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Ius aedificandi -  lesione  - risarcimento

Ius aedificandi -  lesione  - risarcimento

Ius aedificandi -   lesione  - risarcimento (Cassazione – Sezione I civile – sentenza 5 novembre 2002-10 gennaio 2003, n. 157 )

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 1° aprile 1996, VxxxxxxxxxxxGiorgio conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Firenze il Comune di Fiesole chiedendone la condanna al risarcimento del danno, derivatogli dall’adozione, in data 16 luglio 1971, di un piano regolatore, che aveva impedito illegittimamente - tanto da essere annullato dal Consiglio di Stato (sentenza sezione quarta, 24/1990) - la realizzazione della lottizzazione in località Tizzano-Fornaci, prevista da una convenzione stipulata dall’attore con il comune il 3 marzo 1964, in quanto destinava i relativi terreni a verde agricolo. Il danno allegato corrispondeva, nella misura di lire 56.350.000, alle spese incontrate per le opere di urbanizzazione, direttamente eseguite, ed alle spese di assistenza legale e tecnica che il mancato inserimento nella lottizzazione nel piano aveva reso vane, e nella misura di lire 317.250.000, alla mancata vendita dei lotti, resa impossibile dall’inopinato mutamento del regime urbanistico della proprietà: comprensivo di rivalutazione monetaria il danno ammontava, al momento della domanda, a lire 5.619.000.000.

Si costituiva in giudizio il Comune di Fiesole, che eccepiva il difetto assoluto di giurisdizione, e nel merito contestava il fondamento della domanda, di cui chiedeva il rigetto: una variante del 1984 aveva classificato la proprietà del Vxxxxxxxxxxxin parte come zona boscata, in parte come zona agricola, ed in parte come zona coltivata di particolare valore ambientale e paesaggistico. Poco dopo la pronuncia di annullamento, per difetto di motivazione, del piano regolatore del 1971 (approvato nel 1974), era intervenuta delibera consiliare (184/90) che aveva riadottato, con puntuale motivazione, il piano regolatore. L’inedificabilità della zona era confermata anche da altri atti (inserimento nella perimetrazione delle aree protette; piano strutturale adottato nel 1998 e approvato nel 1999). Il Consiglio di Stato (sezione quarta, 800/95), tornato ad occuparsi della vicenda in sede di ottemperanza, affermava che l’annullamento, per difetto di motivazione, non impediva la rinnovazione dell’atto, immune dal vizio, al che il comune aveva provveduto con delibera 184/90, da intendersi come adempimento al precedente giudicato. In subordine il convenuto eccepiva la prescrizione di ogni diritto di controparte.

Nel corso del giudizio di primo grado il comune provvedeva ad investire del caso la Suprema Corte di Cassazione con ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, deducendo l’improponibilità della domanda di risarcimento per difetto assoluto di giurisdizione, siccome relativa alla lesione di interessi legittimi. Con la sentenza 500/99 le Sezioni unite dichiaravano il ricorso inammissibile: premesso di voler abbandonare il consolidato principio giurisprudenziale dell’irrisarcibilità della lesione di interessi legittimi, rilevavano che la domanda mirava alla soddisfazione di un diritto, quello al risarcimento del danno, garantito da una norma primaria. e indiscutibilmente attribuito alla giurisdizione ordinaria, onde era da escludere che nella fattispecie fosse configurabile questione di giurisdizione, datosi che l’accertamento sull’effettiva esistenza di un interesse tutelato, atteneva al merito.

Con sentenza 28 febbraio 2000, il Tribunale di Firenze. in accoglimento della domanda condannava il Comune di Fiesole a pagare a VxxxxxxxxxxxGiorgio, a titolo di risarcimento, la somma di lire 526.272.730, oltre rivalutazione ed interessi dal luglio 1971 alla pubblicazione della sentenza.

Con sentenza depositata il 29 maggio 2001, la Corte d’appello di Firenze accoglieva il gravame proposto dall’amministrazione, e perveniva al rigetto della domanda introduttiva. Il giudice di secondo grado svolgeva un’articolata premessa in ordine ai presupposti su  cui intendeva fondare la propria decisione.

La sentenza 500/99/Su - ad avviso dei giudici fiorentini - fa stato nel giudizio in ordine all’attribuzione della giurisdizione al giudice ordinario, e inoltre sulla qualificazione della situazione giuridica che ne ha dato luogo. È inoltre da condividere la scelta di abbandonare il principio tradizionale dell’irrisarcibilità della lesione di interessi legittimi, e di attribuire all’articolo 2043 Cc il rango di norma primaria, in virtù della quale è risarcibile il danno che presenti i caratteri dell’ingiustizia, in quanto lesivo di interessi cui l’ordinamento attribuisca rilevanza. L’interesse legittimo non è situazione meramente processuale, ma va inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione al bene della vita interessato da un provvedimento amministrativo, e consiste nell’attribuzione dei mezzi idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione dell’ interesse al bene: e se anche l’interesse legittimo esprime un tipo di protezione caratterizzato dalla recedibilità rispetto all’eventuale corretto esercizio del potere pubblico incidente sul bene, si configura il diritto al risarcimento qualora la condotta antigiuridica dell’amministrazione abbia cagionato un danno al titolare dell’interesse legittimo.

La tutela risarcitoria è autonoma rispetto a quella costituita dal giudizio di annullamento, considerato che il criterio di imputazione della responsabilità non è riducibile alla semplice illegittimità del provvedimento, ma va esteso all’accertamento della colpa dell’azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto, e che il giudice ordinario ben potrà compiere questa verifica indipendentemente dall’accertamento dell’illegittimità dell’azione amministrativa da parte del giudice amministrativo. Inoltre, per conseguire il risarcimento, non è sufficiente la mera lesione dell’interesse legittimo, dovendo verificarsi la lesione, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della pubblica amministrazione, all’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e la tutela di tale interesse alla luce dell’ordinamento positivo: mentre nel caso di interessi oppositivi il danno ingiusto è ravvisabile nel sacrificio, conseguente all’illegittimo uso del potere, dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio, circa gli interessi pretensivi occorre vagliare la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del soggetto. Va compiuto un giudizio prognostico, da condurre con riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno dell’istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, cioè di una situazione che secondo la disciplina applicabile era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta.

Poste tali premesse, la Corte d’appello negava che nella fattispecie ricorressero i caratteri del danno risarcibile, e accoglieva l’appello, sotto il profilo dell’assenza del danno ingiusto e del nesso causale tra la condotta dell’amministrazione ed il pregiudizio allegato, considerando assorbiti ulteriori motivi dell’appello principale e dell’appello incidentale.

L’illegittimità del piano regolatore adottato dal Comune di Fiesole nel 1971 era stata dichiarata dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato; è vero che l’eventuale qualificazione dello stesso in termini di illiceità ne comporterebbe la valutazione in termini di colpa, posto che l’obbligo nella specie contravvenuto dall’amministrazione, quello della motivazione, è imposto da una norma che traduce in regula iuris una norma di prudenza; l’atto illegittimo non può però essere definito illecito, non potendo considerarti emesso in carenza dei presupposti di fatto e di diritto che condizionano l’esercizio della potestà pianificatoria.

L’adozione del piano regolatore del 1971, da parte del Comune di Fiesole, non presenta profili di illegittimità sostanziale, e quindi di illiceità, tanto che, successivamente al suo annullamento per motivi formali (carenza di motivazione) il consiglio comunale di quella città, nel 1996, dopo l’annullamento giurisdizionale, ebbe a riadottare ora per allora lo stesso piano, con motivazione puntuale e pertinente in adempimento al giudicato (come riconosciuto da Consiglio di Stato, sezione quarta, 800/95). Manca di conseguenza il rapporto di causalità tra la condotta esplicata con l’atto amministrativo del 1971 ed il pregiudizio lamentato dal proprietario, posto che il rischio di non poter soddisfare l’interesse all’edificazione sarebbe stato identico anche nell’ipotesi in cui il comune non avesse contravvenuto all’obbligo che impone la motivazione degli atti amministrativi, e la responsabilità è esclusa quando il danno non è realizzazione di quel rischio che rende illecita la condotta. Del resto l’articolo 2043 Cc pone l’accento sull’ingiustizia del danno, e non sull’illiceità della condotta, dovendosi così intendere che la norma violata deve essere, affinché vi sia danno risarcibile, quella che protegge l’interesse leso, e non quella che prescrive una determinata condotta. In altre parole, quando risulta che l’interesse del privato sarebbe stato ugualmente sacrificato, pur se le regole fossero state rispettate, non vi è spazio per il danno risarcibile ex articolo 2043 Cc; tra l’altro, con riguardo al caso concreto, la violazione della norma di protezione dell’interesse privato avrebbe dovuto esser mediata,dalla violazione della norma istitutiva della stessa potestà, e non, semplicemente, dalla violazione della norma che ne regola il modo di esercizio. Sotto altro profilo, il proprietario non avrebbe avuto alcuna chance di soddisfare il proprio interesse protetto, anche se nel 1971 il comune avesse rispettato le regole del caso.

