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Separazione con addebito - riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile

Separazione con addebito - riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile - 5, comma 9, della l. 898/1970 - In caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se

Separazione con addebito - riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile - 5, comma 9, della l. 898/1970 - In caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria (Corte di cassazione Sezione I civile Sentenza 17 maggio 2005, n. 10344)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 25 febbraio 1995, A.M.M. chiese al tribunale di Roma di pronunciare la sua separazione dal marito, F.M., con il quale aveva contratto matrimonio civile il 12 dicembre 1990, con addebito allo stesso, assegnazione a lei stessa della casa coniugale e attribuzione in suo favore di un assegno di mantenimento dell'importo di 9.000.000 mensili a carico del coniuge.

Il resistente aderì alla domanda di separazione, peraltro con esclusione dell'addebito, e chiedendo altresì la condanna della ricorrente al rimborso della metà dell'importo del debito, pari a 193.059.000 lire, che nei suoi confronti vantava l'Erario, motivando tale richiesta alla stregua della considerazione dell'avere la M. concorso al mantenimento di un tenore di vita superiore alle disponibilità finanziarie della coppia.

Assunti, in sede presidenziale, i provvedimenti di competenza, con cui veniva stabilita l'assegnazione della casa coniugale al M. e la corresponsione da parte dello stesso in favore della M. di un assegno di mantenimento di lire 2.800.000 mensili, con sentenza 1° febbraio-28 maggio 1999, il Tribunale dichiarò la separazione personale delle parti, rigettando la domanda di addebito al M., e confermando le statuizioni presidenziali in materia patrimoniale, relative all'assegnazione della casa coniugale al marito ed alla imposizione allo stesso dell'obbligo di versare un assegno di mantenimento, che il Tribunale indicava in lire 2.500.000 mensili.

Propose appello il M., chiedendo la esclusione dell'obbligo della corresponsione dell'assegno mensile di mantenimento, posto a suo carico dalla sentenza impugnata, e insistendo nella domanda di declaratoria dell'obbligo della moglie di concorrere all'adempimento del debito di 193.059.000 lire che nei confronti dello stesso vantava l'Erario, con conseguente condanna della moglie al rimborso, anche rateale, della metà di tale somma e degli interessi. La M. si costituì proponendo ricorso incidentale, riformulando la domanda di addebito della separazione al marito, deducendo un nuovo capitolo di prova, e chiedendo l'aumento dell'importo dell'assegno a lire 9.000.000, oltre alla condanna del coniuge alla corresponsione di interessi e rivalutazione a far tempo dal 1° febbraio 1999, data della emanazione della decisione impugnata, sulla somma mensile a lei assegnata dal Tribunale, indicata dalla appellante incidentale in lire 2.800.000.

La Corte d'appello, con sentenza depositata il 4 luglio 2001, rigettò la domanda di addebito proposta dalla M., ritenendo carenti gli elementi offerti dall'appellante incidentale ai fini della dimostrazione del suo assunto, concernente il rifiuto da parte del marito di rapporti sessuali e le sue tendenze particolari, e confermò la statuizione di primo grado nella parte relativa alla misura dell'assegno di mantenimento, osservando che alla intensa attività professionale del M., ed al livello anche qualitativamente elevato della stessa, non potevano non riconnettersi compensi superiori a quelli da lui dichiarati, a fronte della mancanza di autonome fonti di reddito della moglie, pur idonea al lavoro, ma ancora prossima all'evento destabilizzante della separazione dal coniuge, e conclusivamente ritenendo congrua, in mancanza di elementi di quantificazione certa dei redditi del M., la misura dell'assegno decisa dal giudice di primo grado. La Corte escluse ogni altra pronuncia in ordine a statuizioni patrimoniali favorevoli alla M., alla stregua del rilievo che la sentenza di primo grado costituiva già di per sé titolo per l'esecuzione da parte della stessa di tali statuizioni. La Corte rigettò altresì la domanda del M. intesa al conseguimento della metà dell'importo del suo debito verso l'Erario, alla stregua della considerazione della inesistenza di un titolo giuridico al quale ricondurre la richiesta.

Avverso tale sentenza A.M.M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a controricorso, illustrato anche da successiva memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione dell'art. 112 c.p.c. e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Il Tribunale, dopo aver confermato i provvedimenti assunti in sede presidenziale, in cui si era stabilito a favore della M. un assegno di mantenimento dell'importo di lire 2.800.000 mensili, lo aveva poi erroneamente indicato in lire 2.500.000. La M., sottolineato, nel primo motivo di appello incidentale, l'errore materiale in cui era incorso il Tribunale, aveva poi chiesto alla Corte d'appello, aveva poi formulato le proprie conclusioni chiedendo la condanna del M. alla corresponsione degli interessi e della rivalutazione maturati sulla somma di lire 2.800.000 a far tempo dalla emanazione della sentenza impugnata, implicitamente richiedendo la rettifica dell'errore commesso dal Tribunale nella trascrizione della somma fissata quale importo dell'assegno mensile di mantenimento in favore della ricorrente: la Corte non aveva provveduto alla rettifica, in tal modo violando l'art. 112 c.p.c., che impone al giudice di pronunciarsi su tutte le domande, comprese le richieste non espressamente richiamate nella formulazione letterale delle conclusioni finali, se dette richieste costituiscono parte integrante o un diretto accessorio di quelle specificamente indicate.

