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Scioglimento del matrimonio - Assegno di mantenimento

15 Maggio 2010 - Scioglimento del matrimonio - Assegno di mantenimento - Determinazione avendo riguardo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Corte di Cassazione - Sentenza del 24.03.2010, n. 7145)

Scioglimento del matrimonio - Assegno di mantenimento - Determinazioe avendo riguardo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Corte di Cassazione - Sentenza del 24.03.2010, n. 7145)

Corte di Cassazione - Sentenza del 24.03.2010, n. 7145

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 895 del 23.12.2003 - 7.05.2004, il Tribunale di Padova disponeva lo scioglimento del matrimonio contratto il (…), da R. B., ricorrente, ed E. Z., alla quale attribuiva l’assegno di mantenimento di entità pari ad euro 2.800,00 mensili, aggiornabili, corrispondente a quella dell’assegno convenuto dalle parti all’atto della loro separazione consensuale del 25.03.1999, omologata il 16.04.1999.

Con sentenza del 18.04-25.05.2005, la Corte di appello di Venezia, in parziale accoglimento del gravame principale del B., riduceva detto assegno (non già, come richiesto dall’appellante, ad euro 1.032,91 mensili ma) ad euro 1.800,00 mensili, respingendo l’appello incidentale della Z., volto all’aumento di esso ad euro 2.900,00, e compensando le spese processuali dei due gradi di merito.

La Corte osservava e riteneva tra l’altro:
- che la documentazione prodotta dalla Z. e l’emerso elevato tenore di vita fruito dal B. e dal suo nuovo nucleo affettivo, composto dalla compagna, che collaborava nella sua attività imprenditoriale, e da altri due figli minori oltre al primo, già nato all’epoca della separazione consensuale dalla moglie, smentivano la contrazione della pregressa potenzialità produttiva delle società del gruppo facente capo all’appellante, il quale anzi aveva notevolmente incrementato il suo patrimonio personale

- che sebbene il B. non si trovasse nell’impossibilità di contribuire al mantenimento della Z. nella misura già consensualmente prevista per il passato, tuttavia la finalità meramente assistenziale dell’assegno divorzile non imponeva all’onerato di garantire, se non tendenzialmente, il tenore di vita analogo a quello goduto dal beneficiario in costanza di matrimonio

- che appariva congruo e rispondente ai maggiori oneri di mantenimento della nuova famiglia ed alla situazione reddituale del B. (pur ottima ma esposta ai rischi ed alle oscillazioni del mercato correlati all’attività d’impresa), rideterminare l’assegno in questione nella minore somma di euro 1.800,00 mensili, importo senz’altro idoneo a garantire alla Z. un’esistenza più che agiata, ove raffrontato con gli emolumenti di un qualsiasi lavoratore dipendente.

Avverso questa sentenza la Z. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 10-07-2006, affidato a due motivi. Il B. ha resistito con controricorso notificato il 29.09.2006.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso la Z., premesso anche il richiamo delle contribuzioni convenute all’atto della separazione personale omologata, deduce:
1. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto” ossia dell’art. 5 n. 6 L. 898 del 1978 (pag. 8 del ricorso) eccezione di inammissibilità ex 360, comma 1 n. 3 e 366 comma 1 n. 4 c.p.c.

2. “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti”.
Con entrambi i motivi, che essendo strettamente connessi consentono esame unitario e che si rivelano fondati, la ricorrente ritualmente censura, anche per vizi motivazionali, la riduzione dell’assegno divorzile, disposta dalla Corte distrettuale.

In base all’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, l’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articola in due fasi, nella prima delle quali il giudice è chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio, e quindi procedere ad una determinazione quantitativa delle somme sufficienti a superare l’inadeguatezza di detti mezzi, che costituiscono il tetto massimo della misura dell’assegno. Nella seconda fase, il giudice deve poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5. Al fine della quantificazione dell’assegno di divorzio, il giudice del merito, pur potendosi avvalere di un raffronto con l’assegno pattuito o giudizialmente fissato nel pregresso regime di separazione, non può e non deve utilizzarlo come parametro vincolante, ma deve attribuirlo e liquidarlo in base ai criteri autonomamente fissati dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970 n. 898, data la diversità delle relative discipline sostanziali, della natura, struttura e finalità dei due trattamenti, correlate e diversificate situazioni, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione.
In particolare, la determinazione dell’assegno divorzile va effettuata verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontata ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto. L’accertamento del giudice del merito in ordine alle condizioni economiche dei coniugi ed al reddito di entrambi deve essere compiuto, non in astratto, bensì in concreto; pertanto, detto giudice non può basare la propria decisione su un mero apprezzamento probabilistico, non fondato su dati realmente esistenti con riferimento alla specifica fattispecie.

Nella specie la concreta liquidazione dell’assegno e segnatamente la sensibile riduzione dell’importo stabilito in primo grado, risulta illegittimamente disposta dai giudici di merito senza la ponderata e bilaterale considerazione dei criteri di legge, nonché e con riguardo alle condizioni economiche dell’onerato, pur ritenute ottime per il sopravvenuto notevole incremento del suo patrimonio, valorizzando, in prospettiva del tutto astratta ed anche inappagante sul piano della congruenza logica, l’evoluzione negativa della potenzialità produttiva del suo gruppo societario, nonché ancora, in riferimento alle esigenze della beneficiaria, con erroneo riferimento limitativo ad un modello di vita proprio di un qualsiasi lavoratore dipendente, in luogo del pregresso tenore di vita coniugale che, invece, avrebbe dovuto costituire il tetto massimo della misura della contribuzione.

Conclusivamente il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.
Depositata in Cancelleria il 24.03.2010