Le spese sostenute in previsione della lottizzazione mancata sono divenute inutili in virtù di un legittimo atto di esercizio di una potestà amministrativa e dunque di un comportamento legittimo dell’amministrazione, e tale possibilità era immanente al momento del compimento delle opere, con volontaria accettazione di tale rischio, per non parlare del carattere abusivo di tali opere, per difetto delle necessarie autorizzazioni.

Ricorre per cassazione VxxxxxxxxxxxGiorgio affidandosi a sei motivi, al cui accoglimento si oppone con controricorso il Comune di Fiesole, che a sua volta propone ricorso incidentale condizionato, fondato su sette motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie, ed il Vxxxxxxxxxxxanche note di udienza.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente disporsi la riunione dei procedimenti ai sensi dell’articolo 335 Cpc, avendo essi ad oggetto ricorsi avverso la stessa sentenza.

Con il primo motivo di ricorso, VxxxxxxxxxxxGiorgio, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 382 e 386 Cpc, censura la sentenza impugnata per aver considerato che la pronuncia emessa dalle Sezioni unite facesse stato, oltre che sulla giurisdizione, anche sulla qualificazione della situazione giuridica azionata dall’attore.

Con il secondo motivo di ricorso, VxxxxxxxxxxxGiorgio, denunciando violazione e falsa applicazione dei principi generali di diritto, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto l’assenza dei rapporto di causalità, ignorando che tra le parti era intervenuta una convenzione di lottizzazione che le obbligava a rispettare gli obblighi da essa scaturenti, tanto che egli aveva dato spontaneamente esecuzione alle opere di urbanizzazione e alla sistemazione dei lotti, con ingenti spese: dalla convenzione nasceva dunque un diritto per il ricorrente, o almeno un interesse legittimo di tipo oppositivo, con ampliamento della sfera giuridica soggetti va, che secondo la tipologia sistematica inquadrata dalle Sezioni unite  determinava un interesse alla conservazione di una posizione acquisita, non già la pretesa di un ulteriore provvedimento per le opere di urbanizzazione, di cui il proprietario non aveva bisogno. L’adozione del nuovo piano regolatore, nel 1971, ha impedito la realizzazione della lottizzazione nel termine previsto, vanificando le spese fatte e gli accordi presi dal ricorrente per la vendita dei lotti nel periodo di vigenza della lottizzazione, e cagionando un danno consistente nella soppressione della potenzialità edificatoria del terreno, con il sicuro incremento patrimoniale che ne sarebbe conseguito. Sotto altro profilo, la condotta lesiva del comune è stata illegittima, come dichiarato dal giudice amministrativo con sentenza passata in giudicato, e gli atti successivi del comune - debitamente impugnati dal Vxxxxxxxxxxxnon hanno ottemperato all’obbligo di comparare l’interesse pubblico al sacrificio imposto al privato.

Con il terzo motivo il ricorrente principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 112 Cpc, 1123, 2043, 2056 Cc, delle norme in materia di efficacia nel tempo delle convenzioni di lottizzazione e dei piani regolatori, nonché motivazione contraddittoria e insufficiente, censura la sentenza impugnata per aver argomentato circa l’identità del rischio di non veder soddisfatto il proprio interesse ad edificare anche se il comune avesse correttamente motivato: in primo luogo il giudice avrebbe pronunciando oltre i limiti della domanda, poiché l’interesse leso non era quello all’edificazione, che avrebbe richiesto il conseguimento di ulteriori provvedimenti abilitativi, ma quello a conservare l’edificabilità, ovvero la qualità del suolo impresso dalla convenzione, che ne permetteva la vendita a terzi, con un controvalore maggiore rispetto ad una valutazione in termini di non edificabilità. La qualità edificatoria rendeva utili le spese fatte e acquisibile al patrimonio il plusvalore rispetto alla qualità agricola, elementi che si pongono come danno emergente e lucro cessante in relazione diretta ed immediata con l’atto illegittimo ed illecito del comune; in secondo luogo la persistenza del potere pubblicistico di pianificazione non esclude che l’amministrazione debba comunque rispondere delle conseguenze del relativo esercizio, come si desume dall’articolo 11, comma 4, legge 241/90, che riconosce un indennizzo per il recesso unilaterale dell’amministrazione dall’accordo integrativo o sostitutivo di provvedimento, e dunque a maggior ragione (e con diritto a una piena reintegrazione del pregiudizio subito) ove tale esercizio sia, come nella specie, illecito; e ulteriormente, l’aver ritenuto l’atto amministrativo indenne da profili di illegittimità sostanziale è contrario ad una corretta qualificazione, del vizio di motivazione, posto che per la validità del provvedimento, al fine di consentire correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa, è necessario che l’amministrazione dia conto in modo puntuale e dettagliato del sacrifico imposto al privato, specialmente quando si tratti di variare il regime urbanistico di un’area in base a sopravvenute ragioni d’interesse pubblico, e tale giudizio non può essere reso in via postuma e suppletiva dal giudice; la riadozione dell’atto viziato, nel 1990, cozza con il principio che i piani urbanistici non possono essere retroattivi, tanto che in alcuni casi si rende necessaria l’applicazione di misure di salvaguardia (mentre l’annullamento giurisdizionale dell’atto è retroattivo); l’ingiustizia del danno deriva dalla violazione della norma che protegge l’interesse leso, perché l’obbligo di motivaz1one è posto proprio a tutela dei diritti nascenti dalla convenzione, e scatta al momento in cui lo ius variandi è effettivamente esercitato; nell’ipotesi di atto legittimo, al contrario di quanto sostenuto dal giudice di merito, il Vxxxxxxxxxxxavrebbe avuto tutte le chances a veder soddisfatto il proprio interesse, che era quello alla conservazione di una posizione di vantaggio, quella inerente alla qualità del suolo, che era già acquisita alla propria sfera giuridica.

Sotto il profilo del danno, le spese di cui è richiesto il rimborso sono con certezza provate in causa, poiché le opere di urbanizzazione vennero compiute in costanza di convenzione, prima del 1971, né può sostenersene l’abusività, essendo comprese nel piano di lottizzazione approvato dalle autorità, avendo ricevuto l’approvazione di Soprintendenza e provveditorato alle opere pubbliche, e non configurandosi un autonomo obbligo di licenza edilizia comunale per realizzarle.

Con il quarto motivo di ricorso, il Vitali, denunciando ulteriore violazione e falsa applicazione dei principi generali di diritto, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto la riadozione del piano regolatore annullato, come esatto adempimento al giudicato, posto che tale qualifica esula dall’efficacia di una sentenza emessa a conclusione di giudizio di ottemperanza (come fu Consiglio di Stato, sezione quarta, 800/95), costituendo eventualmente oggetto di sindacato giurisdizionale in sede di cognizione ordinaria (ed in effetti oggetto di giudizio amministrativo, tuttora pendente, introdotto dal Vitali). Peraltro l’atto di riadozione non fu mai stato trasmesso alla regione per l’approvazione, onde ne dovrebbe esser dedotta la giuridica inesistenza, e questa circostanza che constava alla corte d’appello.

Con il quinto motivo, il ricorrente in via principale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 276, 359 Cpc e 132 disp. att. Cpc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, censura la sentenza impugnata per aver ritenuta assorbita la questione, autonomamente azionata dal Vxxxxxxxxxxxcon appello incidentale, circa la qualificabilità della sua pretesa al risarcimento per l’inadempimento perpetrato dal comune con l’illegittimo piano regolatore del 1971, come diritto soggettivo, scaturente dalla convenzione di lottizzazione, dalla quale scaturiscono veri e propri obblighi contrattuali.

Con il sesto motivo di ricorso, denunciandosi omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto assorbita la questione, autonomamente azionata dal Vxxxxxxxxxxxcon appello incidentale, sulla connotazione della posizione giuridica soggettiva dei Vxxxxxxxxxxxa fronte dell’inadempimento del comune alla convenzione di lottizzazione, che era comunque di diritto soggettivo, fruente di una tutela più pregnante rispetto all’interesse legittimo, e per non aver compiuto una comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato, posto che la stessa corte d’appello non considera vincolata la scelta del comune di destinare a verde la collina di cui fa parte la proprietà del ricorrente.

In ordine alle spese del giudizio, il Vxxxxxxxxxxxne lamentava l’erronea imputazione integralmente a carico della vittima dell’illecito amministrativo, con liquidazione per l’intero senza specificazione delle voci degli onorari e degli scaglioni, senza tener conto della novità delle questioni trattate.

In conclusione il Vxxxxxxxxxxxchiede anche a questa Corte di decidere nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti.

Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Comune di Fiesole, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 Cc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, censura la sentenza impugnata per aver erroneamente ritenuto di seguire il nuovo orientamento giurisprudenziale inaugurato da Cassazione 500/99/Se, mentre la soluzione corretta è quella, seguita da una giurisprudenza secolare, della non risarcibilità della lesione di interessi legittimi (ma solo dei diritti soggettivi perfetti), potendo il principio opposto essere affermato solo da un intervento del legislatore a modifica dell’articolo 2043 Cc.

