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Condominio - revoca giudiziale dell’amministratore del condominio

Il procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore del condominio a cura di Riccardo Redivo. Magistrato in quiescenza. Già Presidente di Sezione della Corte di Appello di Roma - 26 Ottobre 2018

REVOCA GIUDIZIALE DELL’AMMINISTRATORE DEL CONDOMINIO

Sommario

IL PROCEDIMENTO DI REVOCA GIUDIZIALE DELL’AMMINISTRATORE DEL CONDOMINIO.. 1

  1. Inquadramento. 1
  2. Il ricorso. 2
  3. La difesa personale. 2
  4. L’istruttoria. 3
  5. Il provvedimento giudiziale. 4
  6. Il reclamo avanti alla Corte d’Appello. 5
  7. L’impugnazione in Cassazione: inammissibilità e improcedibilità. 6
  8. La mediazione. 6
  9. Le spese. 7
  10. Cenni sulla volontaria giurisdizione in materia condominiale. 8 

  IL PROCEDIMENTO DI REVOCA GIUDIZIALE DELL’AMMINISTRATORE DEL CONDOMINIO

  1. Inquadramento

 Va premesso che, ai sensi dell’art. 64 c.p.c., come modificato dalla riforma dell’istituto condominiale del 2012, sulla revoca giudiziale del legale rappresentante dell’ente da questi gestito, può essere disposta dall’autorità giudiziaria nel caso di cui questi non dia “senza indugio” notizia all’assemblea di provvedimenti o di citazioni attinenti al condominio che esorbitano dalle sue attribuzioni (art. 1131, IV comma c.c.) o se non renda il conto della sua gestione ovvero in caso di gravi irregolarità.(art. 1129, XI comma c.c.).

Ove, poi, siano emerse gravi irregolarità fiscali ovvero nell’ipotesi di mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale, è anche previsto che i condomini, anche singolarmente, prima di adire il tribunale competente per la revoca del legale rappresentante dell’ente da questi gestito, debbano necessariamente convocare l’assemblea condominiale per fare cessare la violazione e revocargli il mandato, mentre, come previsto dalla medesima norma, soltanto nel caso di mancata revoca da parte dell’assemblea, ciascun condomino ha diritto di rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenerne il relativo provvedimento.

Il ricorso dovrà essere trattato e deciso in camera di consiglio, quindi, dal Tribunale in composizione collegiale, in quanto i procedimenti camerali, sono disciplinati dall’art. 50 bis, II comma c.p.c., ove si prevede la riserva di collegialità per i procedimenti camerali (così Cass. sez.un. n.12609/2012).

Tutto questo salvo ovviamente il caso in cui diventi operativo un progetto di legge, già presentato in parlamento, che affidi alla competenza del giudice di pace ogni contenzioso attinente la materia condominiale.

La decisione dell’autorità giudiziaria deve essere pronunciata con decreto motivato dal Tribunale ed è impugnabile dalle parti con reclamo alla Corte d’appello competente entro 10 giorni dalla notifica o dalla comunicazione dello stesso (n.b. La comunicazione è stata aggiunta con la riforma della legge n. 220/2012).

Al solo amministratore deve essere notificato il ricorso, con il relativo decreto di fissazione dell’udienza del giudice adito, ma non al condominio, non legittimato né attivamente, né passivamente, come ormai chiarito definitivamente dalla giurisprudenza, che ha affermato che “in tema di condominio di edifici, nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell’amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l’amministratore e non anche il condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all’amministratore stesso, né beneficiare della condanna alle spese del condomino o dei condomini ricorrenti” (in tal senso cfr. Cass. n. 23955/2013; conf. Cass. n. 12636/1995).

Una novità della riforma, da sottolineare, è quella relativa all’obbligo per il Collegio investito della controversia, di sentire l’amministratore convenuto in contraddittorio con la parte ricorrente.

Come si osserva in dottrina, l’espressione usata dal legislatore “sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente” non può essere intesa nel senso letterale ovvero che questi debba necessariamente essere udito oppure interrogato sulle circostanze addotte nel ricorso per la sua revoca, ma semplicemente che il procedimento debba svolgersi “in contraddittorio con il ricorrente” dell’amministratore, al fine di consentirgli un’idonea difesa.

Per quanto riguarda l’ipotesi di un amministratore dimissionario nel corso del giudizio relativo alla sua revoca, permane, comunque, in capo al ricorrente un interesse sostanziale ad ottenere ugualmente una pronuncia che investa il merito della pretesa azionata, poiché l’art. 1129, XIII comma c.c., prevede espressamente che, in caso di revoca l’assemblea non possa nuovamente nominare l’amministratore che sia stato revocato (così Trib. Milano 2 dicembre 2016).

Infine va evidenziato che è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello, salvo che in esso vi sia una statuizione di condanna alla rifusione delle spese del giudizio.

