elezioni - elettorato - passivo - in genere (ineleggibilità) - corte di cassazione, sez. 1, sentenza n. 13831 del 27/05/2008

incandidabilità - ineleggibilità - Cause ostative all'elezione alla carica di Sindaco - Condanna penale - Art. 58, comma 1, lettera c), d.lgs. n. 267 del 2000 - Sospensione condizionale della pena - Successiva concessione dell'indulto - Rilevanza ai fini del venir meno della causa di incandidabilità - Esclusione - Fondamento - Dubbi di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza. Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 13831 del 27/05/2008


Qualora un candidato, eletto alla carica di Sindaco, sia successivamente dichiarato decaduto per aver subito in precedenza una condanna penale ostativa all'elezione - ai sensi dell'art. 58, comma 1, lettera c), del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 - non assumono rilievo, ai fini del venir meno della causa di incandidabilità, né il fatto che la condanna sia stata soggetta a sospensione condizionale (che l'art. 166 cod. pen. oggi estende anche alle pene accessorie), né che per la medesima sia stato concesso l'indulto di cui alla legge 31 luglio 2006, n. 241, poiché l'incandidabilità non è un aspetto del trattamento sanzionatorio penale del reato, ma si traduce nel difetto di un requisito soggettivo per l'elettorato passivo; né tale assetto risulta in contrasto con alcun parametro costituzionale, come già stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 132 del 2001.

 

Corte di Cassazione, Sez. 1, Sentenza n. 13831 del 27/05/2008
integrale:


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 24 febbraio 2005, divenuta definitiva il giorno 1 marzo 2006, la Corte d'appello di Messina confermò la condanna inflitta dal Tribunale di Messina con sentenza 4 - 23 marzo 2004 al signor Bruno Mi.., funzionario comunale, alla pena - sospesa - di un anno di reclusione per il reato di cui all'art. 479 c.p., per aver falsamente attestato essere state apposte in sua presenza le sottoscrizioni in calce a dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà finalizzate al conseguimento di contributi comunitari. In esito alle consultazioni elettorali in data 11-12 giugno 2006, lo stesso Mi.. B. fu proclamato sindaco del Comune di Forza d'Agro. Per la dichiarazione di nullità dell'elezione, o in ogni caso di decadenza del Mi.. B., perché non candidabile e non eleggibile a causa della condanna riportata, proposero distinti ricorsi, D.Lgs. n. 267 del 2000, ex art. 70 il signor Bi.. Bi.. Antonino e il Prefetto di Messina. Altro ricorso fu proposto dai signori Carmelo Lo.., Roberto Ca.., Mu.. Filippo, Joseph Bo.. e Salvatore Ga.., i quali chiesero, oltre alla dichiarazione di nullità dell'elezione del sindaco, la proclamazione a sindaco del secondo candidato in termini di voti, la conseguente attribuzione del premio di maggioranza alla sua lista, in luogo della lista collegata al Mi.. B., e, in via subordinata, il mantenimento del consiglio comunale nella composizione scaturita dall'elezione;
Si costituirono, resistendo alle domande, il convenuto, nonché i signori Carmela Ge..e, Presidente del Consiglio comunale di Forza d'Agro, e Mario Str.., componente della giunta comunale. Il Tribunale di Messina, riuniti i giudizi, con sentenza 22 marzo - 4 aprile 2007 dichiarò improcedibile il ricorso proposto da Biagio Bianca Antonino, accolse il ricorso del Prefetto di Messina e parzialmente il terzo ricorso, dichiarò la nullità dell'elezione del Mi.. B. e la sua decadenza dalla carica, e respinse le altre domande.
Contro questa sentenza proposero separatamente appello il signor Bruno Mi.. e la signora Carmela Ge... I signori Lo.. Carmelo, Roberto Ca.., Filippo Mu.., Bo.. Joseph e Salvatore Ga.. proposero a loro volta appello incidentale per l'accoglimento delle ulteriori domande respinte dal primo giudice.