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il Comune di Fiesole, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 Cc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, censura la sentenza impugnata per aver stabilito, sia pure in termini ipotetici, un collegamento automatico tra illicèità dell’ atto amministrativo per vizio di motivazione, ed esistenza della colpa, occorrendo viceversa, come insegna Cassazione 500/99/Se, che sia accertata la violazione delle regole di imparzialità, correttezza, buona amministrazione, tanto più che lo stesso Consiglio dì Stato, nella sentenza di annullamento, ha ammesso che il piano regolatore del 1971 indicava pur sempre le linee generali della nuova impostazione urbanistica, pur senza considerare specificamente la lottizzazione Vitali, il che esclude l’esistenza della colpa, qualificando in termini di mera forma il vizio dell’atto amministrativo. La modifica del regime urbanistico dell’area era anzi doveroso, al fine di tutelare il patrimonio storico, culturale e ambientale del territorio fiesolano - sulla zona comprendente la proprietà Vxxxxxxxxxxxgravava vincolo paesaggistico e, in un’altra sua parte, vincolo archeologico -, e creare un parco territoriale, in un disegno complessivo di tutela e valorizzazione del territorio, che la regione accentuò in sede di approvazione del piano, con il risultato di classificare come zona agricola la quasi totalità del territorio comunale, sottraendola ad ogni possibilità di ulteriore edificazione.

Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043, 1227 e 2056 Cc, dell’articolo 7 legge 1150/42, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, censura la sentenza impugnata per aver ignorato, sempre sotto il profilo della colpa, la responsabilità quanto meno concorrente del Vxxxxxxxxxxxche, astenutosi fino al 1971 dall’attuare la lottizzazione del 1964, senza chiedere licenze né per le costruzioni private, né per le opere di urbanizzazione, perseverò nell’inerzia fino al 1974, data di scadenza della convenzione. Inoltre, essendo il piano urbanistico atto complesso ineguale, in cui è la regione (originariamente lo Stato) ad approvare lo strumento inserendovi possibili modifiche, a rispondere del danno doveva esser chiamata la regione a titolo di corresponsabilità

Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 2043 Cc e dei principi generali in materia di attività edilizia e urbanistica e di posizioni soggettive private, degli articoli 7, 8, 9, 10, 11, 28, 31 legge 1150/42, e degli articoli 1 e 4 legge 10/1977, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo; censura la sentenza impugnata nella parte in cui pur non riconoscendo un danno risarcibile, non ha escluso radicalmente l’esistenza del danno, posto che il Vxxxxxxxxxxxnon ha mai conseguito lo ius aedificandi, che costituisce il bene della vita cui aspira il privato a fronte della potestà pianificatoria comunale: la convenzione di lottizzazione non procura alcuno ius aedificandi, dando vita unicamente ad un interesse legittimo, che di per sé non dà incrementi particolari. In conclusione il nuovo piano regolatore del 1971 non ha privato il proprietario dello ius aedificandi, per il semplice fatto che egli ne era privo.

Con il quinto motivo, il ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dell’articolo 31 legge 1150/42, dell’articolo 10 legge 765/67, degli articoli 1 e 9 lettera f) legge 10/1977, dell’articolo 3 legge regionale Toscana 52/1999, degli articoli 1362 e seguenti Cc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, censura la sentenza impugnata per non aver accertato la completa abusività delle opere di urbanizzazione realizzate dal Vitali, non solo per difetto di specifico nulla osta dell’autorità preposta alla tutela del paesaggio, ma soprattutto per mancanza di licenza edilizia, necessaria per ogni tipo di trasformazione del territorio, come si ricava dalle disposizioni normative e dal testo della convenzione di lottizzazione.

La pretesa del ricorrente principale alla decisione nel merito da parte di questa suprema Corte è opposta dal controricorrente, non essendovene le condizioni, per non esser state decise dal giudice di merito - in quanto assorbite - numerose questioni, quali la prescrizione del diritto, e la determinazione del quantum.

Da tali questioni, pur se necessariamente oggetto dell’eventuale giudizio di rinvio, il Comune di Fiesole sviluppa comunque due ulteriori motivi di ricorso incidentale.

Con il sesto motivo, dunque, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2646 e 2647 Cc, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, ribadisce la propria eccezione di prescrizione proposta nel giudizio di merito, comunque si qualifichi il titolo di responsabilità ascrittogli, se extracontrattuale o contrattuale, dovendosi localizzare il dies a quo alla data di adozione o quanto meno di approvazione del piano regolatore.

Con il settimo motivo, il ricorrente incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 2056 e 1223 Cc, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi, assume la mancata realizzazione delle opere di urbanizzazione a tutto il 1971; contesta che alla villa del Vxxxxxxxxxxxpossa essere imputato solo 1/31 di tali spese; che tra le opere di urbanizzazione possano comprendersi infrastrutture concepite, al solo servizio della villa Vitali, o non rientrati nelle tipologie fissate dalla legge o non previste dalla convenzione; che possa essere riconosciuto il rimborso di opere abusive; che le prove su tali fatti non sono attendibili; che non possono essere computate come danno emergente le spese tecniche e legali; che l’importo preteso a titolo di lucro cessante, pari a lire 450.000.000, mantenendone la proprietà, non potrebbe essere percepito perché essendo commisurato al valore dei terreni urbanizzati e promessi in vendita, il Vxxxxxxxxxxxne avrebbe persa la proprietà; che non può allegarsi un lucro cessante, non avendo il piano regolatore del 1971 inciso sullo ius aedificandi, ma su un interesse legittimo, e quindi mancando il requisito di conseguenza immediata e diretta del danno dal fatto contestato; che è inammissibile la prova per testi sull’avvenuta stipula di contratto preliminare di vendita di beni immobili; che comunque le prove testimoniali assunte dal tribunale non hanno fornito la prova dell’assunto; che il danno, anche agli effetti delle prestazioni accessorie, andrebbe localizzato al 1974; che gli interessi non sono provati.

Sulla eccezione di inammissibilità del ricorso principale, per cui la risarcibilità del danno sarebbe stata esclusa in una logica di merito degli elementi di convincimento utilizzati dal giudice d’appello, questo collegio, viceversa, ravvisa nel decisum della pronuncia impugnata l’applicazione di principi di esclusiva rilevanza giuridica, inerenti la nozione stessa di interesse legittimo, e la problematica della sua protezione nel quadro, delineato da Cassazione 500/99/Su, della responsabilità aquiliana.

Il primo motivo del ricorso principale è inammissibile: sul punto, manca l’interesse del ricorrente all’impugnazione.

In primo luogo, la doglianza non può essere rivolta contro una decisione cui il ricorrente voglia attribuire un contenuto diverso da quello effettivamente corrispondente alla ratio decidendi (cfr. Cassazione 1075/95). Il ricorrente assume che il giudice di merito avrebbe recepito la qualificazione della propria situazione giuridica soggettiva, operata dalle Sezioni unite in sede di decisione sul regolamento: da questa constatazione, tuttavia, il Vxxxxxxxxxxxnon deduce un vizio - o almeno non sviluppa adeguatamente il motivo di doglianza  che sotto il profilo della consequenzialità logica sia stato tale da indurre al disconoscimento delle proprie ragioni.

La corte d’appello dichiara vincolante la pronuncia delle Sezioni unite, intervenuta come vicenda processuale incidentale, sotto il profilo della giurisdizione ed, effettivamente, della qualificazione giuridica della situazione fatta valere: ma ciò sulla premessa, esplicitamente indicata mediante il richiamo alla sentenza 500/99/Su, di una prospettazione di un diritto, quello al risarcimento del danno, che è cosa diversa dalla posizione di vantaggio eventualmente riconosciuta dall’ordinamento come aspirazione a un bene della vita, e la cui lesione venga dedotta a sostegno dei diritto al risarcimento.

Il senso dell’affermazione della corte d’appello, sul carattere vincolante della statuizione circa la situazione giuridica azionata, va relazionato, in linea con la tecnica di regolamento della giurisdizione impiegato dalle Sezioni unite, unicamente alla domanda di risarcimento del danno, non anche alla qualificazione giuridica della aspirazione qualificata ad un determinato bene della vita, che è per definizione oggetto del giudizio di merito.

Il motivo di ricorso incorre nell’equivoco di attribuire ad un decisum tipicamente processuale, quale quello reso dalla corte regolatrice, e all’applicazione resane dalla corte d’appello, una valenza sostanziale che il ricorrente mostra di recepire secondo la tradizionale metodica di riparto, basata sul criterio del petitum sostanziale. In realtà, il fondamentale novum espresso da Cassazione 500/99/Su, è che ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana, non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata soltanto in relazione all’ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante.