  1.  Il ricorso

L’atto introduttivo del procedimento deve rivestire, in relazione alla generale previsione dell’art. 737 c.p.c., la forma del ricorso e, come accennato, deve essere rivolto al Tribunale del luogo dove si trova l’edificio in condominio.

Per quanto concerne il contenuto del ricorso deve farsi riferimento al disposto di cui all’art. 125 c.p.c., che disciplina gli elementi tipici di un complesso di atti (tra i quali va individuato anche il ricorso), subordinando l’eventuale revoca ad un’espressa statuizione normativa.

Il ricorso, pertanto, deve contenere l’indicazione dell’ufficio giudiziario, del nome delle parti (al riguardo deve ritenersi sufficiente l’indicazione nominativa del o dei ricorrenti e del condominio cui la domanda inerisce, non essendo utile l’elencazione dei singoli condomini), l’oggetto e le ragioni dell’istanza. e delle ragioni di essa.

Il Presidente del Tribunale, successivamente provvederà, ex art. 739 c.p.c., a designare il relatore che, in camera di consiglio, dovrà riferire in ordine al ricorso presentato dal condomino ovvero dai condomini interessati.

E’, altresì, necessaria la notifica del ricorso e del decreto presidenziale di fissazione dell’udienza all’amministratore, mentre, come accennato, deve pacificamente escludersi la necessità di una notifica predetta agli altri partecipanti al condominio.

Deve ancora rilevarsi che, mentre il procedimento per la nomina dell’amministratore è subordinato alla prova di una situazione di oggettiva impossibilità o totale inerzia dell’assemblea a provvedere sulla predetta nomina, nell’ipotesi di domanda di revoca non è configurabile un’analoga pregiudiziale, in quanto detta domanda non deve essere necessariamente preceduta da una sollecitazione di una manifestazione di volontà del’assemblea sui motivi di doglianza del singolo o di più condomini (salva, come previsto dalla riforma, l’ipotesi di irregolarità fiscali o relative alla mancata apertura ed alla utilizzazione del conto corrente condominiale, in presenza delle quali è sempre necessaria una preventiva convocazione dell’assemblea per risolvere la questione).

Infatti, in ordine all’istanza di revoca, deve prevalere il rilevo che la gravità e l’urgenza risultano di fatto incompatibili con preventive, lunghe ed inutili convocazioni e discussioni assembleari, poiché, comunque, anche se il parere prevalente dell’assemblea sia contrario alla revoca del legale rappresentante, i soggetti interessati hanno sempre il diritto di adire l’autorità giudiziaria al fine di fare cessare la gestione del condominio da parte dell’amministratore contestato.

  1.  La difesa personale

La giurisprudenza, in considerazione della natura di volontaria giurisdizione del procedimento di revoca giudiziale dell’amministratore del condominio, ha ritenuto ammissibile il ricorso del condomino dinanzi all’autorità giudiziaria, con istanza presentata dall’interessato personalmente anche senza l’assistenza di un difensore nominato allo scopo (in tal senso cfr. Trib. Napoli 21 novembre 2007).

Di recente è stata la Suprema Corte a ribadire il principio, già seguito in precedenza costantemente dalla giurisprudenza di merito, con ordinanza n. 15706/2017, per cui “nel giudizio di revoca dell’amministratore di condominio non è richiesto il patrocinio di un difensore legalmente esercente, ex art. 82, comma III c.p.c., trattandosi di un procedimento camerale plurilaterale tipico, che culmina in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o status; pertanto, ove si difenda personalmente e non rivesta anche la qualità di avvocato, il condomino che agisca per la revoca può richiedere, indicandole in apposita nota, unicamente il rimborso delle spese vive concretamente sopportate e non anche la liquidazione del compenso professionale che spetta solo al difensore legalmente esercante”.

E’, tuttavia, consigliabile a chi agisca al fine di fare cessare l’incarico conferito all’amministratore nominato dall’assemblea, si faccia ugualmente assistere da un avvocato, soprattutto nelle ipotesi di gravi irregolarità non tipizzate dal XII comma dell’art. 1129 c.c. dalla riforma di cui alla legge n. 220/2012 (che comportano una valutazione spessa complessa e, comunque, discrezionale del Tribunale al riguardo).

La stessa Suprema Corte a sezioni unite, nel passato (Cass. sez. un. n. 20957/2004) aveva riaffermato che il procedimento analizzato è improntato a rapidità, informalità ed officiosità e che il provvedimento conseguente è diretto, da un lato, alla gestione di interessi plurimi, rivestendo un carattere eccezionale ed urgente, sostitutivo della volontà assembleare, senza però rivestire alcuna attitudine di decisorietà e, dall’altro, alla conseguente stabilità propria dei provvedimenti volti alla tutela di diritti o status, destinati perciò, come tali, ad acquisire valenza di giudicato formale e sostanziale.

