Clausole di gara che modificano il termine di pagamento del corrispettivo

15 Maggio 2010 - Nullita' delle clausole di gara che modificano il termine di pagamento del corrispettivo, la decorrenza e la misura degli interessi moratori. Le norme sui termini di pagamento sono inderogabili (Consiglio di Stato Sentenza n. 469 del 02/02/2010)

Nullita' delle clausole di gara che modificano il termine di pagamento del corrispettivo, la decorrenza e la misura degli interessi moratori. Le norme sui termini di pagamento sono inderogabili (Consiglio di Stato Sentenza n. 469 del 02/02/2010)

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio le associazioni odierne appellate agivano per l’annullamento del bando di gara come sopra specificato, degli allegati schemi di contratto e dei capitolati tecnici, con particolare riguardo alla iniquità e nullità delle clausole relative al termine di pagamento del corrispettivo e alla decorrenza e misura degli interessi moratori.

Il giudice di primo grado decideva il ricorso in forma semplificata ritenendolo manifestamente fondato, rilevando: la legittimazione processuale delle ricorrenti associazioni sulla base dell’articolo 8 del D.Lgs.231 del 2002; la violazione dell’articolo 4 del D.Lgs.231 del 2002 della clausola, inserita nel bando, che prevede il pagamento del corrispettivo solo dopo sessanta giorni dal ricevimento della fattura; la iniquità per violazione dell’articolo 4 della clausola del contratto che prevede la decorrenza degli stessi interessi moratori solo dopo che siano decorsi centottanta giorni dalla scadenza del termine, dovendo gli stessi decorrere dal giorno successivo alla suddetta scadenza; la violazione dell’articolo 5 del D.Lgs.231 del 2002 della clausola del contratto di appalto che stabilisce un saggio di interesse con riguardo agli interessi moratori nella misura del tasso di interesse della Banca Centrale Europea, senza applicazione della maggiorazione prevista nella menzionata disposizione normativa di sette punti percentuali.

Avverso tale sentenza, ritenendola ingiusta, propone appello l’Amministrazione della Giustizia, deducendo le seguenti censure:

1) in via preliminare, si pongono dubbi sulla legittimazione delle ricorrenti associazioni di categoria, che non hanno partecipato alla gara; 2) inoltre la immediata impugnabilità delle clausole è possibile solo in caso di clausole preclusive alla partecipazione; 3) nel merito si osserva che la deroga all’articolo 4 è ammessa dalla medesima legge, che fa riferimento ad un possibile accordo tra le parti agli articoli 4 e 7, che richiede la giustificazione per ragioni obiettive.

Nella specie 18 imprese hanno presentato istanza di ammissione, 14 sono state ammesse a presentare l’offerta e soltanto sei offerte sono pervenute nei termini e quindi è stata effettuata l’aggiudicazione ad una di esse.

L’appellante Ministero deduce sia in ordine alla esistenza di ragioni obiettive, che rendono valide tali clausole, sia in ordine alla accettazione delle stesse da parte dei partecipanti.

Si giustifica la particolarità delle clausole di favore per l’Amministrazione, per la sua particolare posizione: il Ministero appaltante, una volta ricevuta la fattura, deve provvedere all’esame della stessa e alla verifica della corrispondenza del numero dei pasti, ad emettere il decreto di liquidazione e inviare il medesimo tramite SICOGE alla ragioneria Provinciale dello Stato per il controllo preventivo ex lege; successivamente si provvede al controllo su tale decreto di liquidazione e al successivo accreditamento della somma da parte della Ragioneria Provinciale dello Stato al conto corrente bancario del creditore.

Inoltre, le partecipanti formulano l’offerta nella piena conoscenza di tali clausole e le concorrenti hanno formulato la loro offerta, non solo accettandone quindi i contenuti, ma soprattutto modulando il prezzo in relazione alle varie clausole, tra le quali quelle contestate.