La Corte d'appello di Messina, con sentenza in data 16 - 25 luglio 2007, rigettò tutti gli appelli. Nell'esaminare i singoli motivi di gravame, la corte affermò, per quel che qui ancora interessa, che l'azione popolare, di cui al D.Lgs. n. 267 del 1970, art. 70 non è soggetta a termini di decadenza, non avendo carattere impugnatorio, perché autonoma rispetto alla deliberazione consiliare di convalida delle elezioni; che la sospensione condizionale della pena non incide sull'incandidabilità, che è effetto della condanna e non già dell'esecuzione della pena; che del pari ininfluente è l'indulto, che riguarda gli effetti penali - peraltro limitati alla sola pena principale - e non quelli elettorali della condanna, insensibili alle successive vicende penalistiche se non vi siano disposizioni speciali che le contemplino; che la condanna riportata era di ostacolo alla candidabilità, implicando la violazione dei doveri e l'abuso dei poteri inerenti all'ufficio, elementi accertabili dal giudice della controversia elettorale, anche se non contestati a titolo di aggravante nel processo penale e anche in mancanza della condanna alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici; che l'ipotesi d'ineleggibilità concretamente applicata - prevista alla L. 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, comma 1, lett. c) norma applicabile nella Regione Siciliana in forza del rinvio operato dalla L.R. 26 agosto 1992, n. 7, seppure il rinvio sia ritenuto recettizio della disciplina all'epoca esistente - contempla anche i delitti non colposi, e ciò perché la successiva lett. d), nel contemplare il caso che "per lo stesso fatto" sia stata pronunciata condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione "per delitto non colposo", non si riferisce allo stesso fatto di cui alla lettera precedente (che sarebbe per ciò stesso necessariamente un fatto colposo), bensì ad un singolo fatto reato non colposo; che la proclamazione del nuovo sindaco, come le pronunce consequenziali relative al consiglio comunale sono precluse dalla normativa regionale, la quale disciplina in maniera esaustiva e puntuale gli effetti, sull'intero apparato comunale, della cessazione della carica di sindaco, la quale coinvolge la giunta, e comporta sul piano immediato il rimedio della nomina del commissario ed il mantenimento in carica del consiglio, e successivamente l'indizione di nuove elezioni.
Per la cassazione della sentenza, notificata il 7 agosto 2007, ricorre il signor Bruno Mi.., con atto notificato il 20-21 agosto 2007, articolato in cinque mezzi d'impugnazione. Il Prefetto di Messina, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, resiste con controricorso.
I signori Carmelo Lo.., Roberto Ca.., Mu.. Filippo, Joseph Bo.. e Salvatore Ga.., resistono con controricorso e ricorso incidentale con un unico mezzo d'impugnazione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
I due; ricorsi, proposti contro la stessa sentenza, devono essere riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 1147 del 1966, art. 82 e segg. dei principi generali del diritto in materia di termini e decadenza per la proposizione di azioni anche popolari. Il ricorrente formula il quesito, se sia compatibile con le norme invocate un'azione per la proposizione della quale non vi siano termini da rispettare a pena di decadenza, e, in particolare, se l'azione di cui al D.Lgs. 18 aprile 2000, n. 267, art. 70 non sia vincolata a pena di decadenza al rispetto dei termini per la proposizione, giusta anche la previsione della L. n. 1147 del 1966, art. 82 e ss..
Il quesito, generico nella sua prima parte, e manifestamente infondato nella seconda (l'azione popolare, potendo essere proposta, per consolidata giurisprudenza, anche in assenza di un deliberato consiliare di convalida, e prescindendo di conseguenza dalla correlativa impugnazione di un siffatto - ove adottato - deliberato, non è soggetta a termini di decadenza: v. Cass. 19 dicembre 2002 n. 18128, 16 luglio 2005 n. 15104), è inammissibile perché multiplo, in violazione della regola enunciata nell'art. 366 bis c.p.c., per la quale ad ogni censura deve corrispondere un distinto quesito di diritto (la formulazione del quesito di diritto di cui all'art. 366 bis cod. proc. civ. deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi: v. Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471).
Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 166 c.p.. Si deduce che la disposizione invocata estende la sospensione condizionale della pena alle pene accessorie, escludendo l'applicazione di misure diverse, salvo i casi espressamente previsti dalla legge; e si prospetta, per il caso di una diversa interpretazione, tale da consentire alla condanna a pena sospesa di operare in materia di candidabilità elettorale, una questione di illegittimità costituzionale della stessa, per violazione degli artt. 3 e 51 Cost., stante la diversa disciplina che verrebbe a crearsi tra elettorato attivo e passivo. Il mezzo si conclude con il quesito di diritto, se non costituisca violazione dell'art. 166 c.p. il diniego che la sospensione condizionale della pena escluda l'applicabilità delle disposizioni contenute nella L. n. 16 del 1992 in materia d'incandidabilità alla carica di sindaco. La questione di legittimità costituzionale è manifestamente;
infondata. La corte delle leggi ha già avuto modo di affermare che l'ineleggibilità (sancita dalla L. n. 55 del 1990, art. 15) non ha a che fare con il trattamento penale o con le conseguenze penali dei reati, ma attiene alla definizione dei requisiti di accesso alle cariche elettive (Corte cost. sent. n. 132/2001). Ne discende che il parametro costituzionale di eguaglianza nell'elettorato passivo, a fondamento del motivo, non è utilizzabile nell'interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie.