La questione va esaminata alla luce del disposto di cui all’art. 82 cit., secondo il quale, di norma vi è l’obbligo di stare in giudizio con il ministero di un difensore, con l’eccezione dei giudizi promossi dinanzi al giudice di pace, nei quali le parti possono stare in giudizio personalmente nelle cause di valore non superiore ad € 516,46, salva, negli altri casi, un’autorizzazione espressa dello stesso giudice di pace, in considerazione della natura e dell’entità della causa.

Rimane, altresì, la possibilità di difesa personale relativamente ai procedimenti camerali di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile.

Va, in tema evidenziato che l’espressione usata dal legislatore “stare in giudizio”, secondo parte della dottrina, attiene alla sola giurisdizione contenziosa, mentre per altri autori, la predetta espressione riguarda anche la volontaria giurisdizione (salvo che per essa si configurino disposizioni particolari incompatibili con la disciplina generale relativa al processo contenzioso), talchè anche per i procedimenti di volontaria giurisdizione sarebbe di regola necessaria la rappresentanza legale.

Oggi il problema deve considerarsi ormai risolto, avendo sin dalla fine degli anni Sessanta la giurisprudenza di legittimità affermato che l’art. 82 cit. va riferito ad un “giudizio” nel quale vi sia un soggetto, quale “parte di esso”, mentre nella tipica volontaria giurisdizione non si tratta di un giudizio, non essendovi una parte in senso tecnico, ma solo un cittadino che chiede un provvedimento a contenuto strettamente amministrativo, solo soggettivamente giudiziario, nel senso che, per ragioni diverse il legislatore ha scelto di attribuire la decisione ad un giudice, anziché, come sarebbe logico, ad un’autorità amministrativa”.

La soluzione appare condividibile e ragionevole, date le caratteristiche tipiche del procedimento camerale da applicarsi, quale quello svolto in materia condominiale, che costituisce uno strumento assai più snello rispetto a quello fornito ai giudici del contenzioso e, soprattutto, più facilmente utilizzabile proprio da soggetti non professionalmente preparati al gioco del processo, in ordine alla possibilità di ricorrere personalmente per la revoca dell’amministratore.

4. L’istruttoria

Anzitutto, sotto il profilo istruttorio, va rilevato che l’ultimo comma dell’art. 738 c.p.c., prevede la possibilità di una fase, a carattere discrezionale, nella quale il giudice designato quale relatore a norma del primo comma, possa “assumere informazioni”.

Il legislatore, con questa espressione ha voluto attribuire al giudice un potere di indagine sull’esistenza in concreto dei presupposti indicati nel ricorso. Tale potere prescinde dall’impulso di parte, derogando al principio della disponibilità dei mezzi di prova (caratteristico del giudizio contenzioso).

Il carattere eventuale (“il giudice può”) dell’acquisizione delle informazioni va ricollegato alla possibilità per l’interprete di decidere la controversia sulla base della sola documentazione prodotta da parte ricorrente (ad esempio attraverso la produzione dei verbali assembleari ovvero dalla documentazione condominiale oppure anche da atti pubblici e privati, atti a dimostrare chiaramente le irregolarità commesse dal legale rappresentante dell’edificio da lui gestito).

Prima della riforma, inoltre, era solo consentito al magistrato competente di disporre l’audizione del ricorrente e/o dell’amministratore, in presenza di elementi di incertezza.

Con l’entrata in vigore della riforma, invece, la legge prevede, come sopra accennato, che l’amministratore sia sentito in contraddittorio con il ricorrente (art. 64, I comma, disp. att. c.c.).

Pur non costituendo necessariamente la mancata presenza di una delle parti (o di entrambi i contendenti) all’udienza allo scopo fissata dall’autorità giudiziaria, un elemento determinante per la decisione, certamente può ritenersi che l’omessa presenza di una o di ambedue le parti in detta udienza possa avere una notevole influenza sulle determinazioni del giudicante (cfr. sul punto dell’omessa partecipazione anche il paragrafo 1).

Va anche detto che l’esperimento, nell’ambito di questo tipo di procedimento, di accertamenti di carattere tecnico, va legato al tipo di irregolarità denunciate dal ricorrente , nonché alla questione, che si esaminerà in seguito, relativa alla condanna alle spese del procedimento stesso.

Ancora, in ordine alla prova, poi, la giurisprudenza è orientata nel senso che la parte ricorrente deve solo dimostrare la fonte del suo diritto a conseguire dall’amministratore l’adempimento all’obbligo di gestione quale mandatario del condominio, limitandosi, quindi, ad allegare l’inadempimento effettuato da quest’ultimo, mentre il legale rappresentante del condominio convenuto per la sua revoca dovrà provare, per essere assolto dall’istanza di revoca presentata dal ricorrente, la possibile giustificazione del suo affermato e presunto inadempimento.