Si sono costituite le appellate associazioni, che deducono in via preliminare che l’appello è stato proposto soltanto dal Ministero della Giustizia, mentre il bando è stato indetto dal Provveditorato Regionale della Amministrazione Penitenziaria del Lazio. Nel merito chiedono il rigetto dell’appello perché infondato e perché sono da ritenersi inique le clausole contestate che, se rettamente formulate, avrebbero consentito una maggiore partecipazione di imprese alla gara stessa.

Con ordinanza adottata alla camera di consiglio del 22 settembre 2009 questa Sezione, in sede cautelare, ha accolto la richiesta di sospensione di esecutività della impugnata sentenza.

Alla udienza pubblica del 12 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1.Va rigettata la eccezione preliminare di inammissibilità dell’appello sollevata dalle appellate associazioni, che deducono tale vizio sulla base della circostanza che l’appello risulta proposto dal solo Ministero della Giustizia, mentre gli atti impugnati (il bando) sarebbero stati emessi dal Dipartimento della Amministrazione Penitenziaria e dal Provveditorato.

L’eccezione è infondata.

E’ principio noto che quando parte in giudizio, nella specie, attorea, sia una amministrazione dello Stato, valga sempre il principio della esclusiva legittimazione del Ministero in persona del Ministro p.t., tanto che addirittura qualsiasi errore sul Ministero interessato o sull’organo competente sarebbe irrilevante (così Cassazione 10 luglio 1991, n.7642).

Nella specie, è perfettamente appropriato che l’appello sia stato proposto dal Ministero, in persona del Ministro pro tempore, come prevede la disciplina in materia di rappresentanza dello Stato in giudizio.

La particolare disciplina in favore dello Stato (r.d. 1611 del 1933 e L.260 del 1958), nel senso della unitarietà della persona giuridica statale, è da giustificarsi, quando lo Stato è convenuto, con la esigenza di facilitare lo Stato, evitandogli difficoltà o inutili operazioni che ritardano le sue difese, e di fare giungere subito la lite all’organo competente.

Quando lo Stato è attore (nella specie è appellante) esso è sempre persona giuridica unitaria e eventuali errori sugli organi competenti – che nella specie neanche sussistono, avendo il Ministero, difeso dalla Avvocatura dello Stato, agito in persona del Ministro pro tempore, in presenza di bando adottato dal Dipartimento o dal Provveditorato, che sono articolazioni o strutture della organizzazione ministeriale – non provocherebbero alcun danno alla controparte e potrebbero essere comunque essere corretti liberamente e in ogni tempo dalla Avvocatura dello Stato.

2.Con il primo motivo di appello il Ministero della Difesa deduce la carenza delle condizioni dell’azione, il difetto di legittimazione ad agire delle ricorrenti associazioni rappresentative, perché estranee alla gara, e il difetto di interesse attuale, in quanto sarebbero immediatamente impugnabili soltanto le clausole del bando immediatamente preclusive alla partecipazione delle imprese.

Il motivo è infondato, sulla base di considerazioni che attengono alla particolarità della legittimazione e dell’interesse rispetto alla specialità della azione inibitoria e alla sua ratio nella disciplina in questione, anche in ragione della stretta connessione tra la legittimazione e l’interesse ad agire.

L’articolo 8 del D.Lgs.231 del 2002 prevede la legittimazione delle associazioni di categoria in rappresentanza delle imprese piccole e medie, richiedendo al giudice competente di accertare la iniquità di condizioni generali di contratto ai sensi dell’articolo 7, rispetto a clausole concernenti la data del pagamento, le conseguenze negative e di inibirne l’uso, chiedendo anche la adozione delle misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate.

La inibitoria è concessa quando ricorrono i giusti motivi di urgenza ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile.

La legittimazione delle associazioni di categoria è prevista quindi espressamente dalla normativa primaria, di recepimento della direttiva comunitaria, e pertanto non può essere posta in discussione.