Il motivo è infondato. A prescindere dal rilievo che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale 335/2004 - con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., dell'art. 287 c.p.c. limitatamente alle parole "contro le quali non sia stato proposto appello", e, quindi, nella parte in cui la citata disposizione del codice di rito escludeva la sentenza di primo grado già investita dell'appello dallo speciale procedimento di correzione di errore materiale disciplinato dallo stesso art. 287, di competenza dello stesso giudice che ha emesso il provvedimento affetto da errore materiale -, è al primo giudice che la M. avrebbe dovuto richiedere la correzione dell'errore lamentato, va comunque rilevato che, nella specie, risulta che la Corte ha ritenuto congruo l'assegno di mantenimento in favore della M. disposto dal Tribunale, prendendo all'evidenza in considerazione la somma indicata nella sentenza (pari a lire 2.500.000), e non già quella attribuita alla ricorrente in via provvisoria in sede di pronuncia di provvedimenti presidenziali. In tale ordine di idee, la Corte ha chiaramente escluso che la circostanza che il giudice di primo grado, dopo aver dichiarato di confermare detti provvedimenti, avesse ritoccato il quantum dell'assegno di mantenimento, sia di per sé idonea a configurare un errore materiale di trascrizione del giudice di prime cure.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 156, commi 1 e 2, c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. La Corte d'appello non avrebbe dovuto rigettare la richiesta avanzata dalla ricorrente di elevare l'importo dell'assegno di mantenimento a carico del marito sul solo presupposto della mancata dimostrazione, da parte della M., dell'effettivo reddito prodotto dal coniuge, senza far uso del potere - attribuito al giudice del merito, con riferimento alla determinazione dell'assegno divorzile, dall'art. 5, comma 9, della l. 898/1970, applicabile anche alla separazione personale - di disporre indagini sul reddito, sul patrimonio e sull'effettivo tenore di vita del M.

La censura è fondata. L'art. 5, comma 9, della l. 898/1970, nel testo novellato dall'art. 10 della l. 74/1987 - il quale, in tema di riconoscimento e determinazione dell'assegno divorzile, stabilisce che, "in caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria", deve ritenersi applicabile in via analogica - stante l'identità di ratio, riconducibile alla funzione eminentemente assistenziale dell'assegno in questione - anche in materia di separazione di coniugi, con riguardo all'assegno di mantenimento. E' pur vero che l'esercizio di detto potere, che costituisce una deroga alle regole generali sull'onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche. Ma esiste un limite a tale discrezionalità, da rinvenire nella circostanza che il giudice, potendosi avvalere di detto potere, non può rigettare le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell'assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione degli assunti sui quali si fondano, facendo capo in tal caso allo stesso l'obbligo di disporre accertamenti di ufficio (vedi, in tal senso, Cassazione 8417/2000).

Nella specie, la Corte di merito, una volta dato atto della documentazione prodotta dalla ricorrente, comprovante la intensa attività artistica del coniuge quale coreografo, nonché come gestore di un centro di lezioni di danza, conosciuto l'elevato livello professionale dell'attività svolta dal M., e riconosciuto che da tale documentazione emergeva un livello professionale elevato dell'attività dello stesso, associato a notevole popolarità, con conseguente, presumibile conseguimento di compensi superiori a quelli, "eccessivamente modesti", dichiarati dal M., avrebbe dovuto far uso dei sopra menzionati poteri di disporre indagini di ufficio, e non limitarsi ad emettere - contraddittoriamente con le proprie stesse conclusioni circa il presumibile carattere elevato dei compensi da riconnettere alle prestazioni professionali dell'intimato - un giudizio di congruità dell'assegno di mantenimento, fondato sulla sola mancanza di elementi certi di quantificazione del reddito dello stesso.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., nonché omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. La ricorrente aveva riproposto con l'appello incidentale la domanda di addebito della separazione al marito in considerazione vuoi del mancato adempimento del debito coniugale vuoi dell'inadempimento da parte di questo dell'obbligo di corresponsione dell'assegno di mantenimento. La Corte d'appello aveva rigettato la domanda per aver ritenuto non provato il rifiuto all'adempimento del debito coniugale, senza fare riferimento all'aspetto ulteriore della mancata corresponsione dell'assegno di mantenimento.

Il motivo non merita accoglimento. La pretesa in questione esula infatti dal tema della decisione impugnata in quanto riferita a fatti successivi alla separazione (vedi Cassazione 3098/1995; 6566/1997).

Conclusivamente, va accolto il secondo motivo del ricorso, e vanno rigettati gli altri. La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, la quale provvederà alle determinazioni di propria competenza in ordine alla misura dell'assegno di mantenimento in favore della ricorrente alla stregua dei principi di diritto sopra enunciati.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d'appello di Roma.