In tema va riportata una importante e chiarificatrice massima di merito, ove si afferma che “strutturandosi il procedimento di revoca dell’amministratore condominiale, su istanza di uno o di alcuni soltanto dei condomini, ai sensi dell’art. 1129, III comma c.c., come un giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato esistente tra tutti i condomini e l’amministratore, trova applicazione, in tema di prova, il principio generale operante in materia di inadempimento di un’obbligazione, sicchè il condomino che agisca per la risoluzione del mandato intercorrente con l’amministratore deve solo provare la fonte del suo diritto a conseguire dall’amministratore l’adempimento dell’obbligo gestorio, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre l’amministratore convenuto rimane gravato dell’onere della prova del fatto estintivo della pretesa di revoca, costituito dall’avvenuto adempimento ai suoi obblighi di gestione” (in tal senso, cfr. Trib. Salerno 12 aprile 2011).

5. Il provvedimento giudiziale

Come per la richiesta della nomina dell’amministratore giudiziario, anche nel caso di istanza della sua revoca, disciplinato espressamente dall’art. 64 disp. att. c.c., il tribunale provvede in camera di consiglio, sentito l’amministratore in contraddittorio con il ricorrente (novità quest’ultima introdotta dalla legge di riforma n. 220/2012).

Il procedimento si conclude, quindi, con la pronuncia di un provvedimento di accoglimento o di rigetto dell’istanza della parte ricorrente, redatto in forma di decreto motivato (art. 737 c.p.c.), datato e sottoscritto dal presidente del collegio giudicante (art. 135 u.c. c.p.c.).

Il provvedimento riveste un carattere meramente contenzioso e, quindi differente da quello emesso dal Tribunale in sede di nomina, ed è reclamabile, come sopra accennato, dinanzi alla Corte d’appello con ricorso da proporsi entro dieci giorni dalla sua notifica ovvero dalla comunicazione del decreto medesimo.

La giurisprudenza della Suprema Corte ha ormai definitivamente chiarito che il decreto del Tribunale riveste natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, sostitutivo, in caso di accoglimento della domanda, della volontà assembleare, previsto al fine di soddisfare l’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche (di cui all’art. 1129, XII comma c.c.) ovvero anche in ipotesi non direttamente tipizzate, ma sempre tali da compromettere la gestione medesima ed il rapporto fiduciario esistente tra l’amministratore e il condominio.

Le spese legali vanno di norma poste a carico del ricorrente (anche alla luce del nuovo regime introdotto dalla riforma), ma, in caso di accoglimento del ricorso, il ricorrente avrà diritto di rivalersi nei confronti del condominio, il quale, a sua volta, sempre in via di regresso, potrà rivolgersi per il rimborso all’amministratore revocato.

 In ordine al momento di efficacia del provvedimento di revoca giudiziale va rilevato che il provvedimento camerale di revoca dell’amministratore del condominio “ha efficacia, ex art. 741 c.p.c., dalla data dell’inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, sicchè gli atti compiuti dall’amministratore anteriormente al momento in cui tale revoca conservano la loro efficacia (sempre che non siano viziati da alcuna automatica invalidità), continuando a produrre effetti e ad esser giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (Cass. n. 454/2017, conf. Cass. n. 666/1990).

E’ stata così esclusa ogni retroattività degli effetti del decreto di revoca emesso dal Tribunale al momento della proposizione della domanda avanzata nel ricorso da parte del singolo o di più condomini.

Inoltre, va sottolineato che il secondo comma dello stesso art. 741 c.p.c. attribuisce al giudice la facoltà di disporre che il decreto abbia immediata efficacia, qualora sussistano motivi di urgenza.

Il decreto, in ogni caso, non può mai acquistare autorità di cosa giudicata, coma confermato dal fatto che in giurisprudenza è pacifico che i condomini possono sempre ricorrere al giudice per chiedere l’emissione di un nuovo provvedimento difforme da quello di rigetto in precedenza pronunciato.

Il provvedimento esaminato, pur non avendo un carattere decisorio, come detto, non preclude in ogni caso, la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, del diritto su cui il provvedimento incide. Tale tutela per l’amministratore revocato non potrà essere in forma specifica, ma soltanto risarcitoria o per equivalente, non esistendo un diritto dell’amministratore alla stabilità dell’incarico, attesa la sua revocabilità in ogni tempo, in base all’art. 1129, XI comma c.c.

Infine, va opportunamente sottolineato che con l’entrata in vigore della riforma non è più possibile che l’assemblea nomini nuovamente l’amministratore revocato, come disposto dal modificato XIII comma dell’art. 1129 c.c. che logicamente ha escluso espressamente la possibilità per l’assemblea di nominare nuovamente l’amministratore revocato in via giudiziale dal Tribunale competente.

Può ritenersi, invece, che nel corso del procedimento (e, in ogni caso, prima che sia trascorso il termine di dieci giorni per reclamare avverso il decreto emesso dalla Corte d’appello nel caso di provvedimento di accoglimento dell’istanza di revoca), l’assemblea abbia il potere di nominare nuovamente lo stesso amministratore, dovendo, in tale ipotesi, il giudice dovrà dichiarare cessata la materia del contendere tra le parti, (ma potendo al riguardo, tuttavia, i ricorrenti o, comunque, altri condomini dissenzienti, proporre al riguardo una nuova istanza di revoca, sussistendone il presupposti).