Al quesito di diritto formulato dal ricorrente deve rispondersi che non viola l'art. 166 c.p., l'affermazione che la sospensione condizionale della pena non esclude l'applicabilità delle disposizioni contenute nella L. n. 16 del 1992 in materia d1incandidabilità alla carica di sindaco, perché queste disposizioni attengono alle condizioni di accesso alle cariche elettive, e non alla conseguenze penali dei reati.
Con il terzo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 16 del 1992, art. 1 e D.P.R. n. 267 del 2000, art. 58 in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. L'ipotesi di incandidabilità a seguito di condanna per un delitto commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diverso da quelli indicati alla lett. b) (delitti previsti dagli artt. 314, 316, 316 - bis, 317, 318, 319, 319 - ter, 320 c.p.) richiede, secondo il ricorrente, che l'abuso di potere o la violazione del dovere siano stati accertati dal giudice penale, che abbia ritenuto sussistere l'aggravante specifica prevista dall'art. 31 c.p., e l'irrogazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. Una diversa Interpretazione porrebbe, anche in tal caso, una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni in relazione agli artt. 3 e 51 Cost., per il diverso trattamento dell'elettorato passivo e di quello attivo, che la L. n. 15 del 1992, art. 1 toglie solo in caso di interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il motivo si conclude con il quesito di diritto se costituisca violazione delle due invocate disposizioni discostarsi dal principio che la mancata irrogazione della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici esclude l'ipotesi d'incandidabilità alla carica di sindaco prevista dall'art. 1, lett. c) delle disposizioni medesime.
Il ricorrente aggiunge una doglianza sullo stesso punto per la motivazione, a suo avviso palesemente contraddittoria ed insufficiente laddove ritiene che il sindacato del giudice debba essere, nelle ipotesi considerate, di natura sostanziale, ma nulla dice al riguardo.
Il mezzo in esame contiene censure multiple ed eterogenee, attinenti a vizi di violazione della L. n. 16 del 1992, art. 1 e D.P.R. n. 267 del 2000, art. 58 a vizi di contraddittorietà della motivazione e a vizi d'insufficienza della motivazione, che lo rendono inammissibile. L'art. 366 bis c.p.c. prescrive che nei casi previsti dall'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4 l'illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. La disposizione citata non consente che motivi fondati sulla violazione di leggi e quelli fondati su vizi di motivazione siano formulati con un unico mezzo, dovendosi evitare quesiti multipli o cumulativi (cfr. Cass. 29 febbraio 2008 n. 5471). Con il quarto motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 7 del 1992, art. 6 della Regione Siciliana. Il rinvio recettizio, disposto dalla norma regionale, alle disposizioni della L. n. 16 del 1992, art. 1, comma 1, lett. c) e d) imporrebbe di ritenere che la soglia minima della pena per reati dolosi, come quello commesso dal ricorrente, non sarebbe di sei mesi ma di sei anni, con la conseguenza che nella fattispecie, in cui la condanna era stata ad un solo anno, la causa d'incandidabilità non sussisteva.
Il mezzo d'impugnazione si conclude con il quesito di diritto se la Corte d'appello di Messina abbia violato la L.R. n. 7 del 1992 citata, art. 6 ritenendo applicabili nel territorio della Sicilia norme mai recepite, e dunque mai entrate in vigore.
Il mezzo d'impugnazione è inammissibile, perché muove da premesse contraddette dal contenuto della sentenza impugnata. Il giudice di merito, infatti, si è attenuto proprio al principio di diritto enunciato dal ricorrente, assumendo il carattere recettizio (materiale) del, rinvio alla Legge dello Stato 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, comma 1, lett. c) operato dalla L. 28 agosto 1992, n. 7, art. 6 della Regione siciliana (per la quale in materia di elezioni nei comuni e nelle province regionali e di nomine presso gli enti locali si applicano nella regione siciliana le disposizioni di cui alla L. 18 gennaio 1992, n. 16), e dando della norma richiamata - con specifico riferimento al punto decisivo, costituito dal sintagma "stesso fatto" - un'interpretazione che non è oggetto della censura in esame.
Con il quinto mezzo si denuncia la violazione della L. 31 luglio 2006, n. 241. La concessione dell'indulto aveva condonato la pena, estinguendola, ed aveva eliminato la causa d'incandidabilità, legata nella fattispecie non all'accertamento di un determinato reato, bensì alla condanna ad una pena superiore a sei mesi, così come aveva eliminato le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. Il mezzo si conclude con il quesito di diritto se l'applicazione della L. 31 luglio 2006, n. 241 non comporti il condono della pena e la conseguente inapplicabilità al ricorrente del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 58, lett. c) che prevede la decadenza o l'ineleggibilità del sindaco condannato a pena superiore ad un anno.