Nella specie, sulla base della normativa speciale oggetto della recepita direttiva diretta a rafforzare le posizioni creditorie a priori considerate deboli, le associazioni in questione, pienamente in aderenza allo spirito della legge, non sono né imprese partecipanti né imprese che avrebbero voluto presentare domanda o avrebbero voluto comunque prendere parte alla gara in questione; inoltre, l’oggetto del giudizio a rigore non è il bando ma in realtà le clausole inique in esso contenute, di cui si vuole evitare l’inserimento.

Le ricorrenti sono associazioni di categoria che tutelano interessi collettivi (delle piccole e medie imprese che avrebbero voluto o potuto partecipare) rispetto a clausole contrattuali inserite contenutisticamente nel bando o nella lex specialis, che possono, a causa della loro iniquità, avere avuto un effetto dissuasivo rispetto ad una probabile e più allargata volontà di partecipazione.

E infatti, a rappresentare il loro interesse, le associazioni odierne appellate, ricorrenti in primo grado, hanno giustamente osservato come non rilevi affatto, ai fini delle condizioni dell’azione (legittimazione e interesse), la presenza di varie domande (una decina) e la partecipazione effettiva di sei imprese, che avrebbero accettato le clausole supposte inique: a ritenere sussistente l’interesse ad agire è la considerazione che, in assenza delle contestate clausole ritenute inique, ma che certamente non sono in sé ostative alla partecipazione alla gara, probabilmente avrebbero partecipato altre imprese medie o piccole in numero quindi maggiore rispetto alla gara come effettivamente svoltasi.

Non ha senso richiamare il, peraltro giusto e noto, principio della giurisprudenza amministrativa (dalla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2003) sulla immediata impugnabilità dei bandi (rectius, sull’onere di immediata impugnazione) solo in caso di clausole immediatamente preclusive o esclusive, rinviando alla congiunta impugnazione delle medesime unitamente alla aggiudicazione a favore di altri le altre clausole della lex specialis che riguardino invece le modalità di svolgimento della gara, le operazioni di gara, le modalità di pagamento e così via, ma che non abbiano impedito o siano in grado di impedire la partecipazione alla medesima gara.

D’altronde, la particolarità dell’interesse ad agire nel senso di una consentita anticipazione della attualità della soglia di lesività si giustifica, con riguardo alla azione di inibitoria instaurata ai sensi dell’articolo 8 su citato, in quanto non si tratta di azione ordinaria impugnatoria delle condizioni generali del contratto (rectius, del bando), ma di azione di accertamento della grave iniquità di esse clausole e di inibitoria all’uso delle medesime, azione diretta a prevenire e comunque impedire il danno derivante dalla esistenza di tali clausole.

Si tratta di una azione speciale particolare, disciplinata dalla normativa specifica, che configura un diritto soggettivo del soggetto legittimato o comunque una posizione a tutela di interessi collettivi o di categoria (art. 8).

La inibitoria finale, come nella specie, (non incidentale, nel senso che “casca dentro” al giudizio principale, come pure è processualmente possibile) è quel comando del giudice, che, intervenendo processualmente dopo l’accertamento dei diritti e dei doveri delle parti (previo accertamento quindi della invalidità per iniquità), ha come contenuto l’obbligo di porre immediatamente fine ad una attività illecita o di non porla mai in essere.

Proprio in questo senso, la disposizione dell'art. 8, d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231 (555), recante in rubrica "tutela degli interessi collettivi", intende attuare le indicazioni dell'art. 3 della direttiva 2000/35/CE (556) sui ritardi nei pagamenti, per cui "gli Stati membri assicurano che, nell'interesse dei creditori e dei concorrenti, esistano mezzi efficaci e idonei per impedire il continuo ricorso a condizioni gravemente inique", specificando, al successivo 5° comma, che debbono adottarsi "disposizioni che consentano a organizzazioni titolari di un riconoscimento ufficiale di legittimo interesse a rappresentare piccole e medie imprese, di agire a norma della legislazione nazionale dinanzi ai tribunali o ad organi amministrativi competenti per decidere se le condizioni contrattuali stabilite per uso generale sono gravemente inique ai sensi del paragrafo 3, in modo che possano ricorrere a mezzi appropriati e efficaci per impedire che si continui a ricorrere a tali condizioni".