Per concludere, va anche accennato al problema concernente la possibilità, in caso di accoglimento della richiesta di revoca dell’amministratore ed essendo il giudice competente anche per la nomina di un suo sostituto, questi possa, su richiesta della parte ricorrente, procedere contemporaneamente anche a questa seconda statuizione nel medesimo provvedimento.

La dottrina e la giurisprudenza sono tuttavia concordi nel ritenere che ciò non sia possibile, anche se la revoca dell’amministratore in carica produce in seno al condominio un vuoto gestionale. Vuoto che, tuttavia, deve sempre e comunque essere colmato dall’assemblea che resta, in ogni caso l’organo preposto dalla legge alla nomina del rappresentante legale del condominio.

I condomini, pertanto, a revoca avvenuta, si debbono attivare per procedere alla nomina del nuovo amministratore e solo qualora si verifichino le circostanze per le quali l’assemblea non sia in grado di deliberare (per i motivi già esaminati in precedenza), si potrà nuovamente ricorrere all’autorità giudiziaria, domandando un suo intervento sostitutivo della volontà assembleare, ai sensi del I comma dell’art. 1129 c.c.

6. Il reclamo avanti alla Corte d’Appello

Il secondo comma dell’art. 64 disp. att. c.c. prevede la possibilità di reclamo avverso il decreto emesso in tema di revoca del Tribunale nel termine di decadenza di dieci giorni dalla notifica o dalla comunicazione (quest’ultima stabilita dalla legge di riforma) del provvedimento emesso sulla revoca dall’autorità giudiziaria.

La norma in questione riproduce, sia pure sinteticamente, il disposto di cui all’art. 739 c.p.c., ove, al secondo comma, si distingue, ai fini della scadenza dei termini per la presentazione del reclamo, tra provvedimenti dati nei confronti di una sola parte (nel qual caso il termine perentorio decorre dalla comunicazione del decreto) ovvero di più parti (nel qual caso la decorrenza scatta dal momento della notifica).

Decorso il termine dei dieci giorni di cui sopra senza che sia stato proposto reclamo, il decreto acquista efficacia definitiva, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., come rilevato nel precedente paragrafo, nonché come sempre affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 454/2017; conf. Cass. n. 666/1990 sopra citate), con la quale si è logicamente esclusa – data la diversità per natura, funzione e contenuto del provvedimento di volontaria giurisdizione in esame rispetto alla sentenza - una retroattività del decreto risalente al momento dell’istanza di revoca.

7. L’impugnazione in Cassazione: inammissibilità e improcedibilità

Molto tempo prima della riforma vi fu un contrasto in giurisprudenza sulla possibilità delle parti nel giudizio di revoca dell’amministratore di impugnare per cassazione il decreto emesso dalla Corte d’Appello in merito.

Ormai il tema è stato definitivamente superato grazie a varie decisioni della Suprema Corte, tutte essenzialmente conformi, con le quali si è esclusa ogni possibilità di impugnativa nel merito del decreto predetto, se non esclusivamente in relazione alla frequente pronuncia di condanna sulle spese del procedimento.

Ancora di recente la Suprema Corte, infatti ha affermato l’inammissibilità del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost. avverso il decreto con il quale la Corte d’Appello provvede sul reclamo contro il decreto del Tribunale in tema di revoca dell’amministratore condominiale previsto dagli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att. c.p.c. “trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso, invece, è ammissibile avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo” (Cass., ord, n. 9348/2017; conf. Cass. ord. n. 8656/2017; Cass., ord. n. 2986/2012; Cass. ord. n. 14524/2011).

 In precedenza, peraltro, si era già precisato dal giudice di legittimità, con una motivazione ancor più approfondita e conforme sul principio a momenti esposto che, “in tema di amministrazione della cosa comune, il decreto emesso ai sensi dell’art. 1105, IV comma c.c. ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione che, essendo suscettibile di revoca e modifica ex art. 742 c.p.c., è privo del carattere di definitività e, quindi, non è impugnabile ex art. 111 Cost., a meno che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto, in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi (Cass. n. 4616/2012: nella specie il giudice d’appello, atteso il disaccordo tra i comunisti, aveva nominato un amministratore affinchè provvedesse a dare esecuzione alla condanna del conduttore a rimuovere opere abusive effettuate sugli immobili comuni, per cui la Corte, negando l’esistenza di diritto soggettivo all’interesse di alcuni comunisti di ottenere la sanatoria degli illeciti edilizi, ha dichiarato inammissibile il ricorso).

