Adozione speciale ai sensi dell'art. 44 della l. 184/1983 violazione del principio del contraddittorio

Adozione speciale ai sensi dell'art. 44 della l. 184/1983 violazione del principio del contraddittorio -  il  tutore dell'adottando minorenne è parte necessaria

Civile e Procedura civile - Adozione speciale ai sensi dell'art. 44 della l. 184/1983 violazione del principio del contraddittorio -  il  tutore dell'adottando minorenne è parte necessaria (Cassazione, sez. I civile, sentenza n. 15485 del 16 ottobre 2003)

Vxxxx Sxxxxx. riconosceva come propria figlia naturale la minore G., nata a Sansepolcro il 28 luglio 1996 da donna che non aveva provveduto a riconoscere la bambina. Il Tribunale per i Minorenni di Roma, dubitando della veridicità di detto riconoscimento, con decreto del 28 aprile-2 maggio 1997 nominava un curatore
speciale alla minore perché procedesse alla relativa impugnazione, sospendeva la potestà genitoriale del S., nominava tutore provvisorio il Sindaco del Comune di Roma e disponeva l'allontanamento della minore dall'abitazione del S. e della moglie L. T., nella quale era stata inserita senza l'autorizzazione prescritta dall'art. 252 c.c. Tale decreto poteva avere esecuzione soltanto il 29 dicembre 1999. Il 20 aprile 2000, dopo essere stata ospitata in casa-famiglia, la bambina era affidata ai coniugi G., residenti a Carcare di Savona.

Con sentenza del 12-19 maggio 2000, non impugnata, il Tribunale di Roma, dinanzi al quale era stato proposto il giudizio di impugnazione del riconoscimento, ne dichiarava la non veridicità.

Frattanto il S. e la T. proponevano domanda di adozione ai sensi dell'art. 44, lettera c), della l. 184/1983.

Con decreto del 12 aprile-10 maggio 2001 il Tribunale per i Minorenni rigettava la domanda, osservando che la bambina era ben integrata nel nucleo familiare che la aveva accolta e che un nuovo cambiamento di vita sarebbe stato gravemente pregiudizievole per l'armonico sviluppo della sua personalità.

Proposto reclamo dai coniugi T. e S., la Corte di appello di Roma, sezione per i Minorenni, disposta consulenza tecnica di ufficio diretta ad accertare lo stato psicologico della bambina, con particolare riguardo ai suoi rapporti con la famiglia affidataria ed ai precedenti legami con i reclamanti, con decreto del 13 dicembre 2002-14 gennaio 2003 confermava il provvedimento impugnato.

Osservava in motivazione la Corte territoriale che dalla indagine compiuta era emerso che la minore era fortemente legata alla famiglia affidataria, ma soffriva di ansie circa il proprio futuro, alimentate dal ricordo dei coniugi S. quali precedenti figure affettive di riferimento, e che tuttavia l'allontanamento dal nuovo nucleo si sarebbe probabilmente tradotto in un nuovo lutto, più gravoso del processo ancora in atto di elaborazione della perdita dei precedenti genitori. Sulla base di tali rilievi riteneva che fosse interesse della minore rimanere presso i coniugi G., che intendevano adottarla.

Avverso tale decreto hanno proposto ricorso per cassazione L. T. e Vxxxx Sxxxxx. prospettando due motivi illustrati con memoria. Il Sindaco del Comune di Roma, tutore della minore, ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente rilevata l'ammissibilità del ricorso per cassazione avverso il provvedimento in oggetto.

Come è noto, nella giurisprudenza di questa Suprema corte si è reiteratamente affermato che in materia di adozione speciale ai sensi dell'art. 44 della l. 184/1983 il ricorso straordinario per Cassazione avverso il decreto emesso dalla Corte di appello in sede di reclamo è inammissibile se il provvedimento è negativo, in quanto privo dei necessari requisiti della definitività e decisorietà, mentre è ammissibile nei casi in cui venga disposta l'adozione, trattandosi di provvedimento non altrimenti impugnabile e di contenuto decisorio, che incide con autorità di giudicato, sia pure rebus sic stantibus, sulle posizioni soggettive del minore e degli altri interessati (v., più di recente, Cassazione 9689/2002; 4026/2001; 3130/2001; 9795/2000; 8240/2000; 5417/2000).

Tale orientamento non è peraltro più invocabile con riferimento alla adozione in casi particolari regolata dalla legge di riforma dell'adozione 149/2001, che, modificando all'art. 30 l'art. 313 c.c., richiamato dall'art. 56, ultimo comma, della l. 184/1983, ha previsto che il relativo provvedimento sia assunto con la forma della sentenza, e non più del decreto.