Nell'art. 8 tutto ruota attorno al conferimento della legittimazione ad agire alle associazioni di categoria degli imprenditori per ottenere l'inibizione dell'utilizzo (l’inserimento) di condizioni contrattuali gravemente inique ex art. 7, oltre all'adozione di misure idonee a correggere gli effetti delle violazioni e alla pubblicazione del provvedimento su quotidiani.

In particolare, si è introdotta una forma di tutela generale e preventiva contro l'utilizzazione di condizioni contrattuali inique, accanto, a monte ed a livello collettivo, rispetto alla tutela individuale e successiva del singolo imprenditore che abbia già stipulato un contratto contenente clausole inique.

Ai sensi del comma 2, poi, l'inibitoria può essere pronunciata anche in sede cautelare, sussistendo giusti motivi d'urgenza, con rinvio al procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis e seguenti c.p.c.

Il comma 3 consente alle associazioni di ottenere la pronuncia di una condanna del soccombente al pagamento di una somma di denaro per ogni giorno di ritardo nell'adempimento di quanto ordinato con il provvedimento inibitorio di cui ai primi due commi.

Poiché la disposizione dell'art. 8 mira ad impedire la circolazione di condizioni generali di contratto gravemente inique nei rapporti tra imprenditori, l'intento del legislatore delegato è quello di estendere la tutela contro l'uso di clausole vessatorie o abusive, prevista dall'art. 1469-sexies c.c. per i consumatori, a soggetti che tali non sono ma che operano sul mercato appunto quali imprenditori. La tutela vale per le clausole contrattuali che incidano sul termine per l'adempimento e sulle conseguenze del ritardato pagamento (in particolare, sugli interessi moratori).

Si intende per imprenditore "forte" anche la pubblica amministrazione per indicare colui che predispone condizioni generali di contratto e le utilizza nelle "transazioni commerciali", e che è convenuto nell'azione collettiva; di imprenditore "debole" in relazione al soggetto cui mira la tutela predisposta dal decreto legislativo, cioè la piccola o media impresa che si vede imposte, nelle "transazioni commerciali" che stipula con un imprenditore, clausole generali contrattuali inique da quest'ultimo predisposte.

Quanto alla legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi, il comma 1 dell'art. 8 attribuisce, come detto, la legittimazione ad agire alle associazioni di categoria degli imprenditori, per ottenere dal giudice i provvedimenti di cui alle tre lettere contenute nella stessa disposizione.

Soprattutto, ed essenzialmente, dalla lettura combinata del punto a) del comma 1 e del comma 2, emerge la facoltà delle associazioni di esperire un'azione inibitoria e di accertamento della iniquità.

Si tratta di un processo che porta, in caso di accoglimento della domanda, alla pronuncia di una sentenza che accerta la invalidità delle clausole inique e con cui si ordina eventualmente al soccombente la cessazione del suo comportamento illegittimo e l'astensione da esso pro futuro, ovvero se non è già in atto una condotta abusiva la si inibisce in via preventiva; nel caso qui previsto, si dichiara la invalidità di tali clausole e eventualmente si ordina ad un imprenditore "forte" di astenersi dall'utilizzare, nei propri moduli contrattuali e nella stipulazione con altri imprenditori "deboli" sul mercato, condizioni gravemente inique.