Sempre in tema di inammissibilità del ricorso per cassazione, ma al momento dell’introduzione del ricorso per la revoca dell’amministratore condominiale, va posta in rilievo una corretta e condivisibile decisione di merito (Trib. Teramo del 29 giugno 2016) ove si è affermata l’inammissibilità del ricorso per la revoca giudiziale dell’amministratore condominiale “per il quale l’incarico è già scaduto e che ha continuato a svolgere le proprie funzioni esclusivamente in regime di prorogatio: il ricorso in questione, infatti viola il principio della sovranità dell’assemblea che ha il potere di decidere sulla revoca, sottoponendo la stessa al voto e, quindi, all’effettiva manifestazione di volontà, di tutti gli altri condomini, mentre nell’ipotesi di amministratore condominiale che esercita i suoi poteri ad interim, il singolo condomino ha il potere di chiedere legittimamente all’autorità giudiziaria un provvedimento ai sensi dell’art. 1105 c.c. che disponga la nomina di un nuovo amministratore, previa, ovviamente, la dimostrazione che l’assemblea non abbia provveduto in tal senso”.

8. La mediazione

La giurisprudenza ha, anche autorevolmente, chiarito definitivamente di recente che il decreto con il quale la Corte d’Appello, in sede di reclamo su di un provvedimento di revoca dell’amministratore del condominio dichiari improcedibile la domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione ex art. 5 del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, “non costituisce sentenza ai fini ed agli effetti di cui all’art. 111, VII comma Cost., essendo sprovvisto dei richiesti caratteri della definitività e decisorietà, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi, non pregiudica il diritto del condominio ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale, né il diritto dell’amministratore allo svolgimento del suo incarico: trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato che non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione” (Cass. n. 1237/2018).

La Suprema Corte, in particolare, ha ritenuto inammissibile la censura che la parte ricorrente rivolge al decreto impugnato, sotto forma di vizio “in procedendo”, diretta a sindacare la decisione sulla questione della soggezione del giudizio di revoca dell’amministratore di condominio al procedimento di mediazione ai sensi del d.lgs. n. 28/2010.

Invero – ha proseguito il giudicante - pur essendo pacifica l’applicazione alle controversie in materia condominiale (come disposto dall’art. 71 quater delle disp. att. c.c.) dell’istituto della mediazione di cui all’art. 5, I comma del d.lgs n. 28/2010, anche in rapporto all’art. 64 disp. att. c.c., deve considerarsi che tale norma, senza possibilità di equivoci, dispone che il meccanismo della condizione di procedibilità non s’applica ai procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell’amministratore condominiale un procedimento camerale plurilaterale tipico.

Inoltre, come sempre affermato dalla giurisprudenza di legittimità, questo procedimento riveste un carattere eccezionale ed urgente (oltre che sostitutivo della volontà assembleare); è ispirato dall’esigenza di assicurare una valida ed efficace tutela ad una corretta gestione dell’amministrazione condominiale (a fronte del pericolo di grave danno derivante da determinate condotte dell’amministratore), per cui deve essere improntato a celerità, informalità ed ufficiosità, ma, in ogni caso, non riveste alcuna efficacia decisoria e lascia salva al mandatario revocato la facoltà di chiedere la tutela giurisdizionale del diritto provvisoriamente inciso, facendo valere le sue ragioni attraverso un processo cognizione piena (che, tuttavia non può porsi come un riesame del decreto).

La Corte, inoltre, respingeva il secondo motivo di ricorso con il quale si sosteneva che il procedimento per la revoca dell’amministratore del condominio non soggiace alla mediazione obbligatoria, in quanto la giurisprudenza, anche a sezioni unite, aveva costantemente affermato che detto procedimento è un procedimento di volontaria giurisdizione e non di cognizione, per cui, a prescindere dal profilo della motivazione dei giudici del merito sulla procedibilità, certamente non è impugnabile in cassazione poiché, come visto, sprovvisto dei caratteri della definitività e della decisorietà.

9. Le spese

La questione inerente l’ammissibilità di una condanna alle spese processuali nel caso di revoca giudiziaria dell’amministratore condominiale è stata per lungo tempo in passato molto discussa.

Ciò perché la dottrina prevalente si era espressa nel senso dell’esclusione di tale pronuncia (trattandosi di procedimento di volontaria giurisdizione), mentre la giurisprudenza si era espressa in modo non univoco, attribuendo parte di essa un particolare rilievo alla natura contenziosa del tipo di giudizio, seppure rientrante pacificamente nell’ambito della giurisdizione volontaria.

La Suprema Corte stessa aveva stabilito in senso contrario a quest’ultima tesi, l’illegittimità di una statuizione sulle spese in detto procedimento, tanto da affermare cheil provvedimento contenente il regolamento sulle spese processuali, emesso in sede di volontaria giurisdizione e sull’erroneo presupposto di una controversia sui diritti, è ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost.” (Cass. 3246/1998).

Successivamente la Suprema Corte si è espressa più volte ed in modo definitivo ed uniforme nel senso della correttezza dell’applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese anche per questo procedimento.