Della vigenza di tale normativa non vi è peraltro ragione di dubitare, atteso che le norme di differimento dell'entrata in vigore della l. 149/2001, contenute nel d.l. 150/2001, convertito in l. 240/2001, nel successivo d.l. 126/2002, convertito in l. 175/2002, ed infine nel d.l. 147/2003, convertito in l. 200/2003, hanno riguardo soltanto ai procedimenti per la dichiarazione dello stato di adottabilità ed ai relativi giudizi di opposizione, nonché ai procedimenti di cui all'art. 336 c.c.

E poiché nella specie il decreto del primo giudice è stato deliberato in epoca precedente, ma depositato successivamente all'entrata in vigore, in parte qua, della legge di riforma, va riconosciuta natura di sentenza sia a detto provvedimento sia a quello emesso in sede di gravame dalla Corte di appello, con conseguente impugnabilità di quest'ultimo con ricorso ordinario per cassazione, per tutti i motivi di cui all'art. 360 c.p.c.

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione del principio del contraddittorio ai sensi degli artt. 101 e 102 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 45 e 56 della l. 184/1983, 313 c.c. e 7 della l. 184/1983, nel testo modificato dal punto 3 dell'art. 7 della l. 149/2001, si deduce che la Corte di appello ha erroneamente omesso di chiamare in giudizio e di procedere all'audizione del legale rappresentante della minore, in persona del tutore, il quale avrebbe potuto esprimere il consenso all'adozione, ed ha altrettanto erroneamente mancato di sentire direttamente la minore, previa valutazione della sua capacità di discernimento.

Il primo profilo di censura è fondato.

Ed invero l'art. 313 c.c., richiamato - come già ricordato - dall'art. 56, ultimo comma, della l. 184/1983, attribuisce la legittimazione ad impugnare la sentenza emessa in tema di adozione in casi particolari, oltre che all'adottante ed al P.M., anche all'adottando, così chiaramente riconoscendogli la qualità di parte del procedimento. Va al riguardo considerato che la mancata indicazione in detta disposizione del legale rappresentante del minore trova evidente ragione nel rilievo che essa è stata dettata con specifico riferimento all'adozione di persone maggiorenni e quindi dotate di piena capacità processuale. Il necessario adattamento della norma al procedimento di adozione in casi particolari - determinato dalla scelta del legislatore di disciplinare l'impugnazione attraverso lo strumento del mero rinvio al codice civile - impone di ritenere, non potendo i minori stare in giudizio se non rappresentati dai genitori titolari della potestà ovvero dal tutore, che la legittimazione ad impugnare spetti al legale rappresentante del minore, al quale va pertanto riconosciuta la qualità di parte.

Tale è peraltro la linea espressa nella sentenza della Corte costituzionale 401/1999, che, nel dichiarare non fondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 30 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 56, comma 4, della l. 184/1983, nella parte in cui, richiamando l'art. 313 c.c., non contempla tra i soggetti legittimati ad impugnare il decreto di adozione in casi particolari anche i genitori dell'adottando, purché non decaduti dall'esercizio della potestà, ha ritenuto la norma in esame conforme a Costituzione se interpretata nel senso che il genitore dell'adottando va incluso tra i soggetti legittimati all'impugnazione, rilevando che negare la loro legittimazione a proporre reclamo contrasterebbe con la tutela costituzionale del diritto di azione, spettante a soggetti che in quanto esercenti la potestà genitoriale non possono non essere contraddittori necessari nel procedimento di adozione in casi particolari.

E pertanto, in consapevole contrasto con la pronuncia di questa Suprema corte 2749/1993, che richiamando la sentenza della Corte costituzionale 182/1988, dichiarativa della illegittimità costituzionale degli artt. 45, comma 2, e 56, comma 2, della l. 184/1983, nella parte in cui prevedevano il consenso, anziché l'audizione del legale rappresentante del minore, ha negato al tutore, in quanto investito di una funzione meramente consultiva in ordine all'interesse del minore, la qualità di parte e quindi la legittimazione all'impugnazione, ritiene il Collegio che la previsione dell'adottando tra i soggetti legittimati all'impugnazione comporti il riconoscimento al legale rappresentante dell'adottando minorenne della qualità di parte del procedimento.

E poiché nella specie risulta dall'esame degli atti che il tutore della minore, intervenuto in primo grado, non ha avuto alcuna conoscenza legale del gravame e non ha partecipato in alcun modo al relativo procedimento, la sentenza impugnata deve essere cassata.

L'accoglimento di tale profilo di censura determina l'assorbimento delle altre doglianze contenute nello stesso motivo, nonché del secondo motivo di ricorso.

La causa va pertanto rinviata alla Corte di appello di Roma, sezione per i minorenni, in diversa composizione, che provvederà all'integrazione del contraddittorio nei confronti del tutore della minore e pronuncerà anche sulle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo. Cassa e rinvia anche per le spese alla Corte di appello di Roma, sezione per i
minorenni, in diversa composizione.