Quale sia l'oggetto del processo "inibitorio" e di accertamento della iniquità immaginato dal legislatore delegato emerge dalla esegesi combinata dei riferimenti testuali agli "interessi collettivi" ed alla "legittimazione ad agire" attribuita alle associazioni rappresentative in funzione dell'inibitoria.

Si tratta di interessi della categoria collettivamente intesa e riguardata, di cui sono resi portatori gli enti di essa rappresentativi: la legge opera un procedimento di "soggettivazione" dell'interesse in capo all'associazione, cui attribuisce un diritto soggettivo proprio ed autonomo all'astensione o alla cessazione dell'utilizzo sul mercato di condizioni inique.

Più precisamente, secondo taluni l'art. 8 muove dalla premessa che la grave iniquità sia una situazione giuridica qualificabile come diritto superindividuale o interesse diffuso.

La via interpretativa seguita da altri è ritenere che, a livello sistematico, il legislatore operi uno stretto collegamento funzionale tra la legittimazione ad agire e l'inibizione del comportamento abusivo: la legge crea un meccanismo per cui è attribuita alle associazioni la titolarità del diritto nel momento stesso in cui è riconosciuta la facoltà di azione a sua tutela.

Si tratta, come si esprime la dottrina, di un "diritto sotto veste d'azione" : le associazioni di categoria si vedono riconosciuto, contestualmente all'azione, un vero e proprio diritto al non uso da parte di imprenditori "forti" sul mercato di condizioni generali di contratto inique.

Accertando la invalidità per iniquità delle clausole, si accerta il diritto al non uso nei confronti della parte c.d. “leonina”.

Così, il legislatore italiano conferma la propria tendenza a tutelare interessi riconducibili ad una classe o categoria mediante soggettivazione degli stessi in capo ad enti rappresentativi ed attribuzione a questi ultimi di un diritto riconosciuto contestualmente alla previsione dell'azione.

Si pensi soprattutto, oltre che all'inibitoria dell'art. 1469-sexies c.c. e a quella dell'art. 3, legge n. 281 del 1998, vicine al presente art. 8, al procedimento per la repressione di condotte antisindacali ex art. 28 Statuto dei Lavoratori, che dà un'azione alle associazioni sindacali a tutela del proprio diritto soggettivo, contestualmente riconosciuto, al comportamento non-antisindacale del datore di lavoro, ed all'art. 2601 c.c., il quale prevede un'azione, funzionale alla cessazione della concorrenza sleale posta in essere da un imprenditore, attribuita alla legittimazione iure proprio delle associazioni professionali.

È questa, poi, la tendenza anche di altri ordinamenti, vicini al nostro, quale ad esempio quello francese che, proprio in materia di clausole contrattuali abusive, ha scelto l'attribuzione di un diritto proprio alle associazioni di categoria in funzione dell'inibitoria dell'uso di siffatte clausole: si legga in proposito l'art. L 421-6 del Code de la Consommation, adottato con la legge n. 93-949 del 26 luglio 1993, nel quale è confluita la legge n. 88-14 del 5 gennaio 1988 specificamente dedicata alle azioni contro condizioni contrattuali inique.

Né può fare sorgere dubbio interpretativo la dizione "in rappresentanza" riferita alle associazioni di categoria.

In realtà non si tratta di "agire in rappresentanza", ma di concreta rappresentatività, che giustifica la legittimazione ad agire.

La legittimazione è attribuita alle associazioni qualificate dall'essere "prevalentemente in rappresentanza delle piccole e medie imprese" , mentre è da escludersi che si tratti di sostituzione processuale, ammessa ai sensi dell’art. 81 c.p.c. soltanto nei casi in cui la legge lo prevede espressamente.

Si deve allora correttamente intendere che la rappresentanza in questione sia soltanto criterio per l'individuazione delle associazioni di categoria cui la legittimazione ad agire è attribuita, in conformità a quanto previsto dall'art. 1469-sexies c.c., per cui deve trattarsi di associazioni "rappresentative".

