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Cittadinanza

Cittadinanza - straniero che risulti membro attivo di un’associazione considerata vicina a un’organizzazione terroristica - il Ministero dell’interno respingeva la sua richiesta di cittadinanza ( Tar del Lazio nella sentenza 15899 del 7 giugno 2010)

Cittadinanza - straniero che risulti membro attivo di un’associazione considerata vicina a un’organizzazione terroristica - il Ministero dell’interno respingeva la sua richiesta di cittadinanza ( Tar del Lazio nella sentenza 15899 del 7 giugno 2010)

Tar del Lazio nella sentenza 15899 del 7 giugno 2010


per l'annullamento

del decreto del Ministero dell’Interno K 10/40768/R con il quale è stata nuovamente respinta la domanda del ricorrente prodotta in data 7/9/99, diretta ad ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 della L. 91/92, nonché di ogni altro atto presupposto, in particolare per quanto possa occorrere, della nota del Prefetto di Ancona n. “R” 22/500/B/SET04 del 22/9/04, citata nel provvedimento impugnato.

Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 maggio 2010 la dott. Stefania Santoleri e uditi per la parte ricorrente l’Avv. Celli su delega dell’Avv. Mancinelli e per la parte resistente l’Avv. dello Stato Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con istanza del 7/9/99 il ricorrente, cittadino iraniano, residente da molti anni in Italia, ha chiesto la concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della L. 91/92.

Con il decreto del 21/12/99 la sua domanda è stata respinta.

Avverso detto provvedimento il ricorrente ha proposto ricorso giurisdizionale dinanzi al T.A.R. Marche che, con sentenza n. 75/2003, lo ha accolto per difetto di motivazione.

L’Amministrazione dell’Interno ha quindi riesaminato la domanda del ricorrente, e con il provvedimento impugnato, l’ha nuovamente respinta.

Avverso quest’ultimo provvedimento il ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al T.A.R. Marche.

L’Avvocatura erariale ha proposto il regolamento di competenza, ed il Consiglio di Stato, con decisione n. 2885/06, ha dichiarato la competenza del T.A.R. Lazio.

Il ricorrente ha provveduto ad effettuare la rituale riassunzione del giudizio (come verificato dal Collegio in seguito all’ordinanza collegiale 68/2010 disposta in seguito allo smarrimento dei documenti contenuti del fascicolo d’ufficio), e con successiva ordinanza n. 331/2010, ha ordinato all’Amministrazione di depositare in giudizio la nota del Prefetto di Ancona del 22/9/04 ed il rapporto informativo della Questura di Ancona, documenti richiamati nel provvedimento impugnato ed integranti la motivazione del diniego di concessione della cittadinanza.

Detti atti sono stati depositati dall’Avvocatura erariale in data 14 aprile 2010 in esecuzione alla suddetta ordinanza.

Con atto notificato il 3/5/2010 e depositato il 7/5/2010 il ricorrente ha proposto motivi aggiunti.

L’Avvocatura erariale ha formalmente rinunciato ai termini a difesa ed ha consentito la trattazione della causa all’udienza di merito già fissata per il giorno 11 maggio 2010.

Avverso il decreto del Ministero dell’Interno del 2/2/05 K 10/40768/R, con il ricorso introduttivo il ricorrente ha dedotto il seguente motivo di impugnazione:

Eccesso di potere sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione.

Il provvedimento impugnato sarebbe del tutto carente di motivazione, non potendo costituire motivazione sufficiente il mero richiamo agli atti istruttori e alle risultanze contenute nel rapporto informativo della Questura di Ancona secondo cui “sarebbero emersi elementi tali da non far ritenere opportuna la concessione della cittadinanza”.

Detti atti non essendo stati resi noti, non potrebbero neppure integrare gli estremi della motivazione per relationem.

In seguito all’ordinanza istruttoria, l’Amministrazione ha depositato in giudizio i documenti riservati contenenti gli elementi in base ai quali è stata negata la concessione della cittadinanza.

