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Obbligazioni - Cessione di crediti - Accessori - Retribuzione - Effetti della cessione - Mutamento della natura del credito

Civile - Obbligazioni - Cessione di crediti - Accessori - Retribuzione - Effetti della cessione - Mutamento della natura del credito - Esclusione - Ragioni - Accertamento e liquidazione in giudizio - Effettuazione al lordo delle ritenute fiscali e contributive - Necessità anche in caso di cessione del credito - Lavoro subordinato - retribuzione In tema di cessione del credito, la previsione del primo comma dell'art. 1263 cod. civ., in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli altri accessori , dev'essere intesa nel senso che nell'oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall'esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione. Ne consegue che con la cessione il credito di lavoro non muta la sua natura, e i correlativi accertamento e liquidazione giudiziali vanno effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive, poiché le prime attengono al distinto rapporto d'imposta e vanno eseguite in un momento successivo, e anche le seconde non possono essere considerate nell'ambito del giudizio di cognizione, poiché il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza. Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 13 del 05/01/2012

Civile - Obbligazioni - Cessione di crediti - Accessori - Retribuzione - Effetti della cessione - Mutamento della natura del credito - Esclusione - Ragioni - Accertamento e liquidazione in giudizio - Effettuazione al lordo delle ritenute fiscali e contributive - Necessità anche in caso di cessione del credito - Lavoro subordinato - retribuzione


In tema di cessione del credito, la previsione del primo comma dell'art. 1263 cod. civ., in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli "altri accessori", dev'essere intesa nel senso che nell'oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall'esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione. Ne consegue che con la cessione il credito di lavoro non muta la sua natura, e i correlativi accertamento e liquidazione giudiziali vanno effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive, poiché le prime attengono al distinto rapporto d'imposta e vanno eseguite in un momento successivo, e anche le seconde non possono essere considerate nell'ambito del giudizio di cognizione, poiché il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza. Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 13 del 05/01/2012