La pronuncia di inammissibilità del regolamento, ove la domanda mirasse al risarcimento per la lesione di una posizione sostanziale definibile come interesse legittimo, fu adottata, prima ancora che le Sezioni unite ne ipotizzassero una tutela risarcitoria, con una serie di pronunce che mossero dalla constatazione che sede naturale di cognizione per ogni domanda di risarcimento, anche nei confronti della pubblica amministrazione, è il giudice ,ordinario (tra le altre, Cassazione 3183/89; 868/91; 367/92; 6667/92; 66/1993; 8836/94; 5477/95; 10453/97; 1096/98; 11575/98; 12201/98; 1 marzo 2000, 50/Su), e che l’applicazione del principio dell’irrisarcibilità della lesione di interesse legittimo dà luogo alla reiezione della domanda nel merito, per difetto di danno risarcibile (Cassazione 3183/89; 2667/93; 3732/94). La tecnica delle decisioni regolatrici della giurisdizione rivela l’intuizione per cui la discriminazione tra danno risarcibile o meno, è basata non sulla qualificazione, nella fattispecie concreta, della situazione giuridica soggettiva, ma sulla constatazione che si lamenta l’esistenza di un pregiudizio di una qualsiasi situazione soggettiva giuridicamente rilevante, da verificare secondo i parametri dell’articolo 2043 Cc.

Con Cassazione 500/99/Su la domanda risarcitoria, quale elemento radicante la giurisdizione, è definitivamente scissa dalla posizione sostanziale la cui lesione, come fonte di danno ingiusto, ha determinato, il ricorso al giudice.

La pronuncia sul regolamento preventivo è vincolante in merito all’attribuzione della giurisdizione, non anche sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva di cui si lamenti la lesione, dovendosi ora intendere il decisum delle Sezioni unite, semplicemente, quale riscontro della pretesa risarcitoria fatta valere in giudizio, e spettando al giudice di merito, ai fini della verifica dei presupposti del danno ingiusto la valutazione della consistenza della posizione di cui si lamenta il vulnus, se di diritto soggettivo o di altro interesse comunque riconosciuto dall’ordinamento (cfr. Cassazione 5125/02). Va ora esaminato, in via di priorità logica, il terzo motivo del ricorso principale, nella parte attinente all’analisi dei profili di illegittimità, dell’atto da cui il ricorrente inferisce la lesione del proprio interesse. Si tratta infatti di individuare preliminarmente un modello sistematico di valutazione dell’interesse protetto, cui rapportare la correttezza dell’azione amministrativa, che non necessariamente deve coincidere con la metodologia utilizzata dalla Corte d’appello di Firenze in applicazione dei criteri prospettati dalle Sezioni unite. La problematica precede logicamente l’applicazione pratica di quei criteri, in particolare riguardo alla diversa valutazione delle lesioni concepibili per i diversi tipi di interesse legittimo: ciò é oggetto del secondo motivo, oltre che della restante parte del terzo motivo, nel quadro di una complessa esposizione delle doglianze in ricorso, caratterizzata da frequenti sovrapposizioni e reiterazioni.

I consensi espressi in dottrina, in merito alla portata innovativa di Cassazione 500/99/Su, che avrebbe aperto una breccia “nel muro di sbarramento” del, “pietrificato” dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi, non possono, nella ricostruzione, ancora in divenire, della disciplina, far ignorare le critiche ad alcuni punti rimasti irrisolti nelle affermazioni, necessariamente di principio, della pronuncia delle Sezioni unite, o far trascurare alcuni spunti utili alla soluzione delle varie questioni che inevitabilmente si pongono in sede applicativa date le complessità, le contraddittorietà, che da sempre caratterizzano il dibattito sulla definizione della figura dell’interesse legittimo.

L’accento posto dal giudice di merito sulla non realizzabilità, nella sostanza, del bene della vita riconoscibile in capo al proprietario lottizzante (identificato nello ius aedificandi), testimonia, in coerenza alla “raccomandazione” delle Sezioni unite, la cura riservata alla verifica prima dell’esistenza, poi dell’avvenuta lesione, del bene della vita cui l’interesse legittimo si correla, che poi è l’interesse effettivo che l’ordinamento intenderebbe proteggere.

Da qui la doglianza del ricorrente, circa un fraintendimento del giudicante nel metodo di indagine sui requisiti del danno ingiusto, orientato alla ricerca della lesione sostanziale, piuttosto che a sottolineare l’evidenza del vizio inficiante la validità del provvedimento lesivo, adottato in contrasto con i doveri di correttezza e trasparenza dell’azione amministrativa: argomentazione che viene ripresa nel sesto motivo del ricorso principale, denunciante l’inadempimento dell’amministrazione ai doveri di comportamento, a fronte dei quali sarebbe configurabile, secondo il ricorrente, un diritto soggettivo. La perplessità in ordine alla ricostruzione della fattispecie risarcitoria compiuta dal giudice fiorentino, potrebbe essere in teoria condivisa, sotto il profilo della correttezza nell’individuazione degli elementi caratterizzanti la fattispecie dell’illecito.

Nel pensiero delle Sezioni unite la lesione dell’interesse legittimo è sì, condizione necessaria, ma non è anche condizione sufficiente per attingere la tutela risarcitoria, occorrendo che risulti leso anche l’interesse al bene della vita cui il primo si correla, e che questo risulti meritevole di tutela.

Sicché il tutto potrebbe ridursi nell’individuazione dell’interesse tutelato a un bene della vita: la regola operativa finirebbe per costituire una pesante ipoteca non tanto nella considerazione degli interessi cosiddetti oppositivi, nei quali ricorre una posizione di vantaggio già consolidata (e quindi di per sé, già meritevole di tutela) e dall’amministrazione, quanto per gli interessi cosiddetti illegittimamente rimossa dall’amministrazione, quanto per gli interessi cosiddetti “pretesivi”, in cui l’aspettativa al conseguimento del bene della vita é oggetto di un giudizio prognostico da parte del giudice.

Il, riscontro sul fronte sostanziale della situazione giuridica soggettiva é imposto dalla preoccupazione - di cui appaiono interpreti anche le Sezioni unite circa un dilagare delle pretese risarcitorie nei rapporti con i pubblici poteri, che determina l’impegno alla tessitura di una “rete di contenimento” dell’area di responsabilità della pubblica amministrazione. Sicché resterebbero irrisarcibili i danni cagionati da meri vizi formali o procedurali dell’attività provvedimentale.

Si è dubitato che il decalogo per il giudice di merito, dettato da Cassazione 500/99/Su, recepisca la vera essenza dell’interesse legittimo: si è sottolineata in generale, ed in via di comparativa differenziazione con la situazione di diritto soggettivo, la fondamentale attinenza dell’interesse legittimo al procedimento amministrativo. La tesi della Suprema Corte condurrebbe, in sostanza, a riconoscere la risarcibilità degli interessi pretensivi solo nelle rare ipotesi in cui l’attività dell’ amministrazione risulti vincolata, avvalorando la considerazione secondo cui, allora, dare considerazione a nuove posizioni d’interesse ad altro non avrebbe portato se non ad allargare il novero delle posizioni di diritto soggettivo  le sole tutelabili in via risarcitoria secondo la tradizionale concezione del danno ingiusto rimanendo ferma, per una sorta di idiosincrasia, l’irrisarcibilità della lesione degli interessi legittimi.

Nel dibattito sull’eterno problema del risarcimento da lesione interesso legittimo s’insinua probabilmente oggi, a differenza che in passato, il disagio di misurare il contatto dei pubblici poteri con il cittadino secondo i canoni del principio di autorità, della presunzione di legittimità dell’atto amministrativo, e in definitiva emerge l’inadeguatezza del paradigma della responsabilità aquiliana.

La, trasformazione in senso aziendalistico dell’apparato burocratico, imposta dalla necessità che nel generalizzato prevalere degli interessi economici l’ordinamento debba diventare efficiente e competitivo, connota un sistema amministrativo che si avvale in misura sempre maggiore di soggetti privati (nella gestione dei pubblici servizi, nella realizzazione dei programmi urbanistici), che utilizza prevalentemente i più agili strumenti del diritto privato, e che nella realizzazione dei principi dell’ordinamento democratico si avvale della partecipazione “funzionale” del destinatario dell’atto.

Con la legge 241/90 i principi di efficienza e di economicità dell’azione amministrativa, e insieme di partecipazione del privato al procedimento amministrativo, sono diventati criteri giuridici positivi. La nuova concezione dell’attività amministrativa non può non avere riflessi sull’impostazione del problema della responsabilità della pubblica amministrazione.

Il modello della responsabilità aquiliana appare il più congeniale al principio di autorità, laddove la violazione del diritto soggettivo si verifica in presenza di un’attività materiale (comportamento senza potere dell’amministrazione) che abbia leso l’interesse al bene della vita di un qualsiasi soggetto, al di fuori di un rapporto. Ne è corollario l’irrisarcibilità dell’interesse legittimo, nella misura in cui la coincidenza dell’interesse privato con l’interesse pubblico è un mero accidente, che non infirma la preponderanza di questo su quello.

Il contatto del cittadino con l’amministrazione è oggi caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato.