Quanto alla giurisdizione competente, essa appartiene all’adito giudice amministrativo, sia sulla base dell’articolo 244 del D.Lgs.163 del 2006, sia sulla base dell’art. 6 della L.205 del 2000, le procedure di affidamento di contratto di appalto di lavori pubblici, servizi e forniture, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che conosce delle posizioni di diritto o interesse (Cassazione a SS.UU. n.11656 del 2008), esulando dalla giurisdizione del giudice amministrativo solo le controversie sulla esecuzione e cioè sul contratto ormai stipulato e quindi sul contratto non più in quanto negozio ma in quanto rapporto (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n.9 del 2008).

Nel caso in esame la contestazione riguarda formalmente il bando, ma soprattutto il contenuto iniquo di talune delle clausole contrattuali in esso inserite e il giudizio di invalidità sulla base della loro ritenuta iniquità.

Pertanto, in definitiva, sussistono le condizioni dell’azione; sussistono i presupposti per la tutela inibitoria o per l’accertamento di cui al decreto legislativo; sussiste la giurisdizione dell’adito giudice amministrativo; oggetto del giudizio sono le clausole inique di cui si vuole impedire l’inserimento.

4.Non è accoglibile la censura, consistente nel sostenere una pretesa inapplicabilità della direttiva in questione, sulla celerità dei pagamenti nelle transazioni commerciali, alla pubblica amministrazione.

Anzi, vale il richiamo specifico dell’articolo 2 del D.Lgs., che definisce la nozione di pubblica amministrazione, ritenendo anche essa imprenditore forte ai sensi e per i fini del medesimo decreto.

Inoltre, proprio la presenza di alcune clausole contrattuali contrastanti con le previsioni imperative della direttiva e in conflitto con lo spirito del D.Lgs.231 del 2002, che tutela la posizione presuntivamente debole dei creditori fornitori della P.A., dimostra come la fattispecie si attagli alla situazione di “esorbitanza” di poteri, tipica del soggetto che si pone in modo autoritativo (autorità pubblica o privata che sia).

In effetti tale condotta dell’amministrazione (che può essere contestata dai partecipanti sia nella fase antecedente che in quella del rapporto contrattuale e che nella specie viene contestata in via preventiva ai sensi del citato articolo 8 da associazioni rappresentative di imprese medie e piccole) integra e concreta proprio uno di quei comportamenti abusivi della parte contrattualmente più forte che il legislatore ha inteso contrastare attraverso la introduzione di un “diritto diseguale”, mirante a stabilire un equilibrio giuridico antitetico rispetto al potere reale dei paciscenti (in tal senso, Consiglio di Stato, V, 11 gennaio 2006, n.43).

5.Con riguardo all’altra deduzione del Ministero appellante, il Collegio osserva che non può sostenersi, come pretende l’amministrazione, che tali regole imperative sarebbero derogabili e che sarebbe consentito un diverso accordo, rinvenibile, nella specie, nella presentazione della offerta, che implicherebbe acquiescenza-accettazione alla sostanziale iniquità.

L’amministrazione pubblica, infatti, non ha il potere di stabilire unilateralmente le conseguenze del proprio stesso inadempimento contrattuale (come gli interessi moratori o le conseguenze del ritardato pagamento) né potrebbe subordinare la possibilità di partecipare alle gare alla accettazione di clausole aventi simili contenuti, se non a costo di ricadere sotto le sanzioni di invalidità, per iniquità, vessatorietà, mancanza di specifica approvazione a seguito di trattative, sanzioni sopra descritte (in tal senso, Consiglio Stato, V, 30 agosto 2005, n.3892).