Il mezzo è infondato, non solo perché l'indulto, se non sia diversamente disposto, non estingue le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna (art. 174 c.p.), ma perché 1 "incandidabilità non è un aspetto del trattamento sanzionatorio penale del reato, che possa risentire dell'indulto di cui alla legge richiamata, ma si traduce nel difetto di un requisito soggettivo per l'elettorato passivo (Cass. 15 maggio 2001 n. 132). Al quesito di diritto deve conseguentemente rispondersi che l'applicabilità della L. 31 luglio 2006, n. 241, di concessione dell'indulto, laddove comporti il condono della pena irrogata al candidato con sentenzia definitiva, non incide sulla causa d'incandidabilità costituita dalla condanna medesima.
Deve ora essere esaminato il ricorso incidentale: Con esso si censura il rigetto delle domande ulteriori formulate dai ricorrenti nel giudizio, ed intese ad ottenere la proclamazione a sindaco del secondo candidato in termini di voti, la conseguente attribuzione del premio di maggioranza alla sua lista, in luogo della lista collegata al Mi.. B., e, in via subordinata, il mantenimento del consiglio comunale nella composizione scaturita dall'elezione. Si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, artt. 76 e 84 (t.u.), (Leggi per la composizione e la elezione degli organi delle amministrazioni comunali). Si deduce che in forza del citato art. 76, quando l'elezione di colui che ebbe maggiori voti è nulla, gli si sostituisce quegli che riportò, dopo gli eletti, maggiori voti; e in forza dell'art. 84, il consiglio comunale, la giunta provinciale amministrativa, la corte d'appello ed il consiglio di stato, quando accolgono ricorsi loro presentati, correggono, secondo i casi il risultato delle elezioni e sostituiscono ai candidati illegalmente proclamati coloro che hanno diritto di esserlo. Si sostiene che i principi richiamati dalla corte d'appello, e specificamente la necessità dell'indizione di nuove elezioni, non sono applicabili nella fattispecie, perché in questo caso il Mi.. B. era ab origine privo dei requisiti per candidarsi alla carica di sindaco.
Il mezzo si conclude con il quesito di diritto se si debbano applicare, nel caso di preesistenza alla candidatura della causa di incandidabilita a sindaco, la L.R. 15 marzo 1963, n. 16, art. 175, D.P.R. n. 570 del 1960, artt. 76 e 84 e si debba sostituire il sindaco ab origine incandidabile con il secondo classificato, per l'effetto facendone derivare l'incandidabilità ab origine dell'intera lista al consiglio comunale con le conseguenze di legge in ordine all'assegnazione dei seggi in consiglio e all'attribuzione del cosiddetto premio di maggioranza L.R. n. 35 del 1997, ex art. 2, comma 5.
Il mezzo in esame è inammissibile, perché ignora la ratio decidendi posta dalla corte territoriale a fondamento della sua decisione. Nell'impugnata sentenza, infatti, la corte territoriale non ha affermato che la necessità dell'indizione di nuove elezioni deriverebbe dal sistema di elezione diretta del sindaco, introdotto dalla Legge Statale 25 marzo 1993, n. 81, e dalla conseguente necessità di non espropriare il corpo elettorale della scelta del sindaco, si che in senso critico rispetto a tale statuizione assuma rilevanza l'argomento della preesistenza (e non già della sopravvenienza) della causa ostativa alla candidatura (alla nomina al consiglio comunale nel sistema della legge anteriore, a sindaco nel sistema della legge posteriore). La corte messinese invece, premessa l'autonomia statutaria della Regione siciliana in questa materia, ha affermato che sia la proclamazione del nuovo sindaco, sia le pronunce consequenziali relative al consiglio comunale sono precluse dalla normativa regionale, disciplinante in maniera esaustiva e puntuale gli effetti, sull'intero apparato comunale, della cessazione della carica di sindaco; e che quest'ultima coinvolge la giunta, comporta sul piano immediato il rimedio della nomina del commissario ed il mantenimento in carica del consiglio, e successivamente l'indizione di nuove elezioni. Per essere pertinente, dunque, la censura doveva vertere sull'affermata autonomia statutaria della Regione siciliana in questa materia, o sull'assetto che la materia medesima ha nella normativa regionale.
In conclusione il ricorso principale deve essere respinto, e il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del presente giudizio di legittimità sono a carico del ricorrente principale, la cui soccombenza è prevalente, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna il ricorrente al rimborso delle spese dei ricorrenti incidentali, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, ci cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge, nonché delle spese dell'amministrazione della Prefettura di Messina, liquidate in Euro 1.600,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, della prima sezione civile, il 14 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 27 maggio 2008