Dall’inizio del procedimento l’interessato, non più semplice destinatario passivo dell’azione amministrativa, diviene il beneficiario di obblighi che la stessa sentenza 500/99/Su identifica nelle «regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali l’esercizio della funzione pubblica deve ispirarsi e che il giudice ordinario può valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla discrezionalità».

Tali interessi, di partecipare al procedimento, di vederlo concluso tempestivamente e senza aggravamenti, di poter accedere ai documenti in possesso dell’amministrazione, di vedere prese in esame le osservazioni presentate, di veder motivata la decisione che vanifica l’aspettativa, costituirebbero, secondo una lettura estrema, veri e propri diritti soggettivi, tutelati in quanto tali, e non situazioni strumentali alla soddisfazione di un interesse materiale che verrebbe quindi protetto sub specie di interesse legittimo.

Di sicuro, l’interesse al rispetto di queste regole, che costituisce la vera essenza dell’interesse legittimo, assume un carattere del tutto autonomo rispetto all’interesse al bene della vita: l’interesse legittimo si riferisce a fatti procedimentali. Questi a loro volta investono il bene della vita, che resta però ai margini, come punto di riferimento storico.

Il fenomeno, tradizionalmente noto come lesione dell’interesse legittimo, costituisce in realtà inadempimento alle regole di svolgimento dell’azione amministrativa, ed integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale nella misura in cui si rivela insoddisfacente, e inadatto a risolvere con coerenza i problemi applicativi dopo Cassazione 500/99/Su, il modello, finora utilizzato, che fa capo all’articolo 2043 Cc: con le relative conseguenze di accertamento della colpa.

L’inquadramento degli obblighi procedimentali nello schema contrattuale, come vere e proprie prestazioni da adempiere secondo il principio di correttezza e buona fede (articoli 1174 e 1175 Cc), è proponibile, ove si voglia sperimentare un modello tecnico-giuridico operativo di ricostruzione della responsabilità amministrativa, solo dopo l’entrata in vigore della legge 241/90 (che fra l’altro, all’articolo 11, comma 2, rende applicabili agli accordi partecipativi i principi codicistici in materia di obbligazioni e contratti).

La pretesa di ancorare la responsabilità dell’amministrazione alla violazione in sé della regola procedimentale che impone la motivazione, a prescindere da ogni riferimento al bene della vita, pur meritevole di attenzione alla luce delle mutate concezioni che presiedono all’azione amministrativa, appare inattuale con riferimento al tempo cui si riferiscono i fatti di causa.

L’evoluzione che ha contraddistinto negli ultimi anni il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, i cui valori in nuce risalgono alla Carta costituzionale, solo negli anni ‘90 è stata attualizzata in testi normativi, con la formulazione di regole di condotta nel rapporto giuridico.

Non per questo può sostenersi l’emancipazione dei pubblici poteri, in passato, da ogni obbligo di motivazione: che aveva però una diversa valenza, di modo che l’omissione delle ragioni che presiedevano all’adozione del provvedimento, non rispondeva ad una precipua logica garantistica, bensì ad una complessiva valutazione dell’azione amministrativa nella logica dell’esercizio del potere.

L’improponibilità di una pretesa di comportamento nei confronti dell’amministrazione, avulsa dal riferimento a interessi sostanziali, con riguardo al momento storico in cui è maturata la fattispecie lesiva dedotta in causa, induce al rigetto della doglianza.

Il solo schema utilizzabile nella valutazione del danno lamentato in causa, è dunque costituito dalla responsabilità extracontrattuale, secondo il prontuario dei criteri d’indagine prospettati dalle Sezioni unite.

Con il che si viene all’esame delle doglianze oggetto del secondo motivo e della restante parte del terzo, le quali, va detto subito, si dimostrano fondate: le argomentazioni che seguono, svolte al fine di vagliare la consistenza dei motivi del ricorso principale, richiedono lo svolgimento di considerazioni, nell’economia delle quali diviene attuale ed agevole l’esame (e la conseguente confutazione) di ulteriori motivi di doglianza, contenuti in entrambi i ricorsi.

Va precisato, in via preliminare, che la valutazione solo in senso prognostico dell’interesse tutelato, operata dal giudice d’appello, è riconducibile nell’alveo dell’errore di diritto. Occorre infatti identificare con correttezza le norme ed i principi giuridici che esprimono la considerazione dell’ordinamento per l’interesse, di cui il proprietario denuncia la lesione. Si è dunque al di fuori dei vizi di ultrapetizione e di motivazione.

La sentenza impugnata parte dai principi enunciati da Cassazione 500/99/Su e, tra questi, dalla necessità di identificazione degli interessi meritevoli di tutela (interesse al bene della vita), di cui è necessario verificare la sostanziale, illecita, compressione.

La sentenza postula altresì la summa divisio tra interessi oppositivi e pretensivi, che nell’estrema variabilità delle situazioni soggettive, da cui le Sezioni unite fanno seguire la necessità di un’indagine, rimessa al giudice, sull’identificazione di quelle veramente meritevoli di tutela, è posta a base di una di versa tecnica di accertamento sull’esistenza della lesione.

La generale distinzione degli interessi, concepibile in rapporto alle forme di protezione riservate dal l’ordinamento, viene tuttavia persa di vista nella ricostruzione del giudice a quo, il quale, senza prendere formalmente posizione sull’appartenenza della posizione del proprietario titolare di diritti e obblighi che discendono da una convenzione di lottizzazione, all’una o all’altra categoria, omette di identificare esplicitamente, da un lato, il tipo di danno, e dall’altro, ancor più in generale, l’interesse al bene della vita.

Questo è caratterizzato solo per incidens nello sviluppo della motivazione: ora giustifìcandosi l’esclusione dell’illiceità dell’atto, che non potrebbe definirsi emesso in carenza dei presupposti di diritto e di fatto, con la conclusione che allora, nella fattispecie, era consentito di sacrificare l’«interesse del privato alla lottizzazione»; ora «nel non poter soddisfare l’interesse all’edificazione», ora nella non riconoscibilità di una chance di soddisfare, il proprio “interesse protetto”, neanche se il comune avesse rispettato le regole.

Tali formule, nel sistema complessivo della decisione del giudice fiorentino, consentono almeno di intuire una qualificazione dell’interesse azionato in senso pretensivo, sintetizzabile nella convinzione della non realizzabilità della pretesa a edificare da parte del proprietario lottizzante, per contrasto con la disciplina urbanistica definitivamente adottata dal Comune di Fiesole sul proprio territorio. È appena il caso di aggiungere che la qualificazione della sfera soggettiva del proprietario, compiuta dal giudicante, è di per sé incompatibile con una apprezzabilità in termini di diritto soggettivo, il che conferisce attualità e rilevanza - come si dirà oltre  al quinto e sesto motivo del ricorso principale, inerenti a questioni da ritenere  contrariamente a quanto sembra ritenere il ricorrente tutt’altro che assorbite nella logica della pronuncia oggetto della presente impugnazione.

La selezione degli interessi giuridicamente rilevanti non può essere effettuata con riguardo al solo bene finale idealmente conseguibile nell’ottica di un esercizio ottimale delle facoltà connaturate al diritto base, che è quello di proprietà, e di uno sfruttamento definitivo della prerogativa economica principale, che è lo ius aedificandi. L’esercizio ed il godimento del diritto dominicale conoscono fasi non definitive ed intermedie, anche connesse ad azioni amministrative, nelle quali possono riconoscersi interessi non solo evolutivi, ma anche conservativi, al mantenimento delle posizioni acquisite.

Da un lato, non è solo la radicalità della perdita del diritto che nel quadro della tutela del diritto dominicale configura la responsabilità dei pubblici poteri, né, dall’altro, solo la lesione del diritto di edificare, configurabile in rapporto all’atto terminale abilitativo all’attività costruttiva in senso stretto.

È possibile ravvisare altresì la lesione di posizioni variamente qualificabili nel divenire delle facoltà dominicali, quale lo ius vendendi (cfr. Cassazione 2593/76).

Il ricorrente vanta una posizione di vantaggio, connessa alla proprietà fondiaria, derivantegli dal conferimento dell’edificabilità, in virtù della convenzione di lottizzazione stipulata nel 1964.

È appena il caso di ricordare, in via di semplificativo collocamento delle lottizzazioni convenzionate nel sistema urbanistico, che esse rappresentano uno strumento alternativo al piano regolatore particolareggiato, e al pari di questo inserite nella sequenza di atti e procedimenti in cui si esprime la disciplina urbanistica. Ma prima ancora che venisse fatto obbligo o facoltà ai comuni di dotarsi di piani regolatori generali, in modo che l’attività costruttiva in concreto potesse aver luogo solo nell’economia di una considerazione globale del territorio comunale, le lottizzazioni private costituirono elementi primari di disciplina urbanistica di consistenti porzioni del territorio (e conformativi della proprietà privata), tanto che l’articolo 28, ottavo comma, della legge 1150/42 ) come aggiunto dall’articolo 8 legge 765/67) ne consentì la permanenza in vigore.

Non è revocabile in dubbio, quindi, che in virtù delle convenzioni di lottizzazione, i terreni attingessero la prerogativa dell’edificabilità.