E’ stata esclusa, peraltro, dalle sezioni unite (Cass. s.u. n. 20957/2004) la ricorribilità per cassazione ex art. 111 Cost. del decreto camerale di revoca dell’amministratore, restando autonomamente impugnabile dinanzi alla stessa Suprema Corte il capo del provvedimento riguardante le spese processuali (cfr. Cass. n. 2517/2001).

Continuando a seguire questa autorevole linea, in tempi più recenti si è ancora affermato in tema dal giudice di legittimità che “nell’ipotesi di rigetto del ricorso proposto dai singoli proprietari esclusivi per la revoca dell’amministratore condominiale, deve ritenersi che i primi debbano essere condannati al pagamento delle spese processuali, non ammettendo il principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. alcuna distinzione di natura o di rito e dovendo, quindi, applicarsi a tutti i procedimenti, compresi quelli di volontaria giurisdizione, nei quali vi siano posizioni contrapposte” (Cass. n. 15040/2013; conf. Cass. n.14562/2011); che “nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell’amministratore legittimato ed interessato contraddire è solo l’amministratore e non anche il condomino che, pertanto, non può intervenire in adesione all’amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente” (Cass. n. 23955/2013, già citata in precedenza); che “il procedimento diretto alla revoca dell’amministratore di condominio soggiace al regolamento delle spese ex art. 91 c.p.c. – secondo il principio della soccombenza – dovendosi escludere, nella disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 1129, XI comma, come introdotto dalla legge di riforma n. 220/2012, che queste siano ripetibili nel rapporto interno tra il condomino vittorioso che le ha anticipate e il condominio, nei cui confronti pure si producono gli effetti della decisione, in quanto è nel rapporto processuale tra le parti del giudizio che le spese trovano la loro esclusiva regola di riparto” (Cass. n. 18487/2014) e, infine che “è’ inammissibile il ricorso per cassazione ai sensi, ai sensi dell’art. 111 Cost., avverso il decreto con il quale la Corte d’Appello provvede sul reclamo contro il decreto del Tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è invece ammissibile avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo” (Cass. n. 9348/2017).

Va evidenziato, sempre in relazione alle spese giudiziali del procedimento esaminato, che con l’art. 1129, XI comma c.c., come riformato dalla nuova legge del condominio n. 220/2012, ove viene chiarito definitivamente che, in caso di accoglimento della domanda da parte del tribunale adito per la revoca dell’amministratore del condominio, “il ricorrente per le spese legali, ha titolo di rivalsa nei confronti del condominio, che, a sua volta, può rivalersi nei confronti dell’amministratore revocato”.

Ciò naturalmente ove il ricorrente vittorioso non sia già stato rimborsato dal legale rappresentante del condominio, ottemperando alla statuizione di condanna disposta nei suoi confronti nel provvedimento di revoca.

La soluzione data dal legislatore appare opportuna e corretta, in quanto il condominio è, come rilevato anche in precedenza, estraneo al procedimento di revoca del suo legale rappresentante, per cui è logico che ogni spesa legale debba essere sostenuta dal condomino ricorrente (o dai condomini ricorrenti), mentre è ragionevole e giusto che, in caso di revoca del legale rappresentante dell’edificio in condominio per gravi irregolarità accertate che danneggino la sua gestione, lo stesso possa rivalersi per dette spese, ove documentate, nei confronti dell’ente, il quale, a sua volta, avrà il diritto di agire in rivalsa verso l’amministratore revocato.

Si può, quindi, per concludere sinteticamente sul punto delle spese, ribadendo sia la necessità di una pronuncia sulle spese del procedimento sulla revoca dell’amministratore da parte dell’autorità giudiziaria (trattandosi di un giudizio contenzioso, pur rientrante nella volontaria giurisdizione), sia sulla carenza di legittimazione del condominio in detto processo, sia, infine, sull’inammissibilità del ricorso in cassazione avverso il provvedimento emesso dalla corte d’Appello in sede di reclamo avverso il decreto del Tribunale, salvo soltanto con riguardo alla statuizione di condanna alle spese processuali.

Il problema del soggetto tenuto a sopportare i costi legali necessari alla revoca giudiziale dell’amministratore disonesto, sostenuti nell’interesse comune per ottenerne la revoca, in ogni caso, è ormai risolto dalla riforma del condominio del 2012, ove è espressamente previsto, nel caso di accoglimento della domanda di revoca, il diritto di rivalsa (art. 1129., XI comma c.c.) sia della parte ricorrente nei confronti del condominio degli esborsi effettuati per spese legali, sia di quest’ultimo nei riguardi dell’amministratore medesimo (che non abbia, ovviamente, già provveduto ad ottemperare alla condanna subita in merito alle spese liquidate dall’autorità giudiziaria).