Il ricorrente ha proposto motivi aggiunti avverso il provvedimento impugnato con i quali ha dedotto la seguente ulteriore censura:

Eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e carenza assoluta di motivazione. Eccesso di potere sotto l’ulteriore profilo dell’elusione della sentenza del T.A.R. Marche n. 75/2003.

Il parere della Prefettura di Ancona riprenderebbe il parere contrario reso dalla locale Questura, che a sua volta si riporterebbe al parere contrario già reso nel 1999.

In detto parere non emergerebbero comportamenti tali da incidere negativamente sulla valutazione della condotta del ricorrente ai fini della sicurezza dello Stato, limitandosi l’Amministrazione a rilevare che il ricorrente non nutrirebbe sentimenti di italianità.

L’Amministrazione non avrebbe tenuto conto che il ricorrente gode dello status di rifugiato e che avrebbe svolto attività di interprete presso il Tribunale di Ancona e presso la stessa Questura.

La condizione di “elemento di spicco della resistenza iraniana” non potrebbe costituire valido motivo per il diniego di concessione della cittadinanza, in quanto l’attività svolta sarebbe del tutto lecita, trattandosi di libera manifestazione del pensiero.

Infine, l’accostamento dell’Associazione Libertà e Democrazia per l’Iran con la MEK sarebbe del tutto sfornito di fondamento.

Il provvedimento sarebbe quindi viziato per difetto di motivazione come quello precedente già annullato dal T.A.R. Marche.

Insiste quindi il ricorrente per l’accoglimento del ricorso.

L’Amministrazione resistente si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

All’udienza pubblica dell’11 maggio 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Come meglio dedotto in punto di fatto, il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale il Ministro dell’Interno – Sottosegretario di Stato – gli ha negato la concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione.

Avverso detto provvedimento il ricorrente ha dedotto, in estrema sintesi, le censure di travisamento dei fatti e difetto di motivazione, oltre che di elusione della sentenza del T.A.R Marche n. 75/03 adottata in seguito all’impugnazione dell’originario diniego di concessione della cittadinanza italiana.

Ritiene il Collegio che il provvedimento sia immune dai vizi dedotti.

Come ha correttamente rilevato il Ministero dell’Interno nel provvedimento impugnato, il provvedimento di concessione della cittadinanza è atto altamente discrezionale ed è condizionato all’esistenza di un interesse pubblico che con l’atto stesso si intende raggiungere.

E’ opportuno ribadire, infatti, richiamando la giurisprudenza (cfr. T.A.R. Lazio Sez. I Ter 1246/09), che i presupposti prescritti dall’art.9 della legge n.91 del 1992 consentono solo di avanzare l’istanza di naturalizzazione, ma non comportano l’automatica concessione della cittadinanza, in quanto al conferimento dello status civitatis italiano è collegata una capacità giuridica speciale propria del cittadino cui è riconosciuta la pienezza dei diritti civili e politici: una capacità alla quale si ricollegano anche doveri che non è territorialmente limitata e cui sono speculari determinati obblighi di facere gravanti sullo Stato comunità (cfr. su tale principio, Cons.St. n.196 del 2005).

Dunque la concessione della cittadinanza italiana – lungi dal costituire per il richiedente una sorta di diritto che il Paese deve necessariamente e automaticamente riconoscergli ove riscontri la sussistenza di determinati requisiti e l'assenza di fattori ostativi – rappresenta il frutto di una meticolosa ponderazione di ogni elemento utile al fine di valutare la sussistenza di un concreto interesse pubblico ad accogliere stabilmente all'interno dello Stato comunità un nuovo componente e dell'attitudine dello stesso ad assumersene anche tutti i doveri ed oneri (cfr., sul principio ex multis, Cons.St. n.798 del 1999).

Ne consegue che la norma dell’art.9 c. 1, lett. f) della legge n.91 del 1992 deve essere intesa come indicativa di una fattispecie affidata a valutazioni ampiamente discrezionali che implicano un delicato bilanciamento di interessi fra l’aspirazione di un residente straniero ad essere pienamente integrato nella comunità nazionale, e l’interesse di quest’ultima ad accogliere come nuovi cittadini solo soggetti in grado di rispettarne le regole, ivi comprese quelle attinenti alla solidarietà sociale, nei termini previsti dalla Costituzione. La sintesi che può trarsi da tali principi è quella per cui l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale è legittimo allorquando l’amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità e sia detentore di uno status illesae dignitatis morale e civile, nonché di un serio sentimento di italianità che escluda interessi personali e speculativi sottostanti alla concessione dello status di cui trattasi: concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa.