Che il carattere edificabile del terreno, configurabile in virtù dello strumento urbanistico, costituisca una qualità della proprietà privata, apprezzabile non solo in termini economici  per il maggior prezzo ricavabile da una compravendita -, ma anche giuridici, è desumibile dalla disciplina della determinazione indennitaria per il caso di espropriazione per pubblica utilità.

Recenti evoluzioni normative (da ultimo l’articolo 5bis legge 359/92) e giurisprudenziali, inducono oggi a riscontrare un plusvalore del fondo rispetto alla condizione agricola, solo ove ciò sia consentito dallo strumento urbanistico (Cassazione 23 aprile, 172/Su). Ma anche anteriormente, allorché criterio indennitario in caso di espropriazione era il valore del bene, riconoscibile nel giusto prezzo in una libera contrattazione di compravendita (articolo 39 legge 2359/1865), l’edificabilità costituiva elemento fondamentale di apprezzamento del fondo, desumibile dalle caratteristiche obiettive di esso, e, primariamente, dalla propria condizione urbanistica, nel senso che una previsione in tal senso nello strumento urbanistico era condizione sufficiente di rilevanza della rendita fondiaria anche sotto il profilo indennitario (fra le tante: Cassazione 1230/62; 1483/63; 2688/70).

È noto che il problema della rendita fondiaria ha costituito la cosa in sé nel tentativo di teorizzare uno statuto della proprietà conforme alla sua funzione sociale, costituzionalmente riconosciuta, tanto da indurre a concepire uno scorporo dello ius aedificandi dal nucleo essenziale del dominum. Lo sfruttamento edificatorio dei suoli è comunque fonte di discriminazioni, dipendendo da scelte discrezionali rimesse alla pubblica amministrazione per effetto della pianificazione.

Un fatto è certo, che la classificazione urbanistica di un terreno in termini di edificabilità, conferisce al suolo una qualità economica, che è autonoma e indipendente dal rilascio delle concessioni edilizie (Cassazione 5821/98).

La considerazione dell’ordinamento per la posizione di vantaggio del proprietario lottizzante, è altresì desumibile, in via generale, dalla indennizzabilità riconosciuta al privato parte di un accordo integrativo di provvedimento discrezionale, ove l’amministrazione ne receda unilateralmente, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse (articolo 11 legge 241/90): pur essendo vero che la norma non è applicabile ratione temporis alla fattispecie, pur tuttavia essa rivela una tendenza dell’ordinamento a tenere indenne il titolare dalla, lesione del proprio interesse a conservare il vantaggio acquisito con la convenzione.

Posta la premessa, è il caso di analizzare l’incidenza dell’attività di pianificazione su tale indubbia posizione di vantaggio, nello schema dell’articolo 2043 Cc, già indicato come l’unico possibile, in una impostazione del problema della responsabilità amministrativa che si è ritenuto debba essere necessariamente diacronica: che dunque non ne impedisce una rilettura con attenzione alla centralità dell’ingiustizia del danno, anche con riferimento a fattispecie delineate in tempi non recenti.

La posizione del proprietario lottizzante, traducibile nell’interesse alla conservazione della qualità edificatoria del suolo a suo tempo conseguita in virtù della lottizzazione convenzionata, costituisce un interesse oppositivo. Ad esso sono connessi poteri di reazione ove, nell’esercizio della potestà, astrattamente in conflitto, di pianificazione del territorio, non vengano rispettate le norme di azione.

Gli interessi oppositivi soddisfano, com’è noto, istanze di conservazione (quelli pretensivi istanze di sviluppo della sfera giuridica personale e patrimoniale): la protezione è conferita al fine di evitare un provvedimento sfavorevole, e quindi si concretano nella pretesa dell’interessato ad opporsi, in sede procedimentale o processuale, a provvedimenti della pubblica amministrazione che incidono negativamente sulla preesistente sfera giuridica del privato.

Con riguardo a tale tipologia di interessi legittimi, può ravvisarsi danno ingiusto nel sacrificio dell’interesse alla conservazione del bene o della situazione di vantaggio acquisita, anche al di là della diretta o lata assimibilità a posizioni di diritto.

Per la lesione degli interessi oppositivi, in passato, il risarcimento fu giustificato mediante operazioni dì “trasfigurazione” in diritti soggettivi, ricorrendosi alla fictio dell’affievolimento e successiva riespansione per effetto dell’annullamento del provvedimento lesivo, che solo consentiva la domanda di riparazione delle conseguenze patrimoniali negative. L’operazione ben si attagliava a fattispecie di annullamento d’ufficio di concessioni edilizie - con successivo annullamento del giudice amministrativo - per le quali, probabilmente, era forse più realistico ravvisare lesioni di diritti soggettivi veri e propri.

La nuova lettura dell’articolo 2043 Cc, suggerita dalle Sezioni unite, allontana la formula “danno ingiusto” dall’aggettivazione alla condotta, eliminando una forzatura della lettera della legge, e rende, viceversa, l’ingiustizia, requisito del danno: nell’articolo 2043 Cc risulta netta la considerazione del danno, del quale viene previsto il risarcimento qualora sia “ingiusto”, mentre la colpevolezza della condotta (in quanto contrassegnata da dolo o colpa) attiene all’imputazione della responsabilità. L’area della risarcibilítà non è dunque definita da altre norme recanti divieti e quindi costitutive di diritti, bensì da una clausola generale, espressa nella formula “danno ingiusto”, in virtù della quale è risarcibile la lesione che presenta le caratteristiche dell’ingiustizia, ovvero arrecata non iure, in assenza di una causa di giustificazione: il danno ingiusto si risolve dunque nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento. La tendenza ad una rilettura dell’articolo 2043 Cc, di cui si è fatta interprete Cassazione 500/99/Su, s’impone alla luce del principio solidaristico derivante dall’articolo 2 Costituzione, ispirato ad una concezione di giustizia distributiva, e non commutativa, che si preoccupa non di irrogare la sanzione per il colpevole, quanto di distribuite equamente le conseguenze della lesione ad un interesse comunque preso in considerazione dall’ordinamento.

La centralità del danno nell’interpretazione dell’articolo 2043 Cc, determina l’emersione di posizioni di interesse, anche diverse dal diritto soggettivo, ma comunque considerate meritevoli di tutela dall’ordinamento.

E fra queste, anche dell’interesse oppositivo, la cui protezione si rinviene nel potere di reazione commesso al titolare, al fine di evitare un provvedimento sfavorevole.

L’interesse alla conservazione di una sfera di vantaggio già acquisita, che venga in rotta collisione con l’esercizio del potere amministrativo, rileva di per sé nell’ordinamento, ed esclude ogni necessità di trasfigurazione in diritto soggettivo. L’incisione del diritto soggettivo, nel conflitto tra diritto di proprietà e azione amministrativa, è ravvisabile al cospetto di comportamenti senza potere (occupazione del fondo di proprietà privata non assistito da un valido provvedimento espropriativo e, con ancor maggiore evidenza, senza una formale dichiarazione di pubblica utilità).

Il riconoscimento pieno ed assoluto, proprio del diritto soggettivo, non spetta al proprietario di terreno fabbricativo, il quale, esposto allo ius variandi che compete all’autorità preposta al governo del territorio, ha però un potere di reazione di fronte ai cattivo esercizio di quel potere. La tutela risarcitoria degli interessi oppositivi è sempre ammessa in presenza di un atto amministrativo illegittimo che abbia compresso tale posizione di vantaggio. La differenza con gli interessi pretensivi, in cui s’impone una prognosi sull’esito favorevole delle aspettative dell’interessato, è che il collegamento con il bene della vita si è già consolidato in virtù di un precedente provvedimento, e tanto basta a pretendere la riparazione delle conseguenze patrimoniali sfavorevoli dell’illegittimitá dell’azione amministrativa, quale che sia il fine di questa.

La titolarità di un potere vale come causa di giustificazione idonea a ritenere non iure l’azione amministrativa, escludendone l’ingiustizia, ove si sia impedito il conseguimento di un bene cui l’istante non poteva accedere. Non altrettanto dicasi ove il bene della vita sia già acquisito alla sfera giuridica soggettiva, di fronte alla quale l’esercizio del potere non può che essere informato al rispetto delle norme che presiedono all’azione amministrativa, in applicazione dei principi di legalità e buona amministrazione, con la conseguenza che la lesione è configurabile in rapporto a qualsiasi vizio dell’atto amministrativo sia esso formale o sostanziale.

La tutela risarcitoria dell’interesse oppositivo è riconoscibile purché un danno vi sia, ancorché l’attività formalmente illegittima dell’amministrazione abbia estrinsecato un potere, pur in concreto esercitabile: così nella fattispecie di ius variandi nella pianificazione, esercitato senza adeguata ponderazione dei contrapposti interessi in presenza di (ed in contrasto con) qualificate posizioni di vantaggio determinate dalla pianificazione preesistente; come nell’ipotesi di autoannullamento illegittimo, per vizio di motivazione, di concessione edilizia sostanzialmente illegittima (Cassazione 4854/98); come nel caso di (illegittimo) annullamento (o revoca) di procedure concorsuali già avviate, e in ordine alle quali siano sorte aspettative tutelate.