10. Cenni sulla volontaria giurisdizione in materia condominiale

Premesso quanto esposto in precedenza in ordine alle ipotesi esaminate sulla nomina e sulla revoca dell’amministratore condominiale, nonché sul procedimento giudiziario previsto al riguardo, va rilevata, in questa sede, l’applicabilità all’istituto del condominio anche del disposto di cui al IV comma dell’art. 1105 c.c.(inserito nel codice nella parte relativa alla comunione, ma pacificamente operativo anche per il condominio degli edifici), con il quale si stabilisce che “se non si prendono i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza ovvero se la deliberazione non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere all’autorità giudiziaria e che Il Tribunale adito dovrà provvedere in camera di consiglio ex art. 737 c.p.c., potendo anche, se del caso, nominare un amministratore”.

La caratteristica della volontaria giurisdizione in materia condominiale va ravvisata nel fatto che l’autorità giudiziaria può, in linea di principio, essere direttamente adita dai singoli condomini (anche senza avvocato e senza necessità di preventiva mediazione) ovvero, in taluni casi, anche dallo stesso amministratore, nella ipotesi di richiesta di nomina del suo successore, ove dimissionario o revocato (naturalmente qualora l’assemblea non vi provveda) ovvero nell’ipotesi di comprovata inerzia o di impossibilità di funzionamento dell’ente condominiale, onde ottenerne un provvedimento che consenta di superare e risolvere il problema.

Da ciò deve dedursi che il Tribunale non ha alcun potere di intervenire nel merito della gestione condominiale, poiché l’azione giudiziale ha una funzione di mera supplenza, esplicabile quando l’ente rimanga bloccato per dimostrata inerzia o impossibilità di operare (ad esempio nelle ipotesi in cui l’amministratore non esegua le delibere adottate o non provveda all’ordinaria amministrazione ovvero l’assemblea, pur convocata allo scopo, non riesca, ad esempio, a deliberare in ipotesi quali la regolamentazione sulla sosta ed il parcheggio delle vetture dei condomini oppure all’approvazione di un regolamento condominiale, quando sia obbligatorio, cioè quando il numero dei condomini sia superiore a dieci, come previsto dalla legge di riforma dell’istituto all’art. 1138 c.c.).

E’, pertanto, necessario che i condomini e lo stesso amministratore, prima di rivolgersi all’autorità giudiziaria, convochino l’assemblea condominiale per deliberare sul punto, ai fini di una loro legittimazione all’instaurazione del procedimento in questione.

La giurisprudenza della Suprema Corte si è sempre espressa, ancora in tempi recenti, in conformità dei principi sopra esposti, affermando che: “I provvedimenti emessi relativamente all’amministrazione della cosa comune, essendo suscettibili di revoca e modifica, ai sensi dell’art. 742 c.p.c. non hanno il carattere di definitività e, quindi, non sono ricorribili nel merito in cassazione, salvo che per le spese”, precisando, altresì, che “il decreto emesso ex art. 1105, IV comma c.c. ha natura di provvedimento di volontaria giurisdizione, e, come tale non è impugnabile in cassazione, a meno che, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione,, abbia risolto, appunto in sede di volontaria giurisdizione, una controversia su diritti soggettivi” (Cass. n. 4616/2012; conf. Cass. 12881/2005 e 24140/2004).

“Il singolo condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura sinallagmatica relativo al buon funzionamento degli impianti condominiali (nella specie dell’impianto elettrico comune) che possa essere esercitato mediante un’azione di condanna della stessa gestione condominiale all’adempimento corretto della relativa prestazione contrattuale, trovando causa l’uso dell’impianto che ciascun partecipante vanta nel rapporto di comproprietà delineato negli artt. 1117 ss. c.c.; ne consegue che il condomino non ha azione per richiedere la messa a norma dell’impianto medesimo potendo, al più avanzare, verso il condominio, una pretesa risarcitoria nel caso di colpevole omissione nella sua riparazione o adeguamento, ovvero sperimentare altri strumenti di reazione e di tutela, quali, ad esempio, l’impugnativa delle deliberazioni assembleari ex art. 1137 c.c., i ricorsi contro i provvedimenti dell’amministratore ex art. 1133 c.c., la domanda di revoca giudiziale dell’amministratore ex art. 1129, XI comma c.c. e il ricorso all’autorità giudiziaria in caso di inerzia agli effetti dell’art. 1105, IV comma c.c.” (Cass. n. 16608/2017).

“Il provvedimento con cui l’autorità giudiziaria nomina ex art. 1105, IV comma c.c. un amministratore della cosa comune, al fine di supplire all’inerzia dei partecipanti alla comunione, ha natura di atto di giurisdizione volontaria, perciò privo di carattere decisorio o definitivo, in quanto revocabile e reclamabile ai sensi degli artt. 739, 742 e 742 bis c.p.c. e, di conseguenza non è ricorribile per cassazione ex art. 111, VII comma Cost., salvo che il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione, una controversia su diritti soggettivi (Cass., ord., n. 15548/2017: nella specie, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso con il qual si lamentava l’irregolare costituzione del contraddittorio nel giudizio di reclamo avanti alla Corte d’Appello, in virtù delle concrete modalità di notifica dell’atto introduttivo di detta fase processuale).