/1992).
Come ha sottolineato la dottrina, il carattere alimentare dell'assegno di cui all'art. 9 bis, L. divorzio è difficilmente contestabile, sia per il riferimento allo stato di bisogno, "sia per la previsione testuale della caratteristica più significativa degli alimenti, cioè la possibilità che il diritto nasca e, ove cessato, risorga in corrispondenza della situazione di bisogno". Secondo una più recente pronuncia di questa Sezione, "trattasi di un assegno avente natura assistenziale, distinto da quello di divorzio - che ne costituisce il presupposto giuridico - fondato sui principi solidaristici posti dall'art. 2 Cost., a base del nostro ordinamento, alla luce dei quali la normativa che lo prevede deve essere interpretata. Esso è diretto a garantire al coniuge divorziato, che venga a trovarsi in uno stato di bisogno per essere rimasto privo dell'assegno di divorzio a seguito della morte dell'obbligato (il quale abbia lasciato beni ereditari), di sopperire al venir meno di detto assegno. Va inquadrato, pertanto, tra gli istituti che il legislatore del divorzio ha previsto al fine di apprestare tutela, dopo lo scioglimento del vincolo coniugale, al coniuge che in conseguenza di tale scioglimento venga a subire un deterioramento delle sue condizioni economiche" (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9185/2004).
Il predetto assegno a carico dell'eredità va quantificato in relazione al complesso degli elementi espressamente indicati nello stesso art. 9 bis L. div., cioè tenendo conto, oltre che della misura dell'assegno di divorzio, dell'entità del bisogno, dell'eventuale pensione di reversibilità, delle sostanze ereditarie, del numero e della qualità degli eredi e delle loro condizioni economiche. Ad un tal riguardo, l'entità del bisogno deve essere valutata non già con riferimento alle norme dettate da leggi speciali per finalità di ordine generale di sostegno dell'indigenza - le quali sono prive di ogni collegamento con ragioni di solidarietà familiare, che costituiscono, invece, il fondamento della norma in esame -, bensì in relazione al contesto socio - economico del richiedente e del "de cuius", in analogia a quanto previsto dall'art. 438 cod. civ., in materia di alimenti (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9185/2004).
Alla luce dei principi giurisprudenziali innanzi riportati è insussistente la violazione di legge denunciata, posto che la corte di merito, con motivazione non attinta da rituali censure, come innanzi rilevato, ha accertato l'inesistenza dello stato di bisogno della ricorrente.
Il ricorso, quindi, deve essere rigettato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dei resistenti;
spese che liquida per ciascuna parte controricorrente in Euro 2.000,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 gennaio 2012. Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2012

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it