Da quanto precede, è conseguenziale disattendere la considerazione secondo cui il potere, pur scorrettamente esercitato dall’amministrazione, rappresenta un rischio che nell’ ottica del nesso causale, non consentirebbe di riscontrare un collegamento tra il danno e la condotta illegittima, nel senso che pur se l’adozione, nel 1971, del nuovo piano regolatore che non tenne conto della convenzione di lottizzazione, fosse stato adeguatamente motivato, il proprietario non avrebbe comunque potuto soddisfare il proprio interesse all’edificazione.

La proposizione appare formulata nella logica da cui muove la Corte d’appello di Firenze, di una proiezione prognostica negativa dell’interesse del lottizzante, di cui il giudice di merito sembra obliterare una dimensione statica e semplicemente conservativa della posizione di vantaggio, connotando l’interesse esclusivamente nell’aspettativa di una realizzazione concreta dello ius aedificandi. Il riscontrato vizio dell’atto di adozione del nuovo strumento è viceversa causalmente idoneo ad incidere su una posizione di vantaggio già cansolidata.

Le considerazioni che precedono appaiono altresì idonee a confutare il quarto motivo del ricorso incidentale, con cui ci si duole che la Corte d’appello non abbia escluso in radice l’esistenza di un danno, sotto il profilo della non titolarità, da parte del Vitali, dello ius aedificandi come interesse al bene della vita. È appena il caso di sottolineare che di tale doglianza non può ritenersi l’assorbimento - per superfluità dell’esame - nella pronuncia della Corte d’appello, dato che, nella completezza dell’analisi effettuata sulla questione del danno risarcibile, la tesi su cui riposa il motivo di ricorso, è stata implicitamente disattesa dal giudicante.

La proiezione prognostica in ordine alle aspettative edificatorie, effettuata dal giudice d’appello, con il risultato di escludere la risarcibilità del danno siccome riconducibile ad un mero vizio formale, tradisce la preoccupazione, manifestata in dottrina con riguardo agli interessi oppositivi  e che fa da sfondo Al quarto motivo di ricorso incidentale , riguardo alla iperprotezione di cui finirebbero per beneficiare gli interessi oppositivi.

L’intrinseca correttezza della misura adottata dall’amministrazione renderebbe la tutela aquiliana una mera proiezione, ingiustificatamente duplicatoria, dell’effetto di ripristino connesso alla pronuncia di annullamento.

L’obiezione va ridimensionata nella consapevolezza della oggettiva, gradualità delle posizioni meritevoli di tutela.

La tutela in rapporto alla sfera giuridica soggettiva è articolatamente concepibile, secondo l’emergere, in diverse fasi, di interessi differenziati. La lesività dell’azione amministrativa è volta per volta valutabile con riguardo alla diversa fase di emersione dell’interesse nella considerazione dell’ordinamento.

La posizione del proprietario lottizzante, anche anteriormente al rilascio e alla richiesta di concessione edilizia, va autonomamente considerata meritevole di tutela in virtù del plusvalore riconoscibile, in termini di edifìcabilità, alla proprietà conformata dallo strumento urbanistico. La negazione di un interesse intermedio nella dinamica delle facoltà dominicali  per cui solo lo ius aedificandi scaturente dall’avvenuto rilascio della concessione riceverebbe tutela porterebbe con sé là sconfessione di qualsiasi elemento di novità nella tematica del danno ingiusto, riducendo l’area della risarcibilità sia in senso qualitativo, con riferimento arbitrariamente selettivo solo a determinati beni della vita, quasi, che lo sfruttamento edificatorio costituisca l’unica modalità di esercizio del diritto di proprietà, sia sotto il profilo dell’intensità di tutela, riservata riguardo agli interessi pretensivi   ai soli interessi “a risultato garantito”, o, secondo un’impostazione cui sopra si è fatto cenno a proposito dell’avvenuto conseguimento della concessione, ai soli diritti soggettivi.

Il quarto motivo del ricorso principale mira a svuotare di significati il riferimento all’atto di riadozione del 1990, successivo all’annullamento del piano, viceversa utilizzato dal giudicante a scongiurare nella sostanza la lesività del piano regolatore del 1971.

Nella vicenda del provvedimento di adozione del piano regolatore del 1971, effettivamente, all’annullamento giudiziale ha fatto seguito la riadozione, motivata, di quello strumento: a riprova di una persistenza dell’interésse pubblico in quel senso. Tanto da indurre il giudice amministrativo, in sede di ottemperanza, a riconoscere, ferma restando l’autoesecutività della precedente decisione di annullamento dello strumento urbanistico in parte qua, che con il nuovo atto di adozione del 1990 il Comune di Fiesole aveva dato esecuzione al giudicato.

I presupposti di valutazione della responsabilità amministrativa si muovono su un piano diverso.

La tutela demolitoria, a differenza di quella riparatoria precedente, è connessa all’esigenza di un ripristino della legalità nell’interesse pubblico: come in sede autotutela l’eventuale rimozione dell’atto illegittimo è subordinata ad una valutazione sulla rispondenza all’interesse pubblico circa, non sono mancate proposte de iure condendo miranti a scongiurare l’annullamento giurisdizionale ove, in presenza di vizi formali, difetti nell’atto illegittimo il carattere di offensività dell’interesse pubblico.

Se anche si sia avuto l’annullamento, l’amministrazione può ben riesercitare il potere nella stessa direzione, emendando l’atto dal vizio formale.

Ma questo non toglie che una lesione alla posizione di vantaggio, già acquisita, si sia prodotta, giustificando una protesa di risarcimento. Con ciò resta avvalorata una connotazione della tutela risarcitoria  invocabile al giudice a prescindere dall’annullamento - quale misura minore rispetto alla rimozione dell’atto, che è ben più impegnativa per l’amministrazione che non la tutela riparatoria.

Le considerazioni svolte permettono di disattendere la doglianza contenuta nel quarto motivo del ricorso principale: attesa la diversità di presupposti, e quindi la reciproca non interferenza, tra le vicende risarcitoria e demolitoria, appare irrilevante ogni valutazione sulla condotta dell’amministrazione successiva all’annullamento dell’atto illegittimo.

Per quanto concerne l’aspetto particolare delle spese per l’esecuzione delle opere di urbanizzazione, l’astratta risarcibilità del danno lamentato dal ricorrente, che deriva dall’accoglimento, per quanto di ragione, dei motivi secondo e terzo del ricorso principale, riguarda anche tale voce, dovendosi consequenzialmente disattendere la considerazione del giudice d’appello, in ordine ad una volontaria accettazione del rischio di sopravvenuta inutilità delle stesse, nell’ipotesi, poi verificatasi, di successivo esercizio della potestà pianifìcatoria da parte del comune. L’astratta risarcibilità, tuttavia, lascia aperte le questioni indotte da eccezioni del comune, non esaminate, se non parzialmente, dal giudice di merito, in ordine alla valutazione delle prove sulle possibilità di vendita,di suoli, sull’effettivo compimento delle opere, sui relativi costi, sull’epoca di realizzazione (oggetto del terzo motivo di ricorso incidentale), sulla liceità.delle stesse. Per quanto concerne tale ultimo aspetto, in particolare, non può ravvisarsi nella pronuncia della corte d’appello, una motivazione puntuale idonea a sorreggere autonomanente la decisione di irrisarcibilità, atteso il carattere residuale ed eventuale delle considerazioni svolte sul punto: «e ciò supera anche l’ulteriore profilo di non risarcibilitá, connesso alla sicura abusività delle opere, quanto meno per il difetto della specifica autorizzazione del soprintendente». Da tale proposizione non è dato desumere una sicura convinzione del giudicante sull’abusività delle opere realizzate, sembrando piuttosto che il giudicante si sia limitato all’enunciazione di un problema, che stante la ratio decidendi adottata, restava assorbito. Si tratta di uno degli aspetti che anche in considerazione delle argomentazioni a suo tempo prospettate dal comune, ed ora riprodotte nel ricorso incidentale (quinto motivo), dovranno essere oggetto di esame da parte del giudice di rinvio.

L’apprezzabilità autonoma dell’interesse oppositivo a salvaguardare la qualitas soli riguardo ai terreni compresi in una lottizzazione convenzionata, consente altresì di rigettare le doglianze contenute nei motivi quinto e sesto del ricorso principale, basate su una pretesa qualificabilità della posizione giuridica soggettiva del lottizzante, in termini di diritto soggettivo: in proposito è da smentire la tesi del ricorrente, circa un assorbimento delle relative questioni nella decisione della corte d’appello, atteso che il disconoscimento della qualificazione pretesa dall’attuale ricorrente è implicita, nella decisione di quel giudice, che nella sostanza ne considera la posizione scaturente dalla convenzione lottizzatoria, alla stregua  incompatibile con il diritto  di interesse (pretensivo) a esercitare lo ius aedificandi.