Corte di Cassazione, Sez. L, Sentenza n. 13 del 05/01/2012

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il presente ricorso per cassazione è ammissibile atteso che, trattandosi di sentenza depositata in data 15 marzo 2009, alla fattispecie si applica la disposizione di cui all'art. 616 cod. proc. civ. come modificato dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14. Tale norma è stata poi nuovamente modificata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49 ma tale modifica, entrata in vigore a decorrere dal 4 luglio 2009, che ha reintrodotto l'appellabilità delle pronunce di primo grado, non si applica, ratione temporis, al caso di specie (Cass. (ordin.) 30 aprile 2011 n. 9591; Cass. 21 gennaio 2011 n. 1402).
Col primo motivo di ricorso parte ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1952, artt. 9 e 23 in relazione all'art. 1263 cod. civ. nonché del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 23 e 64 sempre in relazione all'art. 1263 cod. civ.. Deduce che la sentenza impugnata, pur avendo parzialmente accolto l'opposizione proposta dalla PIM in relazione agli effetti prodotti dalla cessione del credito, da parte del Segantini, fino alla concorrenza di Euro 354.300,00 è viziata nella parte in cui ha affermato che il residuo credito azionabile ammonta alla somma complessiva di Euro 408.072,20;
tale somma è stata infatti ottenuta detraendo dall'importo lordo dovuto in virtù della sentenza del Tribunale di Milano, comprensivo di interessi legali e rivalutazione monetaria al 7 gennaio 2009, l'importo oggetto di cessione (pure maggiorato di interessi legali e rivalutazione monetaria al 7 gennaio 2009) anch'esso erroneamente considerato importo lordo laddove trattavasi di importo necessariamente netto (e cioè al netto delle ritenute e contributive). Ciò in quanto: a) esiste un obbligo legale inderogabile per il datore di lavoro - sostituto di imposta - di effettuare le ritenute fiscali sulle somme erogate al dirigente e tale obbligo deve essere necessariamente assolto nel rapporto azienda lavoratore senza alcuna rilevanza delle posizioni dei terzi; b) il dirigente aveva nella sua disponibilità solo somme nette e solo queste poteva aver legittimamente ceduto.
Il motivo è infondato. Deve infatti ritenersi corretta, in quanto conforme al disposto di cui all'art. 1263 cod. civ., l'affermazione del giudice del merito secondo cui il credito oggetto della cessione viene trasferito al cessionario con gli stessi caratteri, garanzie ed eccezioni che aveva al momento del trasferimento e quindi non muta la sua natura di credito di lavoro, al quale devono ritenersi applicabili tutti gli istituti legali e contrattuali e i criteri di accertamento e quantificazione valevoli per i crediti aventi la medesima natura.
Ed infatti, secondo quanto precisato da questa Corte di legittimità (Cass. 15 settembre 1999 n. 9823), in tema di cessione del credito, la previsione dell'art. 1263 cod. civ., comma 1 in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli "altri accessori", deve essere intesa nel senso che nell'oggetto della cessione rientri ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto ceduto, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione. Nello stesso senso cfr., altresì, Cass. 17 gennaio 2001 n. 575 secondo la quale, a seguito della cessione del credito, il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario.
Orbene, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (cfr., ad esempio, Cass. 1 luglio 2000 n. 8842) l'accertamento e la liquidazione in giudizio dei crediti pecuniari del lavoratore vanno effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive, in quanto le prime attengono al distinto rapporto di imposta e vanno eseguite in un momento successivo ed anche le seconde non possono essere considerate nell'ambito del giudizio di cognizione, poiché il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza. In senso conforme cfr. Cass. 26 luglio 1996 n. 6758.
La sentenza impugnata, nel calcolare il residuo credito azionabile dal Segantini (dopo la cessione di una parte di esso a favore di un soggetto terzo) ha correttamente considerato, in applicazione dei suddetti principi, l'importo oggetto della cessione come lordo e come tale lo ha sottratto all'importo lordo dovuto in virtù della sentenza del Tribunale di Milano in data 18 settembre 2007 (data di lettura del dispositivo). Tale criterio, che è corretto anche dal punto di vista logico in quanto opera la sottrazione fra importi di natura omogenea, non determina alcuna violazione delle norme invocate da parte ricorrente, in quanto esso attiene soltanto al criterio di determinazione delle somme dovute al lavoratore all'esito dell'avvenuta cessione parziale del credito, laddove le ritenute fiscali e previdenziali vengono effettuate solo al momento dell'effettivo pagamento delle stesse.
Quanto all'ulteriore argomento basato sull'interpretazione, da parte del Tribunale, dell'atto di cessione del credito, esso è inammissibile per vizio di autosufficienza non avendo parte ricorrente riprodotto nel motivo di ricorso il testo dell'atto stesso (cfr., ad esempio, Cass. 22 febbraio 2007 n. 4178; Cass. 6 febbraio 2007 n. 2560).
Col secondo motivo di ricorso la società denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 474 cod. proc. civ.. Deduce che la sentenza impugnata ha omesso di tener conto de fatto che il precetto azionato contiene somme al lordo delle ritenute previdenziali, laddove il titolo esecutivo deve essere azionato al netto di tali ritenute. Il motivo si conclude col seguente quesito di diritto: se costituisca violazione e/o falsa applicazione dell'art. 474 c.p.c. l'aver azionato un titolo esecutivo contenente somme al lordo delle ritenute previdenziali e fiscali quando grava sul lavoratore l'obbligo di dedurre tali ritenute dagli importi che questi ponga in esecuzione senza attendere che il datore di lavoro vi ottemperi. Il motivo è inammissibile.
Premesso che la sentenza impugnata è soggetta, ratione temporis, alla disciplina dell'art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l'illustrazione delle censure, concernenti la violazione e falsa applicazione di norme di diritto si conclude con la formulazione di un quesito di diritto che non è rispettoso della prescrizione dettata dal citato art. 366 bis.
Al riguardo è stato anche recentemente precisato (cfr. Cass. 14 gennaio 2011 n. 774; Cass., S.U. 25 novembre 2008 n. 28054; Cass. S.U, 9 luglio 2008 n. 18759) che il quesito di diritto, previsto dall'art. 366-bis cod. proc. civ. risulta ritualmente formulato quando, pur non essendo esposto in forma interrogativa, consenta di far comprendere dalla sua sola lettura quale sia l'errore di diritto assentamene compiuto dal giudice di merito e quale, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare. Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto alla prescrizione imposta dal citato art. 366 bis; ed infatti il quesito, formulato nei termini sopra riportati, non appare riconducibile nello schema previsto dalla legge atteso che la sua formulazione non indica in modo chiaro l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia.
Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.
In applicazione del criterio della soccombenza la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 100,00. oltre Euro 6000 (seimila) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 ottobre 2011. Depositato in Cancelleria il 5 gennaio 2012

 

Documento pubblicato su ForoEuropeo - il portale del giurista - www.foroeuropeo.it