Non può sostenersi la prevalenza di tali clausole rispetto a quanto previsto dal decreto legislativo di recepimento della direttiva comunitaria: a parte il valore di supremazia della disciplina di derivazione comunitaria, oltre che della normativa nazionale imperativa, vale il principio per cui il contratto obbliga le parti non solo alle regole previste dal medesimo, ma anche al rispetto delle regole imperative e a tutto ciò che deriva dalla legge, dagli usi o dalla equità (articoli 1339, 1419, 1418 e 1374 del codice civile).

Le norme imperative hanno pertanto un valore anche sostitutivo (arttt. 1339 e 1419 c.c.) di quanto previsto in violazione di esse.

Conseguentemente: 1) è invalida ogni clausola contrattuale che preveda regole diverse e inique rispetto alle regole imperative, che automaticamente si sostituiscono a quelle invalide; 2) sarebbe illegittima ogni esclusione basata sulla non-accettazione o sull’espresso dissenso, da parte di una partecipante, di una clausola contrattuale iniqua; 3) in sede di esecuzione contrattuale, le clausole invalide si porrebbero nel nulla a richiesta di parte o di ufficio (ai sensi del terzo comma dell’art. 7 il giudice dichiara anche di ufficio la nullità e applica i termini di legge o riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo: si tratta di una cosiddetta nullità speciale di derivazione comunitaria); 4) infine, e ciò rileva nel caso di specie, in caso di azione inibitoria intentata da associazioni di categoria a tutela di interessi collettivi le clausole da ritenersi inique sono poste nel nulla e quindi non applicabili, anche se comunque mantiene la sua funzione l’ordine inibitorio, a causa dell’effetto dissuasivo che tali clausole inique, per quanto insuscettibili di produrre effetti, potrebbero avere sulla volontà a partecipare delle imprese medie e piccole.

Lo scopo del particolare strumento di tutela individuato dalla legge è quello di impedire l’inserimento di tali clausole, prima ancora della loro applicazione o invalidazione.

6.Con altro mezzo di appello il Ministero della Difesa sostiene, la non iniquità nei contenuti delle clausole contestate, che invece ai sensi dell’articolo 7, sarebbero motivate giustamente sulla base delle ragioni oggettive dell’amministrazione pubblica e in particolare a causa della lunghezza della procedura di pagamento.

Il motivo svolto dalla Amministrazione è infondato.

Le clausole contestate e ritenute nulle perché inique dal primo giudice riguardano: il pagamento del corrispettivo a 60 giorni dal ricevimento della fattura, anziché ai 30 giorni, previsti dall’art. 4 del D.Lgs.231 del 2002; la decorrenza degli interessi moratori dal 180° giorno anziché dal 30° giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento, previsto dall’articolo 4; il saggio di interesse dell’1% anziché dell’8% (1% tasso BCE, più 7 punti di maggiorazione) previsto dall’art. 5.

Le clausole suddette si pongono in diretta violazione degli articolo 4 e 5 del D.Lgs.231 del 2002, la cui deroga non è ammessa dalla legge né nella presentazione della offerta può rinvenirsi il diverso accordo contrattato dalle parti solo a seguito di apposita contrattazione e trattativa sul punto, che evoca un concetto di contatto di tipo pararapportuale (o precontrattuale) che non può rinvenirsi certo nel binomio “bando- presentazione dell’offerta”, che già integra (quantomeno in parte) la conclusione del contratto.

Inoltre, tali clausole si pongono in modo indubbio nel senso di introdurre un ingiustificato vantaggio per la amministrazione predisponente, concretandosi nella aperta violazione della disciplina di riequilibrio delle diverse posizioni di forza, la cui tutela la direttiva comunitaria è proprio diretta a rafforzare.

7.Per le considerazioni sopra svolte, l’appello va respinto, con conseguente conferma della impugnata sentenza, che ha sancito la invalidità di tali clausole, con l’effetto di impedirne l’inserimento.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2010 con l'intervento dei Signori:



Gaetano Trotta, Presidente

Antonino Anastasi, Consigliere

Anna Leoni, Consigliere

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Vito Carella, Consigliere