La qualificazione dell’interesse vantato dal ricorrente non è apprezzabile in termini di diritto soggettivo. Non è infatti rinvenibile nell’ordinamento – come sopra rilevato  un riconoscimento completo ed esclusivo alla posizione, pur di vantaggio, del proprietario lottizzante, che resta sempre esposto al rischio di determinazioni diverse e incompatibili, adottate nell’esercizio del potere pianificatorio. La giurisprudenza, del resto, ha escluso anche di recente una valenza privatistica alla convenzione (e, di conseguenza, l’apprezzabilità di posizioni qualificabili in termini di diritti ed obblighi contrattuali), nei casi in cui si è trattato di regolare la giurisdizione in ordine a controversie relative a convenzioni di lottizzazione, ritenendosi, in generale, la funzionalità della convenzione al procedimento amministrativo per il rilascio della concessione edilizia, sia riguardo all’adempimento degli obblighi nascenti dalla convenzione (Cassazione 10614/91; 6527/94; 1763/02; 5124/02), sia riguardo alla richiesta di risoluzione. per il mancato rilascio di concessioni edilizie (Cassazione 8593/98).

La non sussumilabilità dell’interesse descritto alla categoria dei diritti soggettivi, ha determinato la necessità di ritagliare a tale posizione - che è quindi di interesse legittimo  una tutela che è stato possibile ricavare da una rimeditazione sul contenuto dell’articolo 2043 Cc, nella logica del danno ingiusto.

S’impone a questo punto una fondamentale verifica sistematica, sulla fattibilità di tale interpretazione in difetto di una specifica previsione legislativa di tutela degli interessi legittimi. È l’oggetto del primo motivo del ricorso incidentale: che si rivela infondato.

La motivazione di Cassazione 500/99/Su dà già un’adeguata risposta all’obiezione, pur nel contesto di un’affermazione obiter, resa nel contesto di una decisione su regolamento di giurisdizione.

Non vi sono ragioni valide per negare il risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi sul piano sistematico. L’articolo 2043 Cc non limita, nemmeno in senso letterale, la nascita dell’obbligazione risarcitoria alle sole posizioni di diritto soggettivo: la norma prevede solo la necessità che il danno sia ingiusto, locuzione da intendere, come già rilevato, nel senso più ampio, in consonanza al principio solidaristico. Anche la lesione dell’interesse legittimo dà luogo ad un pregiudizio rientrante nella clausola generale di ingiustizia del danno, salvo verificarne la risarcibilità in concreto.

La correttezza di una rilettura dell’articolo 2043 Cc che sia idonea a ricomprendere nella categoria del danno ingiusto anche la lesione di interessi, pur meritevoli di tutela, ma diversi dai diritti soggettivi, è confortata dalla evoluzione legislativa nel suo complesso, dalla quale è desumibile un’attenzione allargata alle situazioni giuridiche soggettive (e fra queste agli interessi procedimentali), pur se potenzialmente in antitesi con le finalità dell’azione amministrativa: dalla legge 241/90, cui si è già fatto cenno, alla previsione del risarcimento in materia di appalti comunitari (articolo 13 legge 142/92).

L’elemento decisivo però, che permette di affermare il riconoscimento legislativo di un principio, già operante nell’ordinamento, di risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, sopravviene con l’articolo 35 del decreto legislativo 80/1998, nella riedizione operatane con l’articolo 7 legge 205/00. La norma si riferisce, in realtà, nel quadro dell’applicazione dei nuovi criteri di riparto delle giurisdizioni, ai poteri del giudice amministrativo, ma i principi enucleabili dalla norma non possono non valere per le controversie rimaste di competenza del giudice ordinario, il quale non può fare a meno di trarne indicazioni interpretative circa una diversa cultura di cui l’intervento legislativo è testimone.

Non può sfuggire, infatti, che se nella primitiva formulazione della norma, la cognizione del giudice amministrativo veniva estesa, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, al risarcimento del danno ingiusto (con una formula che forse ancora riecheggia una lettura tradizionale dell’articolo 2043 Cc, in chiave di tutela dei soli diritti soggettivi), il testo riformulato dall’articolo 7 legge 205/00, al comma 4, nel sostituire il primo periodo del terzo comma dell’articolo 7 legge 1034/71, ha esteso la cognizione del giudice amministrativo alle questioni risarcitorie, nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità. La nuova formulazione non sembra indice di un semplice incremento quantitativo della giurisdizione.

È da tener presente che nel lasso temporale tra i due interventi legislativi intervenne Cassazione 500/99/Su, tanto che nei lavori parlamentari che preludono alla legge 205/00, si rivela che con la novella integrale degli articoli 33, 34, 35 decreto legislativo 80/1998 si tende, tra l’altro, “a superare alcuni problemi posti dalla sentenza 500/99 delle Sezioni unite della Corte di cassazione» (relatore Pellegrino, Commissione Affari costituzionali, esame in sede deliberante del disegno di legge 2934B, seduta del 12 luglio 2000).

Il risarcimento del danno ingiusto, di cui al primo comma dell’articolo 35 nell’originario testo, va relazionato alla eccezionale cognizione sui diritti, configurabile nell’ambito della giurisdizione esclusiva. Il nuovo testo, invece, rivela l’intento di risistemare i poteri del giudice amministrativo alla luce del principio enunciato dalle Sezioni unite, quello della risarcibilità degli interessi legittimi, attribuendo la cognizione al Tar  e contemporaneamente privandone il giudice ordinario  su «tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali». L’ampiezza della formulazione, il riferimento ai diritti consequenziali - che tradizionalmente emergono dopo l’annullamento dell’atto illegittimo , l’esiguità della riserva di giurisdizione ordinaria fatta salva nella seconda parte della disposizione (questioni pregiudiziali, stato e capacità delle persone, incidente di falso), convincono circa una presa d’atto, da parte del legislatore, della risarcibilità di interessi attribuiti alla cognizione del giudice amministrativo e quindi diversi dai diritti soggettivi.

Il secondo ed il terzo motivo del ricorso incidentale sono da considerare inammissibili: le doglianza attengono al profilo della colpa, di cui contestano l’esistenza, deducendo la necessità di un puntuale riscontro dell’elemento soggettivo, da valutare tenendo conto della pur sussistente indicazione, nel piano regolatore del 1971, delle linee generali di impostazione urbanistica, e della responsabilità concorrente del danneggiato, attesa la sua condotta omissiva nel tempo.

Dell’esame di tali aspetti (compresa la questione  sopra rilevata   involgente l’accertamento dell’an e del quando relativamente all’effettivo compimento delle opere di urbanizzazione) dovrà farsi carico il giudice di merito, tenendo conto della specie di responsabilità delineata da questo collegio nell’esame dei motivi del ricorso principale, e ritenuta sussistente quanto all’elemento obiettivo dell’illecito. Nessun rilievo può darsi all’affermazione incidentale della corte d’appello secondo cui il fatto, qualora ritenuto illecito, dovrebbe consequenzialmente esser definito colposo: trattasi infatti di qualificazione ipotetica, fondata su un presupposto puramente teorico che necessariamente non poteva commisurarsi ad uno schema concreto di responsabilità, dallo stesso giudice ritenuta insussistente.

Anche gli ulteriori motivi del ricorso incidentale vanno dichiarati inammissibili.

Pur se qualificato come condizionato, il ricorso incidentale deve essere giustificato da un interesse che abbia per presupposto una situazione sfavorevole al ricorrente, ossia la soccombenza, sicché non può essere proposto dalla parte che sia rimasta completamente vittoriosa nei giudizio di appello, per sollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, restando salva la facoltà di riproporle innanzi la giudice di rinvio in caso di annullamento della sentenza (Cassazione, 7732/86; 7141/94; 4756/99; 5503/01): circostanza che peraltro impedisce alla Corte di Cassazione di decidere.nel merito, in accoglimento del ricorso principale (Cassazione 2238/96; 2629/96; 7367/00).

Conclusivamente: vanno accolti (per quanto di ragione) i motivi secondo e terzo del ricorso principale, rigettati il quarto, quinto e sesto del ricorso principale, ed il primo ed il quarto del ricorso incidentale; vanno dichiarati inammissibili il primo del ricorso principale, e, per corrispondere a questioni proposte nel giudizio d’appello, ma considerate assorbite o comunque non decise, anche, del ricorso incidentale, il secondo, il terzo ed il quinto motivo (dei quali si è già fatta menzione), e inoltre il sesto ed il settimo, rispettivamente inerenti alle questioni di prescrizione del diritto e di quantificazione del danno.

Alla cassazione della sentenza consegue il rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze, che provvederà anche alle spese di questo giudizio.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie, per quanto di ragione, i motivi secondo e terzo del ricorso principale. Rigetta i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale, e primo e quarto del ricorso incidentale. Dichiara inammissibili i motivi primo del ricorso principale e secondo, terzo, quinto, sesto e settimo del ricorso incidentale. In relazione alle censure accolte cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

 

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