Occorre inoltre considerare che la concessione della cittadinanza è irrevocabile, e che quindi l’Amministrazione, prima di poter concedere allo straniero lo status di cittadino, deve essere assolutamente certa che il richiedente sia pienamente integrato in Italia e sia compiutamente appartenente alla comunità nazionale, atteso che una volta che lo straniero è divenuto cittadino, non può più essere espulso o sottoposto a controlli ove ritenuto pericoloso, e i suoi atti possono avere anche ripercussioni nei rapporti internazionali, in quanto atti commessi da un cittadino italiano nei confronti di soggetti appartenenti a paesi terzi.

Pertanto anche il giudizio di pericolosità sociale è ancorato a parametri diversi a seconda se si tratti di uno straniero – passibile di espulsione – o di uno straniero ormai naturalizzato, il quale non può più essere espulso dall’Italia ove venga accertata successivamente la sua pericolosità.

In tale contesto valutativo, allora, non appare censurabile il giudizio negativo dell’amministrazione imperniato sul rapporto informativo reso dalla Questura di Ancona (e recepito nel parere negativo dalla Prefettura di Ancona) dal quale è emerso che il ricorrente – elemento di spicco della dissidenza iraniana è segretario dell’Associazione “Libertà e Democrazia per Iran”, associazione ritenuta vicina alla organizzazione MEK inserita nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.

Dagli atti di causa è emerso altresì che anche la D.I.G.O.S. della Questura di Roma – alla quale erano state richieste informazioni sulla persona del ricorrente in seguito alla presentazione della domanda di concessione della cittadinanza – aveva comunicato alla Questura di Ancona di aver svolto indagini sul ricorrente nell’ambito del procedimento penale relativo al gruppo terroristico MEK.

In sostanza, dagli atti istruttori, è emerso un giudizio negativo sulla condotta del ricorrente – avendo la Questura rilevato l’esistenza di contatti con associazioni terroristiche -, tale da comportare il rigetto dell’istanza per ragioni di pubblica sicurezza.

Il ricorrente ha dedotto l’erroneità delle valutazioni rese dalla Questura, sostenendo che l’accostamento dell’ “Associazione Libertà e Democrazia per l’Iran” all’organizzazione MEK sarebbe una mera elucubrazione dell’ufficio immigrazione, in quanto dalla sua condotta non sarebbe emerso nulla di antigiuridico; ha poi aggiunto che le associazioni di resistenza iraniana sarebbero state recentemente ricevute da alte cariche dello Stato e da parlamentari italiani.

Le affermazioni del ricorrente non sono contrassegnate da alcun principio di prova, ed anzi l’esistenza di contatti tra il ricorrente e l’organizzazione MEK (o con taluno dei suoi adepti) – come già ricordato - non emerge soltanto dalla relazione dell’ufficio immigrazione della Questura di Ancona, ma anche dalla nota della D.I.G.O.S. della Questura di Roma del 1/6/04 (depositata in giudizio dall’Avvocatura erariale in data 7/5/10), nella quale è chiaramente affermato che il ricorrente è stato oggetto di indagini nel procedimento penale relativo al gruppo terroristico MEK: ne deriva, quindi, che le affermazioni della Questura, necessariamente generiche tenuto conto della riservatezza dei dati, non appaiono palesemente destituite di fondamento, tenuto altresì conto della professionalità degli operatori di settore.

Ne consegue che il provvedimento si appalesa immune dai vizi denunciati, ed il ricorso deve essere pertanto respinto.

Quanto alle spese di lite, sussistono comunque giusti motivi per disporne la compensazione tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Seconda Quater

Respinge il ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2010 con l'intervento dei Magistrati: